Bertolt Brecht nell’eternità – Adam Zagajewski

Adam Zagajewski, foto di
Krzysztof Dubiel

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il tuo tumulo si trova proprio al centro di Berlino
in quello snobistico, filosofico cimitero
dove non si seppelliscono persone qualunque, lì

dove riposano Hegel e Fichte come arrugginite ancore
(i loro velieri affondano nell’abisso dei manuali).

I tuoi stravaganti errori, la tua adorazione per la dottrina
giacciono gli uni accanto agli altri come l’ascia e il giavellotto nelle tombe del Neolitico,
altrettanto utili, altrettanto indispensabili.

Avevi scelto la Germania Orientale, ma per ogni evenienza
conservasti il passaporto austriaco.

Fosti un prudente rivoluzionario – forse nonostante tutto un ossimoro
può redimere il mondo?

Hai scritto la poesia Ai nati tardi – per sottomettere anche
il futuro
alla tua persuasione. Ma il futuro è già trascorso.

I nati tardi si aggirano indifferenti intorno ai tumuli – come turisti in un museo,
che guardano principalmente le firme sotto i quadri.

È aprile, una fresca giornata di sole, ombre nere si sono apprese, appiccicate
alle lapidi, come se fossero stati gli agenti segreti a rivelarsi immortali.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Marco Bruno)

dalla rivista “Poesia”, Anno XXX, Novembre 2017, N. 331, Crocetti Editore

∗∗∗

Bertolt Brecht w wieczności

Twoja mogiła znajduje się w samym centrum Berlina
na tym snobistycznym, filozoficznym cmentarzu
gdzie nie grzebie się byle kogo, tam,

gdzie spoczywają Hegel i Fichte jak zardzewiałe kotwice
(ich żaglowce toną w otchłani podręczników).

Twoje dziwaczne pomyłki, twoje uwielbienie dla doktryny
leżą obok ciebie jak siekiera i oszczep w grobach neolitu,
równie pożyteczne, równie nieodzowne.

Wybrałeś Niemcy Wschodnie, lecz na wszelki wypadek
zachowałeś też austriacki paszport.

Byłeś ostrożnym rewolucjonistą – czy jednak oksymoron
może zbawić świat?

Napisałeś wiersz Do późno urodzonych − chciałeś także przyszłość
poddać swojej perswazji. Ale przyszłość już minęła.

Późno urodzeni krążą obojętnie wśród mogił – jak turyści w muzeum,
którzy patrzą głównie na podpisy pod obrazami.

Jest kwiecień, słoneczny, chłodny dzień, czarne cienie przywarły
do nagrobków, tak jakby to tajniacy okazali się nieśmiertelni.

Adam Zagajewski

da “Asymetria”, A5 K. Krynicka, 2014

Sirena – Giorgio Caproni

Giorgio Caproni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La mia città dagli amori in salita,
Genova mia di mare tutta scale
e, su dal porto, risucchi di vita
viva fino a raggiungere il crinale
di lamiera dei tetti, ora con quale
spinta nel petto, qui dove è finita
in piombo la parola, jodio e sale
rivibra sulla punta delle dita
che sui tasti mi dolgono?… Oh il carbone
a Di Negro celeste! oh la sirena
marittima, la notte quando appena
l’occhio s’è chiuso, e nel cuore la pena
del futuro s’è aperta col bandone
scosso di soprassalto da un portone!

195…

Giorgio Caproni

da “Il passaggio d’Enea” (1943- 1955), in “Giorgio Caproni, L’opera in versi”, “I Meridiani” Mondadori, 1998

Marinando la scuola – Adam Zagajewski

Foto di Pieter Vandermeer

 

 

 

 

 

 

 

 

 

O forse è proprio qui che si trova il regno dei morti,
pensai; era sulla Vistola,
fra le gramigne e i soffioni e le lattine di Coca-Cola
accartocciate che avevano dovuto patire molto,

a marzo, quando i giovani e sconsiderati fili d’erba
intraprendono fiduciosamente un viaggio senza fine
e gli scolari che marinano bevono un vino economico
nella prima caotica estasi.

Così pensavo allora, ma adesso
non so come finire questa poesia.
Perché c’è anche un altro regno
cui noi apparteniamo,

visibile e amichevole,
l’enorme regno dei vivi,
ma noi non riusciamo a vederlo –

perché è in noi,
perché è infinito
ed elastico.

E in esso ci sono sveglie che piangono,
e dischi di jazz in vinile,
ci sono bottoni e uva spina,
e il sambuco.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Marco Bruno)

dalla rivista “Poesia”, Anno XXX, Novembre 2017, N. 331, Crocetti Editore

∗∗∗

Na wagarach

A może właśnie tutaj jest królestwo umarłych,
pomyślałem; było to nad Wisłą,
wśród chwastów i mniszków i pogiętych puszek
po coca-coli, które musiały wiele wycierpieć,

w marcu, kiedy młode i nierozważne kiełki trawy
ufnie wyruszają w drogę bez końca
a uczniowie na wagarach piją tanie wino
w pierwszej chaotycznej ekstazie.

