Elegia per N.N. – Czesław Miłosz

 

Dimmi se per te è troppo lontano.
Saresti potuta correre sopra le corte onde del Baltico,
E oltre la pianura di Danimarca, oltre il bosco di faggi,
Girare verso l’oceano, e là ecco già
Il Labrador, bianco in questa stagione dell’anno.
E se a te, che sognavi un’isola solitaria,
Fanno paura le città e lo scintillìo delle luci sulle strade,
Avevi un sentiero proprio in mezzo al deserto dei boschi,
Sul lividore delle acque sgelate con le impronte dell’alce e del caribù,
Fino alle Sierre, alle miniere d’oro abbandonate.
Il fiume Sacramento ti avrebbe guidata
Fra colline coperte di querce spinose.
Ancora un boschetto di eucalipti e saresti giunta da me.

È vero, quando la manzanita è in fiore
E la baia è azzurra nei mattini di primavera
penso controvoglia alla casa fra i laghi
E alle rezzuole trascinate sotto il cielo lituano.
La cabina dove riponevi la gonna prima del bagno
Si è mutata per sempre in un astratto cristallo.
C’è là un’oscurità di miele vicino alla veranda
E piccole civette buffe e l’odore delle corregge.

Come si potesse vivere allora, neppur io lo so.
Stili e abiti vibrano indistinti,
Non autonomi, tesi al finale.
Che importa il nostro anelare alle cose in se stesse?
La consapevolezza del tempo che passa ha bruciacchiato i cavalli davanti alla fucina
E le colonnine sulla piazza del mercato della cittadina
E le scale e la parrucca di mamma Fliegeltaub.

Abbiamo imparato davvero molto, lo sai.
Come viene tolto, via via,
Ciò che tolto non poteva essere, le persone, le contrade.
E il cuore non muore quando sembra che dovrebbe.
Sorridiamo, sulla tavola ci sono tè e pane.
Solo il rimorso di non aver amato
Le poveri ceneri a Sachsenhausen
Di un amore assoluto oltre misura d’uomo.

Ti sei abituata a nuovi, umidi inverni,
Alla casa dove il sangue del proprietario tedesco
Fu lavato dai muri ed egli non tornò mai.
Anch’io ho preso solo ciò che è possibile, e città e paesi.
Non si può entrare due volte nello stesso lago
Su un fondo imbottito di foglie di ontano
Spezzando una stretta striscia di sole.

Le colpe tue e mie? Piccole colpe.
I segreti tuoi e miei? Segreti da poco.
Quando legano la mascella con un fazzoletto e fra le dita infilano una croce
E da qualche parte abbaia un cane e brilla una stella.

No, non perché sia lontano
Non sei venuta a trovarmi quel giorno o quella notte.
Di anno in anno cresce in noi fino a dilagare,
Come te l’ho compreso: l’indifferenza.

Czesław Miłosz

Berkeley, 1962

(Traduzione di Pietro Marchesani)

da “Dove sorge e dove tramonta il sole”, in “Czesław Miłosz, Poesie”, Adelphi, 1983

∗∗∗

Elegią dla N.N.

Powiedz czy to dla ciebie za daleko.
Mogłabyś biec tuż nad małą falą Bałtyckiego Morza
I za polem Danii, za bukowym lasem.
Skręcić na ocean, a tam już niedługo
Labrador, biały o tej porze roku.
A jeżeli ciebie, co marzyłaś o wyspie samotnej,
Straszą miasta i migot światełek na szosach,
Miałaś drogę samym środkiem leśnej głuszy,
Nad sinizną odtajałych wód ze śladem łosia i karibu.
Aż do Sierras, opuszczonych kopalń złota.
Zaprowadziłaby ciebie rzeka Sakramcnto
Między pagórki porosłe kolczastą dębiną.
Jeszcze gaj eukaliptusów i trafiłabyś do mnie.

To prawda, kiedy kwitnie manzanita
A zatoka jest niebieska w wiosenne poranki
Myślę niechętnie o domu między jeziorami
i o niewodach ciągnionych pod litewskim niebem.
Budka kąpielowa gdzie składałaś suknię
Zmieniła się na zawsze w abstrakcyjny kryształ.
Jest tam ciemność miodowa koło werandy
I śmieszne małe sowy i zapach rzemiani.

Jak można było wtedy żyć, sam nie wiem.
Style i stroje wibrują, niewyraźne,
Niesamoistne, zmierzające do finału.
Coż z tego, że tęsknimy do rzeczy samych w sobie.
Wiedza mijającego czasu osmaliła konie przed kuźnią
I kolumienki na rynku miasteczka
I schodki i perukę mamy Fliegeltaub.

