L’uomo di neve – Wallace Stevens

Irene Kung

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bisogna avere una mente d’inverno
per osservare il gelo e i rami
dei pini incrostati di neve;

e avere patito tanto freddo
per guardare i ginepri ricoperti di ghiaccio,
gli abeti ruvidi nel distante riflesso

del sole di gennaio; e non pensare
alla miseria che risuona nel vento,
tra le rade foglie,

il medesimo suono della terra
attraversata dal medesimo vento
che soffia nello stesso spazio spoglio

per chi in ascolto, ascolta nella neve,
e lui stesso un nulla, guarda
il Nulla che non c’è e il nulla che c’è.

Wallace Stevens

(Traduzione di Nadia Fusini)

***

The Snow Man

One must have a mind of winter
To regard the frost and the boughs
Of the pine-trees crusted with snow;

And have been cold a long time
To behold the junipers shagged with ice,
The spruces rough in the distant glitter

Of the January sun; and not to think
Of any misery in the sound of the wind,
In the sound of a few leaves,

Which is the sound of the land
Full of the same wind
That is blowing in the same bare place

For the listener, who listens in the snow,
And, nothing himself, beholds
Nothing that is not there and the nothing that is.

Wallace Stevens

da “Harmonium”,  Alfred A. Knopf, Inc., 1923

Situazione – Vittorio Sereni

Vittorio Sereni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La forza del luogo comune,
dolorosa.
Lo zampillo della pompa nell’erba
sospiro inavvertito.
Il giardino all’imbrunire.
Seggiole in tondo, sdrai.
Sguardi noti s’incrociano: uno solo evasivo.
Generalmente calmi.

Sul rovescio del luogo comune
le campane del vespero. Inascoltate.
Da secoli e secoli a quest’ora
una spoglia ancora calda
di sangue e senso.
E attorno le rondini a migliaia.

Sono io tutto questo, il luogo
comune e il suo rovescio
sotto la volta che più e più s’imbruna.
Ma non può nulla contro un solo sguardo
di altri, sicuro di sé che si accende
dello sguardo mio stesso
contro gli occhi colpevoli
contro i passi furtivi che ti portano via.

Vittorio Sereni

da “Gli strumenti umani”, Einaudi, Torino, 1965

Durante una passeggiata – Adam Zagajewski

Foto di Renate von Mangoldt

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A volte passeggiando, su una strada per i campi,
o in un verde, solitario bosco,
odi lacerti di voci, forse invocazioni;
non vuoi sentire e affretti il passo,
e loro per un attimo ti seguono
come addomesticati animali.

Non vuoi creder loro, ma dopo
su una chiassosa strada metropolitana
rimpiangi di non avere ascoltato
e cerchi di ricordare
sillabe, suoni e pause.

Ma ormai è troppo tardi
e non potrai mai sapere
chi cantava, quale musica
e quale fosse il suo appello.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Marco Bruno)

da “Terra del fuoco, 1994”, in “Guarire dal silenzio, Nuovi versi e poesie scelte”, “Lo Specchio” Mondadori, 2020

∗∗∗

Na spacerze

Niekiedy na spacerze, na polnej drodze
albo w zielonym, samotnym lesie
słyszysz strzępy głosów, może wołania;
Nie chcesz im wierzyć i przyspieszasz kroku,
a one przez chwilę idą za tobą
jak oswojone zwierzęta.

Nie chcesz im wierzyć, lecz potem
na ruchliwej, wielkomiejskiej ulicy
żałujesz, że byłeś nieposłuszny
i próbujesz sobie przypomnieć
sylaby, dźwięki i przerwy między nimi.

Jednak jest już za późno
i nigdy się nie dowiesz,
kto śpiewał, jaką muzykę
i jakie w niej było wezwanie.

Adam Zagajewski 

da “Ziemia ognista”, in “Adam Zagajewski, Wiersze wybrane”, Wydawnictwo a5, Kraków, 2010

Kierkegaard su Hegel – Adam Zagajewski

Foto di Renate von Mangoldt

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kierkegaard diceva di Hegel: ricorda qualcuno
che erige un enorme castello, ma vive
in una semplice capanna, lì nei pressi.
Così l’intelligenza abita in una modesta
stanza del cranio, e quegli stati meravigliosi
che ci furono promessi sono ricoperti
di ragnatele, per ora dobbiamo accontentarci
di un’angusta cella, del canto del carcerato,
del buonumore del doganiere, del pugno del poliziotto.
Abitiamo nella nostalgia: Nei sogni si aprono
serrature e chiavistelli. Chi non ha trovato rifugio
in ciò che è vasto, cerca il piccolo. Dio è il seme
di papavero più piccolo al mondo.
Scoppia di grandezza.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Krystyna Jaworska)

da “Dalla vita degli oggetti”, Poesie 1983-2005, Adelphi, 2012

∗∗∗

Kierkegaard o Heglu

Kierkegaard mówił o Heglu: przypomina kogoś,
Kto wznosi ogromny zamek, sam jednak mieszka
W prostej szopie, stojącej w pobliżu budowy.
Tak samo inteligencja mieszka w skromnej
Kwaterze czaszki, a te wspaniałe państwa,
Które nam obiecywano, zaciągnięte są
Pajęczynami, na razie musimy się zadowolić
Ciasną celą aresztu, piosenką więźnia,
Dobrym humorem celnika, pięścią policjanta.
Mieszkamy w tęsknocie. W snach otwierają się
Rygle i zamki. Kto nie znalazł schronienia
W wielkim, szuka małego. Najmniejszym ziarnem
Maku na świecie jest Bóg. Rozsadza
Go wielkość.

Adam Zagajewski

da “Oda do wielości, 1982”, in “Adam Zagajewski, Wiersze wybrane”, Wydawnictwo a5, 2010

79. – Arturo Onofri

Harold Cazneaux, “Pergola pattern”, 1931

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

79.

Le curve della tua statura bianca,
negli andamenti snelli delle gambe,
son procinto di voli; e d’anca in anca
il passo non si spicca via, ma lambe
l’erba con fluidi rivoli
di sole, su cui scivoli,
staccandoti ora a dritta ed ora a manca
dal suolo che ti stanca.Un ritmo di movenze ardue, stellari,
benché frammisto a trascinii di rèttile,
s’imprime entro i tuoi lombi involontari,
in voci chiuse; e tu, angelo, eméttile
nei tuoi passi felici
in cui tacendo dici
che il cielo, anche se in cicli millenari,
muove teco, alla pari.

Arturo Onofri

da “Vincere il drago! poesie”, Ribet, Torino, 1928