«Io non ho più niente di me.» – Mario Benedetti

Foto di Josef Sudek

«En finir avec le monde»
Io non ho più niente di me.
Pierre Jean Jouve, Matière céleste

Io non ho più niente di me.
Respiro la fatica della stanza a stare
dove gli uomini non sono più.
Io che sono qualcos’altro: distanza dalla vita.

Mario Benedetti

da “Sassi, posti di erbe, resti”, in “Umana Gloria”, “Lo Specchio” Mondadori, 2004

Desaparecidos – Mario Benedetti

Foto di Alexey Titarenko, dalla serie City of shadows

 

Sono da qualche parte / a concertarsi
a sconcertarsi / sordi
cercandosi / cercandoci
impediti dai segni e dai dubbi
a guardare i cancelli delle piazze
campanelli di porte / vecchi terrazzi
a fare ordine nei sogni negli oblii
forse convalescenti di una morte privata

nessuno ha spiegato loro con certezza
se sono già partiti oppure no
se sono manifesti o appena un tremolio
se son sopravvissuti o semplici responsi

vedono uccelli e alberi che passano
e non sanno a quale ombra appartengono

quando cominciarono a scomparire
tre cinque o sette cerimonie fa
a scomparire come senza sangue
come senza volto e senza motivo
videro dalla finestra dell’assenza
ciò che restava dietro / l’impalcatura
di abbracci cielo e fumo

quando cominciarono a scomparire
come l’oasi scompare dai miraggi
a dileguarsi senza un’ultima parola
reggevano in mano brandelli
di cose che amavano

da qualche parte sono / nube o tomba
da qualche parte stanno / ne sono certo
forse nel sud dell’anima
la bussola sarà andata persa
e ora girano sempre a domandare
dove cazzo rimane il buon umore
perché loro vengono dall’odio

Mario Benedetti

(Traduzione di Martha L. Canfield)

da “Inventario”, Le Lettere, Firenze, 2001

∗∗∗

Desaparecidos

Están en algún sitio / concertados
desconcertados / sordos
buscándose / buscándonos
bloqueados por los signos y las dudas
contemplando las verjas de las plazas
los timbres de las puertas / las viejas azoteas
ordenando sus sueños sus olvidos
quizá convalecientes de su muerte privada

nadie les ha explicado con certeza
si ya se fueron o si no
si son pancartas o temblores
sobrevivientes o responsos

ven pasar árboles y pájaros
e ignoran a qué sombra pertenecen

cuando empezaron a desaparecer
hace tres cinco siete ceremonias
a desaparecer como sin sangre
como sin rostro y sin motivo
vieron por la ventana de su ausencia
lo que quedaba atrás / ese andamiaje
de abrazos cielo y humo

cuando empezaron a desaparecer
como el oasis en los espejismos
a desaparecer sin últimas palabras
tenían en sus manos los trocitos
de cosas que querían

están en algún sitio / nube o tumba
están en algún sitio / estoy seguro
allá en el sur del alma
es posible que hayan extraviado la brújula
y hoy vaguen preguntando preguntando
dónde carajo queda el buen amor
porque vienen del odio

Mario Benedetti

da “Geografias”, Alfaguara 1984

Ore assenti – Mario Benedetti

Brassaï, Le miroir de la salle de bains, 1944

 

Tetro è una parola, cupo e senza forze
sono parole: verifiche indicative di te.
Senti dalla mascella al braccio fino alla mano
il vai e vieni indolenzito e attento che cede
a un campo visivo e poi a un altro:
lo spiazzo, le vetrine, la tenda di un bar,
dove insieme al tavolo rotondo il bicchiere
traslucido forma un’immagine concessa.

∗∗∗

Fotogramma del fratello morto, sbiadito
nello specchio del bagno. Esco a prendere il pane
ti ripeto nel bolo staccato a mezz’aria.
Trema spaventata una parete della stanza.
No non importa quello che si vede, non importa
quello che si dice o quello che si scrive.

∗∗∗

Secche e immobili nella luce sul terrazzo
le montagne appese allo stendipanni, i gualciti
accappatoi rivoltati dal vento ieri notte.

∗∗∗

Perché vedo ancora lapidi da mettere a posto
quando non c’è più nessuno? Le flebo di morfina
erano per la cosa che non sentiva niente. Terra
che ci hai voluto, con le richieste di una casa
e di un affetto, e di comodità, l’ultima domanda
è solo un ostacolo per il continuo affaccendarsi?

∗∗∗

Ritornare nei giorni, mandarli avanti.
Anni fa, adesso, domani. Era così
per te, è così per tutti? Stare nelle ore
per altre ore, nei giorni che ci saranno.
E dire dei morti come se fossero
ancora dei vivi, come è necessario
sorridere quando si è in compagnia.

∗∗∗

Dai del tu ai morti, stai al posto di te, anche.
Ma il viso ghiacciato è sempre qui, il viso
che non parla, che non si muove. E ogni vita
era questo: interezze create continuamente
per un dopo che non ci sarà più o è già stato.

