Fuoco, fuoco – Adam Zagajewski

Adam Zagajewski

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il fuoco di Cartesio, il fuoco di Pascal,
la cenere, la scintilla.
Di notte brucia un falò invisibile,
il fuoco, che ardendo non distrugge
ma crea, come se in un attimo
volesse restituire ciò che le fiamme
hanno rubato in molti continenti,
la biblioteca di Alessandria, la fede
dei Romani ed il terrore di una bimba
in Nuova Zelanda.
Il fuoco come gli eserciti
dei Mongoli devasta e brucia le città
di legno e di pietra, e poi eleva
case leggere e palazzi invisibili,
impone a Cartesio
distruggi la filosofia e costruiscine una nuova,
si tramuta nel roveto ardente,
sveglia Pascal, percuote le campane
e le fonde per eccesso di zelo.
Avete visto come legge i libri?
Pagina per pagina, lentamente,
come chi ha appena imparato
a sillabare.
                     Fuoco, fuoco, il fuoco
eterno di Eraclito, l’avido messaggero,
il ragazzo dalle labbra nere come bacche.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Valeria Rossella)

dalla rivista “Poesia”, Anno XVIII, Dicembre 2005, N.200, Crocetti Editore

∗∗∗

Il fuoco, il fuoco

Il fuoco di Cartesio, il fuoco di Pascal,
cenere, scintilla.
Di notte arde un falò invisibile,
il fuoco, che consumandosi non distrugge
ma crea, come se in un attimo
volesse restituire ciò che le fiamme
hanno sottratto in vari continenti,
la biblioteca di Alessandria, la fede
dei Romani e la paura di una bimba
nella Nuova Zelanda.
     Il fuoco, come le armate
dei Mongoli devasta e brucia le città
di legno e di pietra, e poi innalza
case lievi e palazzi invisibili,
ordina a Cartesio
di demolire la filosofia e di erigerne un’altra,
si trasforma nel roveto ardente,
sveglia Pascal, suona le campane
e le fonde per eccesso di zelo.
Avete visto come legge
i libri? Pagina dopo pagina, lentamente,
come chi ha appena imparato
a sillabare.
       Il fuoco, il fuoco, il fuoco eterno,
il fuoco di Eraclito, l’avido messaggero,
un ragazzo dalle labbra nere di bacche.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Krystyna Jaworska)

da “Dalla vita degli oggetti”, Poesie 1983-2005, Adelphi, 2012

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Fuoco, fuoco

Fuoco di Cartesio, fuoco di Pascal,
cenere, barlume, favilla.
A notte arde un invisibile falò,
un fuoco che comburendo non distrugge
bensì crea, come se volesse rendere
in un istante ciò che avevano sottratto
le fiamme in vari continenti,
la biblioteca di Alessandria, la fede
dei Romani e l’angoscia di una bambina
piccola della Nuova Zelanda.
                        Il fuoco come le armate
dei Mongoli devasta e brucia le città
lignee e petrose, e poi erige
lievi case e impercettibili palazzi,
impone a Cartesio
di abbattere la filosofia e costruirne una nuova,
si trasforma in un frutice ardente,
desta Pascal, percuote le campane
e le liquefa per eccesso di zelo.
Avete visto come legge
i libri, lui? Foglio a foglio, lentamente,
come qualcuno che abbia appena imparato
a sillabare.
                    Fuoco, fuoco, eterno
fuoco di Eraclito, cupido messaggero,
fanciullo dalla bocca annerita dalle bacche.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Marco Bruno)

da “ Andare a Leopoli e altre poesie, 1985, in “Guarire dal silenzio, Nuovi versi e poesie scelte”, “Lo Specchio” Mondadori, 2020

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Ogień, ogień

Ogień Kartezjusza, ogień Pascala,
popiół, iskra.
W nocy płonie niewidzialne ognisko,
ogień, który paląc się nie niszczy
tylko tworzy, jakby chciał oddać
w jednej chwili to, co zabrały
płomienie na różnych kontynentach,
bibliotekę w Aleksandrii, wiarę
Rzymian i lęk małej dziewczynki
z Nowej Zelandii.
                                    Ogień jak armie
Mongołów pustoszy i pali drewniane
i kamienne miasta, a potem wznosi
lekkie domy i niewidoczne pałace,
nakazuje Kartezjuszowi
obalić filozofię i zbudować nową,
przemienia się w krzew gorejący,
budzi Pascala, uderza w dzwony
i topi je z nadmiaru gorliwości.
Czy widzieliście, jak on czyta
książki? Kartkę po kartce, powoli,
jak ktoś, kto dopiero nauczył się
sylabizować.
                                            Ogień, ogień, wieczny
ogień Heraklita, chciwy posłaniec,
chłopiec o czarnych od jagód ustach.

