L’apice – Jorge Luis Borges

José María Fernández, Jorge Luis Borges, Hôtel des Beaux Arts, Paris, 1969

 

Non ti potrà salvare ciò che scrissero
Coloro che la tua paura implora;
Tu non sei gli altri e ti vedi ora
Centro del labirinto che tramarono
I tuoi passi. Non ti salva l’agonia
Di Gesù o di Socrate né il forte
Aureo Siddharta che accettò la morte
In un giardino, al declinar del giorno.
Polvere è pure la parola scritta
Dalla tua mano o il verbo pronunciato
Dalla tua bocca. Non perdona il Fato
E la notte di Dio è infinita.
Tu sei fatto di tempo, di incessante
Tempo. Sei ogni solitario istante.

Jorge Luis Borges

(Traduzione di Domenico Porzio)

da “La cifra”, “Lo Specchio” Mondadori, 1982

***

El ápice

No te habrá de salvar lo que dejaron
Escrito aquellos que tu miedo implora;
No eres los otros y te ves ahora
Centro del laberinto que tramaron
Tus pasos. No te salva la agonía
De Jesús o de Sócrates ni el fuerte
Siddharta de oro que aceptó la muerte
En un jardín, al declinar el día.
Polvo también es la palabra escrita
Por tu mano o el verbo pronunciado
Por tu boca. No hay lástima en el Hado
Y la noche de Dios es infinita.
Tu materia es el tiempo, el incesante Tiempo.
Eres cada solitario instante.

Jorge Luis Borges

da “La cifra”, Alianza Editorial, S. A. Madrid, 1981

Elogio dell’ombra – Jorge Luis Borges

Ferdinando Scianna, Jorge Luis Borges, Palermo, Sicilia, 1984

 

La vecchiaia (è questo il nome che gli altri le danno)
può essere il tempo della nostra felicità.
L’animale è morto o è quasi morto.
Rimangono l’uomo e la sua anima.
Vivo tra forme luminose e vaghe
che non sono ancora le tenebre.
Buenos Aires,
che prima si lacerava in suburbi
verso la pianura incessante,
è diventata di nuovo la Recoleta, il Retiro,
le sfocate case dell’Once
e le precarie e vecchie case
che chiamiamo ancora il Sur.
Nella mia vita sono sempre state troppe le cose;
Democrito di Abdera si strappò gli occhi per pensare;
il tempo è stato il mio Democrito.
Questa penombra è lenta e non fa male;
scorre per un mite pendio
e assomiglia all’eternità.
I miei amici non hanno volto,
le donne sono quel che erano molti anni fa,
gli incroci delle strade potrebbero essere altri,
non ci sono lettere sulle pagine dei libri.
Tutto questo dovrebbe intimorirmi,
ma è una dolcezza, un ritorno.
Delle generazioni di testi che ci sono sulla terra
ne avrò letti solo alcuni,
quelli che continuo a leggere nella memoria,
a leggere e a trasformare.
Dal Sud, dall’Est, dall’Ovest, dal Nord,
convergono i cammini che mi hanno portato
nel mio segreto centro.
Quei cammini furono echi e passi,
donne, uomini, agonie, resurrezioni,
giorni e notti,
dormiveglia e sogni,
ogni infimo istante dello ieri
e di tutti gli ieri del mondo,
la ferma spada del danese e la luna del persiano,
gli atti dei morti,
il condiviso amore, le parole,
Emerson e la neve e tante cose.
Adesso posso dimenticarle. Arrivo al mio centro,
alla mia algebra, alla mia chiave,
al mio specchio.
Presto saprò chi sono.

