Di noi quanti abitano adesso il mare? – Gabriele Galloni

Gabriele Galloni

 

Di noi quanti abitano adesso il mare?

E il mare è tutto quel che resta
del nostro sonno; e i suoi abitanti nudi
ci visitano sulla cima del promontorio.
Non hanno niente da dirci; infatti
se ne stanno zitti; solo ci guardano
interrogativi. Forse è ancora vita,
la loro. In chissà quanti modi respirano.

Transumanati già; si stringono in cerchio.
Ne hai paura? Li temi? Pensi possano
farci del male? No – eppure ricerchi
con lo sguardo una fuga. Non possiamo
allontanarci troppo; finiremo
nell’ombra fitta; finiremo per cadere
nel vuoto di una sillaba, di un murmure

di annegati.

Gabriele Galloni

da “L’estate del mondo”, Marco Saya Edizioni, 2019

Infanzia – Adam Zagajewski

Foto di Pieter Vandermeer

Give me my childhood again
JOHN BURNSIDE

Ridatemi la mia infanzia,
quella repubblica di passeri garruli,
le smisurate selve di ortiche
e il pianto notturno del timido allocco.

La nostra strada vuota di domenica,
il rosso neogotico delle chiese
che non ispirava i mistici,
le bardane sussurranti in tedesco

e la confessione dell’alcolizzato
all’altare della parete bianca,
e le pietre, e la pioggia, e le pozzanghere
in cui sfavillava l’oro.

Adesso, ormai, saprei sicuramente
come essere bambino, saprei
come guardare gli alberi coperti di brina,
come vivere immobilmente.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Marco Bruno)

dalla rivista “Poesia”, Anno XXX, Novembre 2017, N. 331, Crocetti Editore

∗∗∗

Dzieciństwo

Give me my childhood again
JOHN BURNSIDE

Oddajcie mi moje dzieciństwo,
republikę gadatliwych wróbli,
niezmierzone puszcze pokrzyw
i nocny płacz nieśmiałego puszczyka.

Naszą ulicę pustą w niedzielę,
neogotycki czerwony kościół,
który nie sprzyjał mistykom,
łopiany szepczące po niemiecku

i spowiedź alkoholika
przed ołtarzem białej ściany,
i kamienie, i deszcz, i kałuże,
w których lśniło złoto.

Teraz już wiedziałbym na pewno
jak być dzieckiem, wiedziałbym
jak patrzeć na oszronione drzewa,
jak żyć nieruchomo.

Adam Zagajewski

da “Asymetria”, A5 K. Krynicka, 2014

«O datemi qualcuno che mi ascolti» – Patrizia Valduga

Foto di Katia Chausheva

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

O datemi qualcuno che mi ascolti,
ché di parole straripo.. qualcuno
che mi prenda per mano e dei sepolti
dei fatti polvere e niente al raduno
mi porti… di occhi ho paura… di volti…
Non mi restava ormai niente e nessuno,
e come sanguinando intorno intorno
pesantemente in me cadeva il giorno.

Patrizia Valduga

da “Medicamenta e altri medicamenta”, Einaudi, Torino, 1989

 

Lettera – Henrik Nordbrandt

Mimmo Jodice, Sibari, 2000

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se un giorno ci venisse in mente di incontrarci
(cosa di cui in fondo dubito)
allora per amor di Dio scegliamo un luogo
in cui nessuno di noi è mai stato prima.
Una qualche isola in disparte nell’Egeo
o una spiaggia nei pressi di Alessandria.

Un posto dove i giardini notturni non ci portino
subito a vedere noi stessi
come fantasmi, dove la gente scorgendoci
non finisca per pensare
a chi è morto dopo il nostro ultimo incontro
e dove non compariamo nelle loro storie.

Potremo passare la notte insieme
a bere, a parlare di nulla
e magari remare sul mare al chiaro di luna
e se non ci venisse in mente di annegarci
potremo separarci prima dell’alba
felici, prima di essere tornati sobri.

– Se dunque esiste un posto così
(cosa di cui come ho detto dubito)
un posto in cui persino certi tardi sprazzi di sole
e i profumi di certi alberi notturni
di tanto in tanto non ci ricordino che abbiamo provato
tutto questo tante volte prima, senza successo.

Oppure lasciamo perdere l’idea di incontrarci.

Henrik Nordbrandt

(Traduzione di Bruno Berni)

da “Vicinanze”, in “Il nostro amore è come Bisanzio”, Donzelli Editore, 2000

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Brev

Hvis vi en dag skulle finde på at mødes
(hvilket jeg i grunden tvivler på)
så lad os da for Guds skyld vælge et sted
hvor ingen af os har været før.
En eller anden forlagt ø i Ægæerhavet
eller en strand nær Alexandria.
Et sted, hvis natlige haver ikke straks
får os til at opleve os selv
som spøgelser, hvor folk ved synet af os
ikke straks kommer til at tænke
på den som døde siden vi sidst sås
og hvor vi ikke optræder i deres historier.
Vi kunne tilbringe natten sammen
med at drikke, tale om ingenting
og måske ro ud på havet i måneskinnet
og hvis vi ikke fandt på at drukne os
skilles lige inden solopgang
lykkelige, inden vi var blevet ædru.
– Hvis der altså findes et sådant sted
(hvilket jeg som sagt tvivler på)
et sted hvor selv visse sene solstrejf
og visse natlige træers dufte
ikke nu og da minder os om at vi har forsøgt
alt dette så mange gange før, uden held.
Ellers lad os opgive tanken om at mødes.

Henrik Nordbrandt

da “Omgivelser”, Copenhagen: Gyldendal, 1972

 

Tutto il mondo è vedovo… – Amelia Rosselli

Amelia Rosselli, foto di Dino Ignani

         

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutto il mondo è vedovo se è vero che tu cammini ancora
tutto il mondo è vedovo se è vero! Tutto il mondo
è vero se è vero che tua cammini ancora, tutto il
mondo è vedovo se tu non muori! Tutto il mondo
è mio se è vero che tu non sei vivo ma solo
una lanterna per i miei occhi obliqui. Cieca rimasi
dalla tua nascita e l’importanza del nuovo giorno
non è che notte per la tua distanza. Cieca sono
chè tu cammini ancora! cieca sono che tu cammini
e il mondo è vedovo e il mondo è cieco se tu cammini
ancora aggrappato ai miei occhi celestiali.

Amelia Rosselli

da “Variazioni Belliche”, 1960-1961, in “Amelia Rosselli, L’opera poetica”, “I Meridiani” Mondadori, 2002