∗∗∗

Lo scalo di Porta Romana

Tra il ferro arrugginito dei vagoni di treni dismessi
la discarica delle parole di poesie che respingono.
Sguardi brevi, arrovellamenti, alberi a caso, afasie.

∗∗∗

Duomo-Pasteur

Sono questo, questa mortalità
che mi assedia, che si concentra
negli occhi, nelle mani. Intorno
sono mute le cose, le facce
che si muovono senza motivo,
e sento dissolvermi tra questo.

∗∗∗

Via Ferrante Aporti

È rimasto affumicato dalle bombe
il muro fino all’Osteria. Macchie
su macchie lisce inosservate senza
nomi, senza fiori. Nessuno lo sa.
Il vecchissimo oste passa e ripassa
e non mi vede, non mi chiede
che cosa ci faccio in piedi lì fuori.

∗∗∗

È un’ora assente. Mi guardi. Si vive ancora, sì, si vive ancora.
Ma non c’è la mano da darti. Guardi gli occhi della malinconia.

Mario Benedetti

da “Tersa morte”, “Lo Specchio” Mondadori, 2013

Nell’ora dell’azzurro cupo – Mario Benedetti

Mario Benedetti, foto di Dino Ignani

 

Come testimoniare i morti,
vivere come lo fossimo,
morire come lo siamo. Per la vita
è la scoperta
della morte e della vita.

Di Mimnermo le poesie, la stanchezza dell’età.
Dalla vita l’Ade che non c’è, il non risvegliarsi più.
Inerte il sonno che già sai. Inerti nella polvere
a poco a poco le carni, le belle dita, i neri capelli.
Nessuna immagine o parola, o disperato mondo.

“Anche per me una visione intera
dal primo uomo all’ultimo guardando
questi di questi giorni, provando
il brivido di stare.”

Era il tuo intarsio adolescente.
Entravi nell’ora dell’azzurro cupo:

“Soltanto i giorni tutto questo,
mi difendo con la paura ma non potrò per sempre
questo continuare.”

Adesso i cani sono pecore e macchie.
Si chiamano anche per nome le bestiole.
Chi vive dice nella vita tante cose
che restano nella vita che muore.

Ci si sporge all’esterno della vita nella sua paralisi,
si vede vivere quelli che sono diventati una cosa,
tante cose animate, un testardo sentire obbligato.
Futilmente presente è la parola, anche questo dire.

Mario Benedetti

da “Tersa morte”, “Lo Specchio” Mondadori, 2013

Questo inizio di noi – Mario Benedetti

Mario Benedetti, foto di Dino Ignani

   

       Se le vite si ritraggono ognuna
nel suo continuare o nel rimembrarsi
avremo sempre le parole in posa.

Vedi, il libro ti è davanti, le frasi
mozze bene assottigliate sussumono
anni di giornate con le loro ore.

Getta quel libro, è odore della carta:
e il bimbo apriva e ripiegava, apriva
e ripiegava l’odore d’inchiostro

e delle figure: la madre giovane
ma il bambino la vedeva una morta
ma anche non era una morta, davanti

quell’angolo di muro che si apriva
e ripiegava, apriva e ripiegava.

∗∗∗

       Vive nei brividi del porfido,
va sotto i muri delle case,
si apre alle campagne, la pioggia.
Piove, e quale fiume sarà,
un mare qualunque. Nessuno,
Annina, Rjelka, Agostino,
nessuno. E qui soltanto piove.

∗∗∗

       Ma tu lo sai che c’era?
Siamo nati insieme, lui alla porta vicina.
Se un giorno non lo avessi visto?
In qualche posto ci sarebbe stato.
Se il posto fossero altri visi
con le loro facce, con la loro morte?
È finita. Si resta a guardare,
le parole scorrono insieme alle dita.
Non devi più alzarti da te.
Tanti passi, tanti sguardi, altri cieli.
La tua vita, nessun commento.

∗∗∗

        Guardare prima, guardare dopo.
Cadere fuori pagina, mentre un’altra penna
guarda. E non sapere come
da sogno a sogno le figure quasi si raccolgano:
la via con la casa da poter comprare
prima, la via con i terrazzi in alto
dopo: il dopoguerra, la nostra passeggiata.
Il vuoto si rigira qui e fa ombre
esili quanto esile è la pagina.

∗∗∗

Dedica

Allora, il tempo della vita dopo. Allora.
Eri lì o una di queste sere. Ma ci vuole affetto
per parlare, dell’affetto per scrivere.

Cose fuori pagina, che si vivono e basta.
Pensieri. E comunque, stai bene? hai
studiato? Come passano gli anni,

vedi, come passano gli anni,
e i tuoi sono ancora pochi. E il volere
che non si parli più, non si scriva più

per andare a capo. Una sola voce lontana…,
quando sarò non presente a me…
Solo offuscati… e piano piano andarcene.

Mario Benedetti

2015

da “Mario Benedetti, Tutte le poesie”, Garzanti, 2017