Ottobre – Patrick Kavanagh

Paul Gauguin, By the Stream, Autumn, 1885

 

O aura dorata di foglie, tu crei per me
Un mondo che era e tuttora è situato al di sopra del tempo,
Non ho bisogno di decifrare l’Eternità
Mentre cammino lungo questa strada arborea ai bordi di un villaggio.
Anche la brezza, perfino la temperatura
E il tipo di movimenti è precisamente lo stesso
Di quando spezzò il mio cuore per la gioventù che passa. Ora sono sicuro
Di qualcosa. Un qualcosa sarà sempre mio dovunque io sia.
Voglio lanciarmi sulla pubblica via senza dar peso
A nulla fuorché al mormorio di preghiera che la terra offre.
È ottobre su tutta la mia vita e la luce si impone allo sguardo
Come quando mi afferrò in un boschetto vicino alla tana della volpe.
Un uomo sta arando il terreno per la farina dell’inverno.
E i miei diciannove anni pesano come macigni sui miei piedi.

Patrick Kavanagh

(Traduzione di Saverio Simonelli)

da “Andremo a rubare in cielo”, Ancora, 2009

∗∗∗

October 

O leafy yellowness you create for me
A world that was and now is poised above time,
I do not need to puzzle out Eternity
As I walk this arboreal street on the edge of a town.
The breeze, too, even the temperature
And pattern of movement is precisely the same
As broke my heart for youth passing. Now I am sure
Of something. Something will be mine wherever I am.
I want to throw myself on the public street without caring
For anything but the prayering that the earth offers.
It is October over all my life and the light is staring
As it caught me once in a plantation by the fox coverts.
A man is ploughing the ground for winter wheat
And my nineteen years weigh heavily on my feet.

Patrick Kavanagh

da “Collected Poems”, W. W. Norton & Company, 1964

C’è come un dolore nella stanza… – Amelia Rosselli

Edward Hopper, Room in Brooklyn, 1932

 

C’è come un dolore nella stanza, ed
è superato in parte: ma vince il peso
degli oggetti, il loro significare
peso e perdita.

C’è come un rosso nell’albero, ma è
l’arancione della base della lampada
comprata in luoghi che non voglio ricordare
perché anch’essi pesano.

Come nulla posso sapere della tua fame
precise nel volere
sono le stilizzate fontane
può ben situarsi un rovescio d’un destino
di uomini separati per obliquo rumore.

Amelia Rosselli

da “Documento”, 1966-1973, in “Amelia Rosselli, Le poesie”, Garzanti, 1977

L’angelo buono – Rafael Alberti

Giovanni Segantini, L’Amore alle fonti della vita, 1896, Galleria d’Arte Moderna, Milano

 

Venne quello che amavo,
quello che invocavo.

Non quello che spazza cieli senza difese,
astri senza capanne,
lune senza patria,
nevi.
Nevi di quelle che son cadute da una mano,
un nome,
un sogno,
una fronte.

Non quello che ai suoi capelli
legò la morte.

Ma quello che amavo.

Senza graffiare i venti,
senza ferire foglie o agitare cristalli.

Quello che ai suoi capelli
legò il silenzio.

Per scavarmi nel petto, senza farmi male,
di luce dolce una riva
e render navigabile la mia anima.

Rafael Alberti

(Traduzione di Vittorio Bodini)

da “Degli angeli”, Einaudi, Torino, 1966

***

El ángel bueno

Vino el que yo quería
el que yo llamaba.

No aquel que barre cielos sin defensas.
luceros sin cabañas,
lunas sin patria,
nieves.
Nieves de esas caídas de una mano,
un nombre,
un sueño,
una frente.

No aquel que a sus cabellos
ató la muerte.

El que yo quería.

Sin arañar los aires,
sin herir hojas ni mover cristales.

Aquel que a sus cabellos
ató el silencio.

Para sin lastimarme,
cavar una ribera de luz dulce en mi pecho
y hacerme el alma navegable.

Rafael Alberti

da “Sobre los ángeles”, Ediciones de la Compañía Ibero-Americana de Publicaciones S. A., Madrid, 1929

In salita – Vittorio Sereni

Vittorio Sereni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Insomma l’esistenza non esiste»
(l’altro: «leggi certi poeti,
ti diranno
che inesistendo esiste»).
Scollinava quel buffo dialogo più giù
di un viottolo o due
alla volta del mare.
Fanno di questi discorsi
nell’ora che canicola di brutto
i ragazzi Cioè? – mi dicevo
scarpinando per quelle petraie –.
Proprio non ha senso
se non per certi trapassanti amari
quando si stampano per sempre in loro
interi pezzi di natura
gelandosi nelle pupille.
                                            Ma ero
io il trapassante, ero io,
perplesso non propriamente amaro.

Vittorio Sereni

da “Stella variabile”, Garzanti, 1981

All’inizio delle sere – Nichita Stănescu

 

La quiete ti accompagnava ovunque, come un corteggio.
Se alzavi una mano, si faceva silenzio fra gli alberi.
Quando mi guardavi negli occhi, si pietrificava un istante
della forza fluente del tempo.

Sentivo di potermi addormentare, sognando stelle abitate.
E, solo se mi avesse toccato la tua ombra frusciante,
avrei potuto spingere le notti immobili
come un’elica che avanza, verso il sole.

E soltanto questo sentimento mi dava felicità,
soltanto il pensiero che sono e che sei.
Appoggiavo teloni sul cri-cri dei grilli,
sotto cui bevevo l’azzurro decantato in tazze.

E quando finivamo le parole, ne inventavamo altre.
E quando il cielo si faceva scuro, inventavamo cieli azzurri,
e quando le ore diventavano verdi come smeraldi,
ci abbronzavamo alla luce del nostro amore.

… Ma tutto il tempo suonava qualcosa… qualcosa risuonava,
un canto di erba falciata, di taciturni mari,
in cui il cuore di allora riversava
i meandri dei suoi perduti candori.

Nichita Stănescu

(Traduzione di Fulvio Del Fabbro e Alessia Tondini)

da “Una visione dei sentimenti”, 1964, in “La guerra delle parole”, Le Lettere, Firenze, 1999

***

La-nceputul serilor 

Liniştea te-nsoţea pretutindeni, ca o suită.
Dacă ridicai o mână, se făcea în arbori tăcere.
Când mă priveai în ochi, împietrea o clipită
din a timpului curgătoare putere.

Simţeam că pot adormi, visând stele locuite.
Şi, numai dacă m-ar fi atins umbra ta foşnitoare,
aş fi putut împinge nopţile-ncremenite
ca pe-o elice-naintând, spre soare.

Şi numai sentimentul acesta îmi da fericire,
numai gândul ca sunt şi că eşti.
Sprijineam pe ţârâitul greerilor coviltire,
sub care beam azurul decantat în ceşti.

Şi când sfârşeam cuvintele, inventam altele.
Şi când se-nsera cerul, inventam ceruri albastre,
şi când orele se-verzeau ca smaraldele,
ne bronzam la lumina dragostei noastre.

…Dar tot timpul suna ceva…ceva răsuna,
un cântec de iarba cosită, de taciturne mări,
în care inima de-atunci îşi revărsa
meandrele pierdutelor candori.

Nichita Stănescu

da “O viziune a sentimentelor”, Editura pentru Literatură, 1964