Uczyliśmy się, sama wiesz, tak wiele.
Jak zostaje kolejno odjęte
Co odjęte być nie mogło, ludzie, okolice.
A serce nie umiera kiedy, zdawałoby się, powinno,
Uśmiechamy się, jest herbata i chleb na stole.
I tylko wyrzut sumienia, że nie kochaliśmy jak należy
Biednego popiołu w Sachsenhausen
Miłością absolutną nad miarę człowieka.

Przyzwyczaiłaś się do nowych, mokrych, zim,
Do domu gdzie krew niemieckiego właściciela
Zmyto ze ściany i nie wrócił nigdy.
Ja też wziąłem tylko co można, i miasta i kraje
Nie wstępuje się dwa razy w to samo jezioro
Po dnie wysłanym olchowymi liśćmi
Łamiąc jedną wąską pręgę słonca.

Winy twoje i moje? Nieduże winy.
Sekrety twoje i moje? Drobne sekrety.
Kiedy podwiązują chustką szczękę, w palce wkładają krzyżyk
I gdzieś tam szczeka pies i błyszczą gwiazdy.

Nie, to nie dlatego że daleko
Nie odwiedziłaś mnie tamtego dnia czy nocy.
Z roku na rok dojrzewa aż ogarnie
Tak jak ty ją zrozumiałem: obojętność.

Czesław Miłosz

da “Gdzie wschodzi słońce i kędy zapada”, in “Czesław Miłosz, Poezje”, Instytut Literacki, Paris, 1981-1982, (edizione in tre volumi).

«Per quanto cerchi di dividere» – Franco Fortini

Franco Fortini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per quanto cerchi di dividere
con voi dal vero le parole,

la fede opaca di che vivo
è solo mia. La tento ancora

e l’occhio guizza, la saliva
brilla sull’orlo dei canini,

o incerti amici, o incerte prove.

*

Per quanto cerchi di conoscere
che cosa guarda dal sereno

dove il celeste posa in sé,
di questo sono certo e fermo:

i globi chiari, i lenti globi
templari cumuli dei venti

non sono me.

Franco Fortini

da “Composita solvantur”, Einaudi, Torino, 1994

da «Bringing It All Back Home» – Bob Dylan

Bob Dylan in 1964 by Lee Pearce

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

le mie canzoni sono scritte avendo in mente
il timpano/un tocco di qualsiasi ansioso colore,
innominabile. ovvio, e delle persone forse
come un morbido cantante brasiliano… ho
rinunciato a tentare di raggiungere la perfezione/
il fatto che la casa bianca sia piena di
leaders che non sono mai stati all’apollo
theater mi sbalordisce, perché non sia stato scelto
allen ginsberg per leggere poesia all’inaugurazione
mi lascia perplesso/se qualcuno pensa che norman

mailer sia più importante di hank Williams,
niente di male, non ho argomenti e non
bevo mai latte. preferirei modellare dei
portarmonica che discutere di antropologia azteca/
letteratura inglese, o storia delle nazioni
unite. accetto il caos, non sono sicuro se
esso accetta me. so che c’è della gente terrorizzata
dalla bomba, ma ci sono altre persone terrorizzate
ad essere viste con in mano una rivista moderna di cinema.
l’esperienza insegna che il silenzio terrorizza maggiormente
la gente… sono convinto che tutte le anime abbiano
qualche essere superiore con cui fare i conti/come il
sistema scolastico, un cerchio invisibile a cui nessuno
può pensare senza consultare qualcuno/di
fronte a ciò, la responsabilità/la sicurezza, il successo
non significano assolutamente nulla… non vorrei
essere bach. mozart. tolstoy. joe hill. gertrude
stein o james dean/ sono tutti morti. i
Grandi libri sono stati scritti, le Grandi frasi
son state dette tutte/sto per schizzarVi
un quadro di quel che succede da queste parti
qualche volta. anche se neanch’io capisco troppo
bene ciò che avviene davvero. so
che un giorno moriremo tutti e che nessuna
morte ha mai fermato il mondo.le mie poesie
sono scritte in un ritmo di distorsione impoetica/
divise da orecchie forate. ciglia false/ sottratte
da persone che si torturano costantemente l’un
l’altra, con una ronfante linea melodica di vuoto
descrittivo — viste a volte attraverso occhiali scuri
ed altre forme di esplosione psichica. una canzone è
qualsiasi cosa che sappia camminare da sola/vengo chiamato
autore di canzoni. una poesia è una persona nuda… alcuni
dicono che sono un poeta

[…]

