«Nella luce fioca mi lecco» – Dario Bellezza

Donata Wenders, Taking a Decision, 1999

 

Nella luce fioca mi lecco
le ferite mortali e la mia
anima-foglia leggera va

in cerca del Padrone.

Chi è nell’ombra solo sa
quanto il giorno è mortale

bianca statua solare
che non incanta più la mia
morta mattina.

Dario Bellezza

da “Invettive e licenze”, Garzanti, 1971

Naufragio – Dario Bellezza

Foto di Dino Ignani

 

Questa città che nasconde e confonde
le inconfessabili voglie dei borghesi
ci è stata riservata, privilegiata:
il carrettone, di notte, invano stranisce
la nostra limitazione che scantona
per tutti i vicoli di Trastevere:
vicolo del Buco, piazza del Drago,
dell’Elefante, stancamente
lussureggiante nel cervello malato,
gli occhi fuori delle orbite, e c’è
chi ti dice la verità, amara
e debole come tutte le verità
soffocate dal non sapersi difendere:
incalzato dalla miseria, naufragio
del mio stile, regressione
all’indeterminato, all’infantile,
parole che fanno ressa in testa
mentre gli ospiti non vengono,
ritardano, che fanno?, forse vanno
a casa dell’Impiccato: lenzuola nere,
luce tagliata, tendine
ancora come quelle di una volta,
quando chi scrive, ragazzo senza sesso
visibile ma tormentato dalla ragione,
dalla scienza levigata nei salotti
borghesi, limpidamente vi entrò e vide
il futuro impiccato, la futura moglie,
i bambini mai nati, la sifilide
ricorrente per le vene asimmetriche
del pube incensurato, le catene
delle macchine, i guardiani del faro,
i romanzi della memoria, le poesie
d’amore, l’autobiografia precoce,
le lente serenate alla Stazione,
col treno in partenza, i minori in vendita,
le marchette buggerate sulle mille lire.
Passavano il didietro dentro le carrozze
abbandonate, cimitero della stazione:
i treni a quell’ora non partivano più.
Come affretto il pensiero del morto,
l’amore sciroppato in cento lacrimose,
luminose, ingenue poesie;
debilitato al pensarci, frastornato
da altri, corrotti, amori adolescenti,
il tono poetico non-ritrovabile,
i compromessi, le fughe, le giravolte,
le comunicazioni problematiche ininterrotte
e poi interrotte, il quindicenne sano
che ti monta, sacro, al limite dei giorni
vani o lusinghieri o visitati
dall’esplosione insincera del nulla.

Faccio naufragio, mi piloto verso
le crescite: ho perso il conto delle masturbazioni,
i petti maschili non mi difendono
dal mio amore per la madre, drogata,
che non sappia di essere donna.
Ecco: ho imparato come si fa a essere
poeta, a mangiare la foglia, a bere
a buon mercato, a fumare gratis,
a prendere lucciole per lanterne:
so stare al gioco, la miseria me la tengo
tutta stretta, abbandono i sogni
di gloria, capito per caso in casa
mia, m’affretto a cercare nei cassetti
le lettere della mia derelizione,
perduto amore, aspra vendetta
dei sessi, le lacrime taciturne
che scivolano leggere come farfalle
pietose; ho perso la memoria vile,
regolata dai battiti del cuore, le
mie pulsazioni aumentano, la candela
è quasi tutta consumata; m’affretto,
rapido, scervellato, sempiterno a
cambiare la tribolata rotta,
il rompicollo dei giorni. Dio!
Sono come un liceale al primo bacio:
niente mi ha toccato, mi riguarda,
non ho nessun dolore per la Storia,
amo me di un amore sviscerato,
e proprio per questo non mi amo,
mi detesto, ma so che non scriversi
addosso è la regola ipocrita, la carne
insudiciata si può lavare, le certezze assolute
equivalgono al suicidio intenso,
la vita vissuta equivale all’Inferno.

Dario Bellezza

da “Libro di poesia”, Garzanti, 1990

Cuore di pietra – Dario Bellezza

Foto di Kaveh Hosseini

 

Scriverti è stare un po’ vicino
al tuo cuore di pietra, alla tua mano
velata di peccato e malinconia;
stringerla era nel letto delle fami
salvare dal naufragio la certezza
del domani, la fuga del mito
verso le isole greche. Ora, l’esilio
è sicuro, la paura di perderti
o vederti immensa come la Sfinge
apparsami in sogno, laboriosa
nel disfare i grani dell’incenso.