Adam Zagajewski

da “Jechać do Lwowa”, London: Aneks, 1985

Il tappeto volante – Piero Bigongiari

Dipinto di Nicolò Bambini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono andato dicendo che non tutto
è perduto per trovare il coraggio
di non riconoscerlo.

Ma che cosa
si perde infine quando tutto, tutto
deve passare per la cruna in cui
il conosciuto si fa sconosciuto
mentre il filo diviene una trama,
il luogo un labirinto, e chi ama
ha lasciato fuori la tessitrice
e l’istrice cammina accanto al santo?

Il costrutto non può preventivare
il progetto, il frutto devi amarlo
quando brilla nell’aria inaspettato.
Se una durata diviene un tessuto,
su quel tappeto proverò a volare
come un mago orientale.

Ho camminato
anche troppo tra cose consuete.
Anche la sete forse non è più
quella che ti toglievi alla giumella
delle mani congiunte. So, la stella
non è quella che brilla in fondo al pozzo.
Occorre alzare gli occhi dall’abisso
occhiuto che ti guarda. Quale ciarla
il secolo ha proposto al proprio muto
interrogarsi! Fissa l’invisibile
parete se tu vuoi oltrepassarla.

Anche l’amore mostra il proprio refe
ma è diverso dal filo che un’Arianna
ti porse. Il labirinto fu tessuto
da chi ne volò via con poca cera
e poche penne. Ne sei tu l’intrico
da lasciare se lasci anche te stesso
e ti trovi sulla riva del mare
dove lo sconosciuto sta arrivando:
è l’altro in te, sei tu nell’altro: è
il tarlo che ha finito di bucare
la caverna. Lascia la luce ondare
sull’onda. Sii la luce, non la sponda.
Pósati dove essa sottrae all’ombra
quell’infinito dire altro del mare,
l’infinito confondersi in se stesso
dell’altro mentre appare, onda di sguardo
che scompare nel tuo stesso ritardo.

Làsciati andare a chi non ti trattiene.
Il discorso si spezza a mezzo, il
singhiozzo è ora quello del gabbiano.
(A Dover il suo pianto era quasi
umano nella notte che passai
cosmica a un passo dalle sue scogliere).
La mano struscia sulla roccia calda
la volontà che aveva di indicare
nel silenzio l’aprirsi della valva
e il suo chiudersi, quel suo respirare
di mitilo nella luce dell’alba.

Piero Bigongiari

(7 febbraio – 3 dicembre 1990)

da “La legge e la leggenda” (1986-1991), “Saggi e testi” Mondadori, 1992

Per quanto sta in te – Constantino Kavafis

Foto di Amani Willett

 

E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.

Non sciuparla portandola in giro
in balía del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.

Constantino Kavafis

(Traduzione di Margherita Dalmàti e Nelo Risi)

da “Constantinos Kavafis, Cinquantacinque poesie”, Torino, Einaudi, 1968

∗∗∗

Ὅσο μπορεῖς

Κι ἂν δέν μπορεῖς νά ϰάμεις τήν ζωή σου ὅπως τήν θέλεις,
τοῦτο προσπάθησε τουλάχιστον
ὅσο μπορεῖς: μήν τήν ἐξευτελίζεις
μές στήν πολλή συνάφεια τοῦ ϰόσμου,
μές στές πολλές ϰινήσεις ϰι ὁμιλίες.

Μήν τήν ἐξευτελίζεις πηαίνοντάς την,
γυρίζοντας συχνά ϰ’ ἐϰθέτοντάς την
στῶν σχέσεων ϰαί τῶν συναναστροφῶν
τήν ϰαθημερινήν ἀνοησία,
ὣς πού νά γίνει σά μιά ξένη φορτιϰή.

Κωνσταντίνος Καβάφης

da “Ποιήματα 1897-1933”, Ίκαρος, 1984

Lava – Adam Zagajewski

Foto di Renate von Mangoldt

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E se Eraclito e Parmenide
avessero ragione contemporaneamente
e due mondi esistessero affiancati
uno tranquillo, l’altro folle; una freccia
scocca immemore, e l’altra indulgente
la osserva; lo stesso flutto si frange e non si frange,
gli animali nascono e muoiono nello stesso istante,
le foglie di betulla giocano con il vento e al contempo
si struggono in una crudele fiamma rugginosa.
La lava uccide e serba, il cuore batte e viene colpito,
c’era la guerra, la guerra non c’era,
gli ebrei sono morti, vivono gli ebrei, le città bruciarono,
le città rimangono, l’amore avvizzisce, il bacio è eterno,
le ali dello sparviero devono essere brune,
tu sei sempre con me, anche se non ci siamo più,
le navi affondano, la sabbia canta e le nuvole
vagano come veli nuziali sfilacciati.