Bob Dylan

da “Bringing It All Back Home”, in “Bob Dylan, folk, canzoni e poesie” traduzione di Alessandro Roffeni, Newton Compton Editori Roma, prima edizione luglio 1978

∗∗∗

da «Bringing It All Back Home»

[…]

my songs’re written with the kettledrum
in mind/a touch of any anxious color.
unmentionable. obvious. an’ people perhaps
like a soft brazilian singer… i have
given up at making any attempt at perfection/
the fact that the white house is filled with
leaders that’ve never been t’ the appollo
theather amazes me. why allen ginsberg was
not chosen t’ read poetry at the inauguration
boggles my mind/if someone thinks norman
mailer is more important than hank williams
that’s fine. i have no arguments an’ i
never drink milk. i would rather model
harmonica holders than discuss aztec anthropology/
english literature. or history of the united
nations. i accept chaos. I am not sure whether
it accepts me. i know there’re some people terrified
of the bomb. but there are other people terrified
t’ be seen carrying a modern screen magazine.
experience teaches that silence terrifies people
the most… i am convinced that all souls have
some superior t’ deal with/like the school
system, an invisible circle of which no one
can think without consulting someone/in the
face of this, responsibility/security, success
mean absolutely nothing… i would not want
t’ be bach. mozart. tolstoy. joe hill. gertrude
stein or james dean/they are all dead. the
Great books’ve been written. the Great sayings
have all been said/I am about t’ sketch You
a picture of what goes on around here
sometimes. though I don’t understand too well
myself what’s really happening. i do know
that we’re all gonna die someday an’ that no
death has ever stopped the world. my poems
are written in a rhythm of unpoetic distortion/
divided by pierced ears. false eyelashes/
subtracted by people constantly torturing each
other. with a melodic purring line of descriptive
hollowness… seen at times through dark sunglasses
an’ other forms of psychic explosion. a song is
anything that can walk by itself/i am called
a songwriter. a poem is a naked person… some
people say that i am a poet

[…]

Bob Dylan

da “Polyvocal Bob Dylan: Music, Performance, Literature ”, a cura di  Nduka Otiono e Josh Toth, Palgrave Macmillan, 2019

 

La danza cieca – Roberto Mussapi

Mario Giacomelli

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Non attraversare la sua pelle, i fiumi che si diramano dalla sua fronte, c’è solo la notte nella stanza alla foce: su quella spiaggia camminerai come su mille lame e i tuoi piedi sanguineranno sempre».

Ma lei si staccò dall’acqua lasciando agli abissi il suo canto, vide il palazzo e le sue fiabe sparire nel vuoto, l’isola era lontana, forse una nave, o forse un gabbiano.

Su quella spiaggia camminò per cercarlo e le lame erano infinite come le luci della città lontana.

Non è ingratitudine, signora della notte, ma l’occhio del grande specchio precipitato dal cielo e la luce del mio coltello sollevato troppo fulminea perché io possa non guardarlo. Ho dormito riflessa nelle nubi sopra di me, volando sulle ali dei miei miracoli, non c’è una stella che non lasci una scia sulla sua nave, l’amore che non è ancora stato precede la sua origine.
Non c’è ingratitudine, sonno, ogni aurora segna la sabbia
bianca delle stesse orme e un principe dimentica il tuo canto, la lingua che hai mozzato, ma la strada è una stella e le lame luce infinita,

«fa’ che sia primavera eterna quando tornerò spuma del mare, fa’ che gli uccelli mi guardino!»

Nell’ennesima stanza crede di aver riconosciuto: ma ha scelto, e ora la sua nave è muta come un cane impazzito, ora i clarini d’oro perforano l’aria e la terrazza si allontana».

«Forse è un gabbiano».

Roberto Mussapi

da “Spume d’inverno”, (1977-79), in “La gravità del cielo”, Società di poesia – Jaca Book, Milano, 1984

Fantasma – Gyula Illyés

Roger Catherineau, La Vitre, 1954

 

Stamani, l’aria è di vetro:
stupito, cammino attraverso un muro di cristallo
e un altro muro,
perché tu veda — anche se
di sera il mio cuore si incrina —
com’è semplice
vivere un miracolo
vivere ancora.

Gyula Illyés

(Traduzione di Umberto Albini)

da “La vela inclinata”, Edizioni S. Marco dei Giustiniani, Genova, 1980

∗∗∗

Kisértet

Ma délelőtt a lég üvegzerü.
Üvegfalon s új üvegfalon át
ámulva lépdelek,
hogy — este bár szivem majd szétrepedt —
ládd
mily egyszerű
élni csodát, élni tovább.

Gyula Illyés

da “Különös testamentum: Illyés Gyula száz új verse”, Szépirod, Kiadó, 1977