Tak wtedy myślałem, ale teraz
nie wiem, jak skończyć ten wiersz.
Jest przecież także inne królestwo,
do którego my należymy,

widzialne i przyjazne,
ogromne królestwo żywych,
ale my nie potrafimy go zobaczyć –

ponieważ jest w nas,
ponieważ jest nieskończone
i elastyczne.

A w nim są budziki, które płaczą
i płyty jazzowe z winylu,
są guziki i agrest,
i czarny bez.

Adam Zagajewski

da “Asymetria”, A5 K. Krynicka, 2014

La malattia dell’olmo – Vittorio Sereni

Vittorio Sereni

 

 

 

 

 

 

 

 

Se ti importa che ancora sia estate
eccoti in riva al fiume l’albero squamarsi
delle foglie più deboli: roseogialli
petali di fiori sconosciuti
– e a futura memoria i sempreverdi
immobili.

Ma più importa che la gente cammini in allegria
che corra al fiume la città e un gabbiano
avventuratosi sin qua si sfogli
in un lampo di candore.

Guidami tu, stella variabile, fin che puoi…

– e il giorno fonde le rive in miele e oro
le rifonde in un buio oleoso
fino al pullulare delle luci.
                                                Scocca
da quel formicolio
un atomo ronzante, a colpo
sicuro mi centra
dove più punge e brucia.

Vienmi vicino, parlami, tenerezza,
– dico voltandomi a una
vita fino a ieri a me prossima
oggi così lontana – scaccia
da me questo spino molesto,
la memoria:
non si sfama mai.

È fatto – mormora in risposta
nell’ultimo chiaro
quell’ombra – adesso dormi, riposa.

                                                                   Mi hai
tolto l’aculeo, non
il suo fuoco – sospiro abbandonandomi a lei
in sogno con lei precipitando già.

Vittorio Sereni

da “Stella variabile”, Garzanti, 1981

Scavare – Seamus Heaney

Jack McManus, Seamus Heaney in the 1970s

 

Tra il mio pollice e l’indice riposa
la tozza penna, comoda come una pistola.

Da sotto la finestra, un suono aspro e netto
quando la vanga affonda nella terra ghiaiosa:
mio padre, che scava. Mi affaccio e guardo

finché la sua groppa tesa nello sforzo tra le aiuole
s’abbassa, si rialza vent’anni addietro
curvandosi ritmicamente tra i solchi di patate
dove stava scavando.

Il rozzo scarpone annidato sulla staffa, il manico
saldo contro l’interno del ginocchio a fare leva.
Sradicava gli alti ciuffi, affondava la lama lucente
per sparpagliare le patate novelle che raccoglievamo
stringendole con piacere fredde e dure tra le mani.

Per Dio, il mio vecchio la sapeva maneggiare, la vanga.
E così il suo.

Mio nonno tagliava più torba in una giornata
di ogni altro nella torbiera di Toner.
Una volta gli portai del latte in una bottiglia
con un tappo di carta abborracciato. Si raddrizzò
per bere, poi si rimise subito al lavoro,
fendenti e affondi netti, gettandosi le zolle
sopra la spalla, andando sempre più giù
dove la torba era migliore. Scavare.

L’odore freddo del terriccio sulle patate, il risucchio e lo schiaffo
della torba impregnata, i tagli netti di una lama
su radici vive mi si ridestano nella mente.
Ma non ho vanga per seguire uomini come loro.

Tra il mio pollice e l’indice riposa
la tozza penna.
Scaverò con questa.

Seamus Heaney

(Traduzione di Marco Sonzogni)

da “Morte di un naturalista”, “Lo Specchio” Mondadori, 2014

***

Digging

Between my finger and my thumb
The squat pen rests; snug as a gun.

Under my window, a clean rasping sound
When the spade sinks into gravelly ground:
My father, digging. I look down

Till his straining rump among the flowerbeds
Bends low, comes up twenty years away
Stooping in rhythm through potato drills
Where he was digging.

The coarse boot nestled on the lug, the shaft
Against the inside knee was levered firmly.
He rooted out tall tops, buried the bright edge deep
To scatter new potatoes that we picked,
Loving their cool hardness in our hands.

By God, the old man could handle a spade.
Just like his old man.

My grandfather cut more turf in a day
Than any other man on Toner’s bog.
Once I carried him milk in a bottle
Corked sloppily with paper. He straightened up
To drink it, then fell to right away
Nicking and slicing neatly, heaving sods
Over his shoulder, going down and down
For the good turf. Digging.

The cold smell of potato mould, the squelch and slap
Of soggy peat, the curt cuts of an edge
Through living roots awaken in my head.
But I’ve no spade to follow men like them.

Between my finger and my thumb
The squat pen rests.
I’ll dig with it.

Seamus Heaney

da “Death of a Naturalist”, Faber & Faber, London, 1966