Di un difficile oracolo – Gesualdo Bufalino

Edward Steichen, Touch is Love, 1934

 

E mi stupisco ancora
del tuo sangue violento che mi sfida
e sgrida con voce di vento.

Decifrassi una volta la vermiglia
cantilena che recita,
bando di morte o vita, chi sa dirlo?

Ma io non sono che il drago custode
dei tuoi polsi in burrasca, un pescatore
di maree che origlia dalla riva.

Anche infelice, se non fosse il lampo
che inatteso sorride e mi dà scampo
nella tenace mafia dei tuoi occhi.

Gesualdo Bufalino

da “L’amaro miele”, Einaudi, Torino, 1982

Versi scritti sul muro – Gesualdo Bufalino

Stephanie Ludwig, Kätzchen (Kitten), 1901

 

Piú lontano mi sei, piú Ti risento
farmiti dentro il cuore
sangue, grido, tumore,
e crescermi sul petto.

Piú sei lontano e piú Ti porto addosso,
fra l’abito e la carne,
contrabbando cattivo,
volpe rubata che mi mangia il petto.

Gesualdo Bufalino

da “Annali del malanno”, in “Gesualdo Bufalino, Opere: 1 [1981, 1988]”, Bompiani, 2006

Anniversario – Gesualdo Bufalino

Edward Weston, Tina Modotti, 1923

 

La festa abbaglia ancora i tuoi balconi
e il mare, sale una rosa di luce
antica sul tuo viso, ogni bengala
nel giro negro e veloce degli occhi
ti si ripete, e la musica fiera
degli spari: chissà se tu ripensi
il tuo cuore d’altranno, e le parole
che ci gridammo d’amore, sospesi
sui colori violenti della folla,
chissà se tu rammenti la mia voce.

Gesualdo Bufalino

da “L’amaro miele”, in “Gesualdo Bufalino, Opere 1981 – 1988”, Bompiani, 2006

Dedica, molti anni dopo – Gesualdo Bufalino

Toni Schneiders, Self Portrait, 1952

 

Queste parole di un uomo dal cuore debole,
sorta di macchine o giochi per soffrire di meno,
ad altri uomini dal cuore debole:
coscritti balbuzienti, spretati dagli occhi miopi,
guitti fischiati, collegiali alla gogna,
re in esilio invecchiati a un tavolo di caffè,
che un giorno finalmente un sicario pietoso
aiuta dietro un muro, con un coltello…
Queste parole di un moribondo di provincia
a chiunque abbia scelto di somigliargli,
col viso contro i vetri, fisso a guardare nell’orto
un albero di ciliegio teatralmente morire…
Queste parole scritte senza crederci,
e tuttavia piangendo,
a un me stesso bambino che uccisi o che s’uccise,
ma che talora, una due volte l’anno,
non so come fiocamente rinasce
e torna a recitarsele da solo…
Per poco ancora, per qualche giorno ancora:
finché giunga l’inverno nel suo mantello d’ussaro
e il fuoco le consumi e le consegni alla notte.

Gesualdo Bufalino

da “L’amaro miele”, Einaudi, Torino, 1996

Miserere scritto sul muro – Gesualdo Bufalino

1

Più lontano mi sei, più Ti risento
farmiti dentro il cuore
sangue, grido, tumore,
e crescermi sul petto.

Più sei lontano e più Ti porto addosso,
fra l’abito e la carne,
contrabbando cattivo,
volpe rubata che mi mangia il petto.

2

Dunque è vano, Signore, somigliarti
nel nome, nella sorte, nella morte;
avere entro le palme due coltelli,
il costato corrotto;
pendere così freddi, così nudi,
con le vergogne battute dal vento.
Dolce Signore, perché ci abbandoni?
A noi anche Tu devi una donna
che ci schiodi e ci lavi,
un fantaccino cieco che ci vegli,
una resurrezione.

3

La stanchezza del mio cuore non si può dire,
e non ho voce più per gridare.
Signore, fammi mare
dentro la mente, rompimi i ginocchi.

Si divulga il mio viso nel vento,
come la polvere non ho padrone.
Posassi sul Tuo petto macilento
il mio capo, per dormire.

Nei miei occhi si macchia una rosa,
come un albero cadrò.
O Signore, concedimi sull’erba
una morte di cosa.

4

Per questa terra sfasciata dall’afa,
rozza terra latrante,
Tu cammini, lo so, con una lebbra
nascosta sotto la giacca.

Dalla Tua rada barba semita
Ti riconoscerò,
dalle Tue palme di torrido gelo
premute sulla mia fronte.

5

Verrà l’angelo ladro
al mio sonno d’albergo, alle mie braccia
inferme, già forza le porte,
la sua tozza bipenne,
sibila sulla mia faccia,
vampa d’oro di tra le penne
è la sua voce che odo,
il caro suo gergo solenne.
Lotteremo sino alla morte.

 Gesualdo Bufalino

da “Diceria dell’untore”, Bompiani, Milano, 1992

Appendice
Iniziata nei primi anni cinquanta e subito interrotta, quindi più volte riscritta, la Diceria passò attraverso vicissitudini multiple prima della stesura finale e della stampa (1981). In occasione della quale l’autore, al fine di non sovraccaricare al di là del lecito un libro di per sé eccessivo e lussuoso, decise di espungerne un certo numero di orpelli inizialmente previsti. Rimasero dunque fuori le epigrafi e i versi allegati a ciascun capitolo nonché gli epitaffi dei personaggi defunti e altre chiose integrative del testo: sovrabbondanze escluse per uno scrupolo di economia, ma portatrici, forse, d’un valore aggiunto, per chi voglia comprendere appieno le ragioni interne dell’opera e la sua laboriosa preistoria. Un antetesto-paratesto, insomma, che si è pensato di non disperdere ma di offrire in appendice al lettore.
[…]
“Un quaderno di carta da macero”, datato 1946 e intitolato Falsa testimonianza (aliter Totentanz), conteneva le poesie scritte alla Rocca. Di queste l’autore pensò di servirsi, quando ebbe terminato la Diceria, come supporto ai capitoli, al modo della Vita Nova dantesca (si veda Istruzioni per l’uso). Dopo la rinunzia al progetto, le poesie confluirono con qualche modifica nella raccolta poetica L’amaro miele, edita tardivamente nel 1982.
Qui vengono riportate nella loro stesura originaria, attestata dai manoscritti pavesi, e secondo l’incompleta sequenza di abbinamenti ivi prevista (le poesie come i capitoli della stesura che le riporta sono quindici contro i finali diciassette capitoli del romanzo).
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Istruzioni per l’uso
All’atto della pubblicazione dell’opera, nel 1981, l’autore ebbe a scrivere e divulgò fra gli amici in tiratura limitatissima (cento esemplari) un libretto intitolato Diceria dell’untoreIstruzioni per l’uso (poi riedito insieme alla Diceria e a Museo d’ombre nel 1982) che nella presente occasione viene riproposto secondo la sua redazione più ampia, comprensiva di poche, ulteriori integrazioni.
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