Scorrere o essere – Jorge Luis Borges

Jorge Luis Borges

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scorre nel cielo il Reno? C’è una forma
universale del Reno, c’è un archetipo,
che invulnerabile all’altro Reno, il tempo,
dura e perdura in un eterno Adesso
ed è sorgente del Reno che in Germania
segue il suo corso mentre io detto il verso?
Così lo congetturano i platonici;
così non la pensò Guglielmo d’Occam.
Disse che il Reno (la cui etimologia
è rinan, scorrere) non è altra cosa
che un arbitrario nome che gli uomini
danno alla fuga secolar dell’acqua
giù dai ghiacciai fino all’estrema spiaggia.
Può essere. Che altri lo decidano.
Esisto appena? ripeto la serie
di bianchi giorni e di buie notti
che amarono e cantarono, che lessero
e partirono paura e speranza,
o altro vi sarà, quell’io segreto
la cui forma oggi svanita
ho interrogato nell’ansioso specchio?
Forse dall’altro lato della morte
saprò se fui parola o fui qualcuno.

Jorge Luis Borges

(Traduzione di Domenico Porzio)

da “La cifra”, “Lo Specchio” Mondadori, 1982

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Correr o ser

¿Fluye en el cielo el Rhin? ¿Hay una forma
universal del Rhin, un arquetipo,
que invulnerable a ese otro Rhin, el tiempo,
dura y perdura en un eterno Ahora
y es raíz de aquel Rhin, que en Alemania
sigue su curso mientras dicto el verso?
Así lo conjeturan los platónicos;
así no lo aprobó Guillermo de Occam.
Dijo que Rhin (cuya etimología
es rinan o «correr») no es otra cosa
que un arbitrario apodo que los hombres
dan a la fuga secular del agua
desde los hielos a la arena última.
Bien puede ser. Que lo decidan otros.
¿Seré apenas, repito, aquella serie
de blancos días y de negras noches
que amaron, que cantaron, que leyeron
y padecieron miedo y esperanza
o también habrá otro, el yo secreto
cuya ilusoria imagen, hoy borrada,
he interrogado en el ansioso espejo?
Quizá del otro lado de la muerte
sabré si he sido una palabra o alguien.

Jorge Luis Borges

da “La Cifra”, Alianza Editorial S.A. Madrid, 1981

«Rivedo il tuo paese» – Giorgio Caproni

Trude Fleischmann, Tilly Losch-James, 1932

     

       Rivedo il tuo paese
di sassi rossi — le sere
così acute negli occhi,
tra i pini e le specchiere
celesti.

             Rivedo
i tuoi netti confini
d’iridata fanciulla
— il fuoco sulla bocca
duna chiusa rincorsa.

       Rivedo la tua rocca
distrutta — i tuoi primi
passi, dove la strada
dissentita trabocca.

Giorgio Caproni

da “Cronistoria”, 1938-1942, in “Giorgio Caproni, L’opera in versi”, “I Meridiani” Mondadori, 1998

«Tu non amavi l’amore» – Alexandra Petrova

 

Tu non amavi l’amore.
Ed ecco: è capitato.
Piú forte che per chi ne conosceva gli istinti.
E ora scròllati di dosso questi stracci, la pelle, i sogni:
imbevuti, stanno bruciando.

La conoscenza scrocchiò, matura. Mentre
una lumaca strisciava verso casa,
il sole si voltò dall’altra parte.
Lo spazio si incurvò e si contrasse.
Le porte che ogni giorno lasciavano entrare
adesso stavano cosí lontane.
C’era la luce sotto, o era un coltello
sguainato dalla luna nella nebbia,¹
chi lo capisce.

Il sentiero latteo della lumaca
luccicava in senso opposto.
Nel senso opposto a tutto.

Dai, spingi un po’ il corpo che è rimasto.
Lascia che si trascini, per adesso.
Trascínati,

non sono affari nostri.

Alexandra Petrova

(Traduzione di Pietro Alessandrini)

da “Altri fuochi”, Crocetti Editore, 2005

¹Coltello sguainato dalla luna nella nebbia: allusione a una “conta” di bambini: “La luna è uscita dalla nebbia e ha sguainato un coltello dalla tasca”.

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«Ты не любил любовь»

Ты не любил любовь.
Но вот она случилась.
Сильней, чем с тем, кто знал ее повадки.
Ну, сбрасывай теперь монатки, кожу, сны:
они горят, пропитанные ею.

Познанье спело хрустнуло. Пока
слизняк полз к дому,
солнце отвернулось.
Пространство выгнулось и сжалось.
Те двери, что впускали каждый день,
гак далеко теперь стояли.
И свез’ лежал под ними или нож,
что месяц выпустил в тумане,
не поймешь.

Молочная тропинка слизняка
в обратном направлении блестела.
В обратном направленьи от всего.

Ну, подтолкни оставшееся тело.
Пускай бредет пока.
Бреди,

не наше дело.