Tutto è perduto. Tanto incanto. I colli
reggono cauti lunghi stendardi boscosi,
il muschio sale sul campanile di pietra della chiesa
e con labbra minute timidamente loda il Settentrione.
Al crepuscolo i gelsomini brillano come lampade
folli stordite dalla propria luce.
Nel museo davanti a una tela scura
si stringono pupille feline. Tutto è finito.
I cavalieri galoppano su cavalli neri, il tiranno scrive
una sgrammaticata condanna a morte.
La giovinezza si dissolve nell’arco
di un giorno, i volti delle fanciulle si fanno
medaglioni, la disperazione volge in estasi
e i duri frutti delle stelle crescono nel cielo
come grappoli d’uva e la bellezza dura, tremula, immota
e Dio c’è e muore, la notte torna a noi
sul fare della sera, e l’alba è brizzolata di rugiada.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Krystyna Jaworska)

da “Dalla vita degli oggetti”, Poesie 1983-2005, Adelphi, 2012

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Lawa

Cóż jednak, pomyślałem, jeżeli jednocześnie
i Heraklit, i Parmenides mają rację
i tuż obok siebie istnieją dwa światy,
jeden spokojny, drugi szalony; jedna strzała
mknie bez pamięci a druga przygląda się jej
z pobłażaniem; ta sama fala płynie i nie płynie,
zwierzęta rodzą się i giną w tej samej chwili,
listki brzozy bawią się wiatrem i jednocześnie
niszczeją w rdzawym, okrutnym płomieniu.
Lawa zabija i utrwala, serce uderza
i jest uderzone, była wojna, wojny nie było,
Żydzi umarli, Żydzi żyją, miasta spłonęły,
miasta stoją, miłość płowieje, wieczny pocałunek,
skrzydła jastrzębia muszą być brązowe,
ty wciąż jesteś ze mną chociaż nas już nie ma,
okręty toną, piasek śpiewa i chmury
wędrują jak strzępy weselnych welonów.

Wszystko stracone. Tyle olśnienia. Wzgórza
niosą ostrożnie długie chorągwie lasu,
mech wchodzi na kamienną wieżę kościoła
i małymi ustami nieśmiało chwali północ.
O zmierzchu jaśminy świecą jak dzikie
lampy oszołomione własnym blaskiem.
W muzeum przed ciemnym płótnem zwężają się
czyjeś kocie źrenice. Wszystko skończone.
Jeźdźcy pędzą na czarnych koniach, tyran układa
wyrok śmierci pełen błędów stylistycznych.
Młodość zamienia się w nicość w ciągu
jednego dnia, twarze dziewcząt zamieniają się
w medaliony, rozpacz zamienia się w zachwyt
i twarde owoce gwiazd rosną na niebie
jak winogrona i piękno trwa drżące i nieporuszone
i Bóg jest i umiera, noc wraca do nas
co wieczór a świt jest siwy od rosy.

Adam Zagajewski

da “Płótno, 1990”, in “Adam Zagajewski, Wiersze wybrane”, Wydawnictwo a5, 2010

«Si può trovare» – Giorgio Manganelli

Irving Penn, Two Liqueurs, New York, 1951

 

Si può trovare
una frammentaria divinità
anche in una scatola di sigarette,
in un giro di danza
in un denso bicchiere di malvasia;
e ci si può suicidare
nella gioia di vivere improvvisa
d’un lunapark
nei battiti dei fucilini
ed in ogni gesto del corpo
che muova solamente il corpo
senza moto dell’anima nel corpo –
trascurando con un sorriso imprevisto
il calcolo demente dei problemi
e con elusivo gesto della mano
allontanare la disperazione.
Non per questo si riposerà
la lunga solitudine,
né l’inganno della musica
ci porrà una mano su una spalla
contro l’uragano dell’assenza;
ma si tratta solo di ingannare
di mentire con placida umiltà
di gustare un corpo perituro
educare al nulla
una mano elegante,
abbandonarsi al dolce
amichevole vino –
gustare la joie de vivre,
dimenticare il corpo perituro
la solitudine essenziale,
– incenso di incenso devoto
offrire un fumo di sigarette
alla nostra distratta, frammentaria
divinità.

Giorgio Manganelli

da “Poesie”, Crocetti Editore, 2006