O voce umana tante volte sentita
il compiersi del misfatto terreno
sulle mie spalle segna il tempo
e lo spezza, non sentirmi solo
sembra una parvenza ormai svanita
nella leggenda del tuo nome
miracoloso. Svegliami, esulta
svegliati dal torpore mortale
dell’eroina, welcome eroina!
gradassa infernale prima di ogni
crema lenta e girata in casa
del mio rivale alla rampa Brancaleone.

Nessuno ascolta il mio richiamo
nella notte, cercarti mi spaventa
come fossi il privilegiato della sorte.
Non so andare incontro alla morte;
assurdo mi sembra che la vita
mi aspetti al di là delle porte infere
o paradisiache o vuote di tutto,
anche il nulla è mortale,
o la speranza brulla di indiarci.
Non ascoltare la mia sirena notturna:
il canto è spento, la luce non più accesa;
odio la mia vita che si riflette immota
in uno stagno putrido e senza fondo.
Tutto, banale, mi parla di te:
il Neurobiol che prendesti la sera
del nostro primo incontro
per disintossicarti inumano
mentre ti stringevi al mio corpo
sudato urlavi perfetto: «Salvami
o mai più ci rivedremo!» ma io
non sono stato capace di dedicarti
un’ora sola della mia vita; ignoro
se le telefonate anonime mi vengano
da te che spii la mia voce alterata
il pianto sommesso o gridato.

O allergia che m’insegnò il trapasso
abbandonato ai demoni che orrore la fuga
col demonio di nome Angelo, rubandomi
le ghinee consegnate, estorte
per darti la ragione della rottura.

Dario Bellezza

da “Libro di poesia”, Garzanti, 1990

«Al capezzale dei giorni insieme vissuti» – Dario Bellezza

Luigi Ghirri, Bed

 

Al capezzale dei giorni insieme vissuti
la memoria frenetica s’attacca: lieto
fine delle associazioni involontarie
e covate fino allo spasimo nel letto,
prima di depositarle sulla carta.

Così covo, sempre più sano ormai
dalle morti che ti minacciano, dalle croci
che ti crocifiggono, le mie inermi incertezze
che fingono il tuo mondo giacere
nella notte.

Maturo la scrittura, lo stile, il colpo
di mazza alla verità. Lenta invasione
del Paradiso nel tuo sepolcro dove
s’aggirano i mostri della mia diversità:
avversaria impotente della mia banalità.

Dario Bellezza

da “Invettive e licenze”, Garzanti, 1971

Marilyn – Dario Bellezza

Ed Clark, Marilyn Monroe, 1950’s

 

Marilyn, Marilina, come una canzone
marinera Marilina se ne andò all’alba,
uscì dalla favola stupida che fu la sua vita.
Qualcuno si ricorda una foto di lei,
povera creatura ignorante, anzi di te,
mia bionda sorellina senza pace ormai
con Carson McCullers, Karen Blixen
le streghe sono tornate! Fuggiamo
dall’intelligenza, e in più c’è Miller
Arthur il tuo pigmalione feroce
Arturo come Rimbaud dalle suole
volanti, no, nemmeno a parlarne,
un borghese meno capace di reggere
il confronto con la tua follia
di sorellina stupida e innocente
che vuole stare con le scrittrici,
gli intellettuali. Che noia!
Sperando che resti sempre Marilina,
Marilyn, bionda sorellina, oca
giuliva purtroppo con la nevrosi
giusta. Qualcuno, un cantastorie
di favole apocalittiche
dovrebbe cantare il modo
in cui partisti dal mondo dei vivi!
Delitto o suicidio, ma sempre Venere
in agguato a punirti, e al cui capriccio
tutto il tuo sangue ancora si ravviva
dopo la morte alata e non cercata,
e invaghirsi di te è un mistero
testamento e leggenda di spaesati
di vigliacchi untori dell’eros
la tua calda voce di sorellina,
la tua sostanza è impalpabile
ormai, rende concrete gioie serene
della nostra generazione perduta
che ti amò, mitica, o anche prima
come ballerina, certo, una bambola
di carne, non ha letto Freud,
per fortuna può far più male che bene,
ma tu volevi difenderti, o forse
esistere oltre l’apparenza
del tuo corpo muliebre e immortale
nella sua mortalità lasciato ai corvi,
ai nani, ai masturbatori solitari,
nel ricordo di chi ti vede;
vecchi bavosi e frustrati.
Ci volevano nervi più saldi,
e tu non l’hai avuti per resistere
alla sfida del tempo. Per questo
ci piaci: perché fosti
una vittima, una sconfitta
dal tempo e dalla storia infausta
dei nostri giorni peccatori.

Dario Bellezza

da “Proclama sul fascino”, “Il Nuovo Specchio” Mondadori, 1996