Александра Петрова

da “Вид на жительство”, 2000

Canone IV – Cristina Campo

 

Il Tremendo, conoscendone l’animo
pieghevole come il salice al vento dell’idolatria,
trasfuso ch’ebbe nella divina icone
il suo indicibile sguardo sugli uomini,
volle talora sottilmente provarne
l’antico occhio di carne,
un lampo trasfondendo della suprema Maschera
in un volto di carne:
centro celato nel cerchio, essenza nella presenza,
lido inafferrabilmente coperto e riscoperto
della Somiglianza, fermo orizzonte dell’Immagine,
all’incrocio del tempo e dell’eterno,
là dove la Bellezza,
la Bellezza a doppia lama, la delicata,
la micidiale, è posta
tra l’altero dolore e la santa umiliazione,
il barbaglio salvifico e
l’ustione,
per la vivente, efficace separazione
di spirito e anima, di midolla e giuntura,
di passione e parola…
                                          O quanto ci sei duro
Maestro e Signore! Con quanti denti il tuo amore
ci morde! Ciò che dal tuo temibile
pollice luminoso è segnato
– spazio ducale tra due sopraccigli, emisferi
cristallini di tempie, sguardi senza patria quaggiù,
silenzi più remoti dell’uranico vento –
ancora e ancora, scoperta e riscoperta
la tua Cifra per ogni angolo della terra, per ogni angolo
dell’anima da te è gettata, da te è scagliata:
a testimoniare, a ferire,
a insolubilmente saldare
a inguaribilmente separare.

Cristina Campo

da “Poesie Sparse”, in “Cristina Campo, La Tigre Assenza”, Adelphi Edizioni, 1991

Eracle e noi – Ghiannis Ritsos

Ghiannis Ritsos

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Grande e possente, ti dicono, figlio d’un Dio, e con tanti maestri in sovrappiù: –
il vecchio Lino, figlio d’Apollo, che gl’insegna a leggere e a scrivere; Èurito
l’arte dell’arco; Eumolpo, figlio di Filammone,
la lira e il canto; e, cosa più importante, il figlio d’Ermete, Arpàlico,
le cui terribili, folte sopracciglia occupavano metà della sua fronte,
gl’insegnò a dovere l’arte degli Argivi: – lo sgambetto; – con quella
si conquista praticamente tutto, nel pugilato, nella lotta, perfino nelle Lettere.
Quanto a noialtri, figli di mortali, senza maestri, con la sola nostra volontà,
con perseveranza e discernimento e sacrifici siamo diventati quello che siamo. Non ci sentiamo affatto
inferiori, non abbassiamo gli occhi. Nostre uniche pergamene
tre parole: Makrònissos, Ghiaros e Leros. E se maldestri dovessero sembrarvi un giorno i nostri versi, ricordate solo che furono scritti
sotto il naso delle guardie, la baionetta puntata sempre alle costole.
Né servono giustificazioni – prendeteli nudi come sono, l’austero Tucidide vi dirà più del prezioso Senofonte.

Ghiannis Ritsos

(Traduzione di Nicola Crocetti)

da “Ripetizioni”, in “Pietre Ripetizioni Sbarre”, Crocetti Editore, 2020

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Ο Ηρακλής κι εμείς

Μεγάλος και τρανός, σου λένε, τέκνο Θεού, κι ένα σωρό δασκάλοι από πάνω: —
ο γερο-Λίνος, γιος του Απόλλωνα, ναν του μαθαίνει γράμματα· ο Εύρυτος
την τέχνη του τοξότη· ο Εύμολπος, γιος του Φιλάμμωνα,
τραγούδι και λύρα· και, το πιο σπουδαίο απ’ όλα, ο γιος του Ερμή, ο Αρπάλυκος,
που τα παχιά, τα τρομερά του φρύδια πιάναν το μισό του κούτελο,
του ’μαθε για καλά την τέχνη των Αργείων: — την τρικλοποδιά· — με τούτην
κερδίζονται τα πιο πολλά, στην πυγμαχία, στην πάλη, και στα Γράμματα ακόμα.
Όμως εμείς, τέκνα θνητών, δίχως δασκάλους, με δικιά μας μόνο θέληση
μ’ επιμονή κι επιλογή και βάσανα, γίναμε αυτό που γίναμε. Καθόλου
δε νιώθουμε πιο κάτου, μήτε χαμηλώνουμε τα μάτια. Μόνες
περγαμηνές μας: τρεις λέξεις: Μακρόνησος, Γυάρος και Λέρος. Κι αν αδέξιοι
μια μέρα σάς φανούν οι στίχοι μας, θυμηθείτε μονάχα πως γραφτήκαν
κάτω απ’ τη μύτη των φρουρών, και με τη λόγχη πάντα στο πλευρό μας.
Κι ούτε χρειάζονται δικαιολογίες, —πάρτε τους γυμνούς, έτσι όπως είναι,—
πιότερα ο Θουκυδίδης ο στεγνός θα σας πει απ’ τον περίτεχνο τον Ξενοφώντα.

Γιάννης Ρίτσος

Λέρος, 23.III.68

da “Πέτρες Eπαναλήψεις Kιγχλίδωμα” © Ery Ritsou, 1970