Jorge Luis Borges

(Traduzione di Livio Bacchi Wilcock)

da “Jorge Luis Borges, Poesie”, BUR, Milano, 2004 

***

Elogio de la sombra

La vejez (tal es el nombre que los otros le dan)
puede ser el tiempo de nuestra dicha.
El animal ha muerto o casi ha muerto.
Quedan el hombre y su alma.
Vivo entre formas luminosas y vagas
que no son aún la tiniebla.
Buenos Aires,
que antes se desgarraba en arrabales
hacia la llanura incesante,
ha vuelto a ser la Recoleta, el Retiro,
las borrosas calles del Once
y las precarias casas viejas
que aún llamamos el Sur.
Siempre en mi vida fueron demasiadas las cosas;
Demócrito de Abdera se arrancó los ojos para pensar;
el tiempo ha sido mi Demócrito.
Esta penumbra es lenta y no duele;
fluye por un manso declive
y se parece a la eternidad.
Mis amigos no tienen cara,
las mujeres son lo que fueron hace ya tantos años,
las esquinas pueden ser otras,
no hay letras en las páginas de los libros.
Todo esto debería atemorizarme,
pero es una dulzura, un regreso.
De las generaciones de los textos que hay en la tierra
sólo habré leído unos pocos,
los que sigo leyendo en la memoria,
leyendo y transformando.
Del Sur, del Este, del Oeste, del Norte,
convergen los caminos que me han traído
a mi secreto centro.
Esos caminos fueron ecos y pasos,
mujeres, hombres, agonías, resurrecciones,
días y noches,
entresueños y sueños,
cada ínfimo instante del ayer
y de los ayeres del mundo,
la firme espada del danés y la luna del persa,
los actos de los muertos,
el compartido amor, las palabras,
Emerson y la nieve y tantas cosas.
Ahora puedo olvidarlas. Llego a mi centro,
a mi álgebra y mi clave,
a mi espejo.
Pronto sabré quién soy.

Jorge Luis Borges

da “Elogio de la sombra”, Emecé Editores, Buenos Aires, 1969

Rimembranza. – Friedrich Hölderlin

Eugène Louis Boudin, Bordeaux, bâteaux sur la Garonne

 

Soffia il nordest,
Tra i venti a me il più
Caro, poiché spirito infuocato
E buona traversata promette ai naviganti.
Ma va’, ora, e saluta
La bella Garonne,
E i giardini di Bourdeaux
Là, dove sulla riva scoscesa
Corre il pontile e nel fiume
Cade profondo il ruscello, ma dall’alto
Una nobile coppia guarda
Di querce e argentei pioppi;

Ancora me ne ricordo e come
Il bosco d’olmi piega
Le ampie cime, sul mulino,
Ma nel cortile cresce un albero di fichi.
Nei giorni di festa là vanno
Le donne brune
Su un suolo di seta
Al tempo di marzo,
Quando il giorno è uguale alla notte,
E su indolenti pontili,
Gravi di sogni dorati,
Soffiano brezze che cullano.

Ma si porga,
Colmo della luce oscura,
A me il calice profumato,
Per riposare; giacché dolce
Sarebbe il sonno tra ombre.
Non è bene essere
Inanimi per pensieri
Mortali. Ma bene
È un colloquio e dire
L’avviso del cuore, ascoltare molto
Dei giorni dell’amore,
E delle gesta che accaddero.

Ma dove sono gli amici? Bellarmin
Con il compagno? Molti
Hanno timore di andare alla sorgente;
Inizia infatti nel mare
La ricchezza. Loro,
Come pittori, mettono insieme
La bellezza della terra e la guerra alata
Non disprezzano, e
Vivere soli, per anni, sotto
Lo spoglio albero maestro, dove la notte non rischiarano
I giorni di festa della città,
E non la cetra e non la danza nativa.

Ma dagli indiani ora sono
Andati gli uomini,
Là, in riva alla punta ariosa,
Ai vigneti sui monti, dai quali
Scende la Dordogne,
E insieme con la sfarzosa
Garonne vasto come il mare
Sfocia il fiume. Ma prende
E dà memoria il mare,
E l’amore, è vero, fissa assiduo gli occhi,
Ma ciò che resta è un dono dei poeti.

Friedrich Hölderlin

(Traduzione di Luigi Reitani)

da Friedrich Hölderlin, Tutte le liriche”, “I Meridiani” Mondadori, 2001

∗∗∗

Andenken.

Der Nordost wehet,
Der liebste unter den Winden
Mir, weil er feurigen Geist
Und gute Fahrt verheißet den Schiffern.
Geh aber nun und grüße
Die schöne Garonne,
Und die Gärten von Bourdeaux
Dort, wo am scharfen Ufer
Hingehet der Steg und in den Strom
Tief fällt der Bach, darüber aber
Hinschauet ein edel Paar
Von Eichen und Silberpappeln;

Noch denket das mir wohl und wie
Die breiten Gipfel neiget
Der Ulmwald, über die Mühl’,
Im Hofe aber wachset ein Feigenbaum.
An Feiertagen gehn
Die braunen Frauen daselbst
Auf seidnen Boden,
Zur Märzenzeit,
Wenn gleich ist Nacht und Tag,
Und über langsamen Stegen,
Von goldenen Träumen schwer,
Einwiegende Lüfte ziehen.

Es reiche aber,
Des dunkeln Lichtes voll,
Mir einer den duftenden Becher,
Damit ich ruhen möge; denn süß
War‘ unter Schatten der Schlummer.
Nicht ist es gut,
Seellos von sterblichen
Gedanken zu seyn. Doch gut
Ist ein Gespräch und zu sagen
Des Herzens Meinung, zu hören viel
Von Tagen der Lieb’,
Und Thaten, welche geschehen.

Wo aber sind die Freunde? Bellarmin
Mit dem Gefährten? Mancher
Trägt Scheue, an die Quelle zu gehn;
Es beginnet nemlich der Reichtum
Im Meere. Sie,
Wie Mahler, bringen zusammen
Das Schöne der Erd‘ und verschmähn
Den geflügelten Krieg nicht, und
Zu wohnen einsam, jahrlang, unter
Dem entlaubten Mast, wo nicht die Nacht durchglänzen
Die Feiertage der Stadt,
Und Saitenspiel und eingeborener Tanz nicht.

Nun aber sind zu Indiern
Die Männer gegangen,
Dort an der luftigen Spiz’,
An Traubenbergen, wo herab
Die Dordogne kommt,
Und zusammen mit der prächt‘gen
Garonne meerbreit
Ausgehet der Strom. Es nehmet aber
Und giebt Gedächtniß die See,
Und die Lieb’ auch heftet fleißig die Augen,
Was bleibet aber, stiften die Dichter.

Friedrich Hölderlin

Prima pubblicazione in Musenalmanach für das Jahr 1808, a cura di L. Freiherrn von Seckendorf, Montag- und Weißischen Buchhandlung.

 

“‘Andenken’, la rimembranza, non è soltanto il ricordo degli amici francesi, è la memoria in sé presa, è Mnemosyne stessa, la capacità, la volontà, il dovere di ricordare. La poesia è veramente il trionfo poetico della memoria, se è vero che l’arte nasce soltanto dal connubio dell’ispirazione e della memoria, se è vero che le Muse sono figlie di Apollo e Mnemosyne.” E infine: “Nessun indizio del caos in questa poesia, nessuna interruzione della coerenza fantastica, nessuna delle solite sovrapposizioni e contaminazioni d’immagini. Intessuto di elementi visivi nuovi, Andenken possiede un’intensa, drammatica vita interna ed una struttura compiuta e salda pur nella sua misteriosa gracilità. Ma l’addio agli amici di Francia fu anche l’addio alla grande, alla vera poesia”.
Mittner L., Storia della letteratura tedesca. Dal pietismo al romanticismo (1700-1820), Einaudi, Torino, 1964.

Per Tess – Raymond Carver

Bonnie Schiffman, Tess Gallagher and Raymond Carver

 

Giù nello Stretto le onde schiumano
come dicono qui. Il mare è mosso e meno male
che non sono uscito. Sono contento d’aver pescato
tutto il giorno a Morse Creek, trascinando avanti
e indietro un Daradevil rosso. Non ho preso niente.
Neanche un morso. Ma mi sta bene così. È stato bello!
Avevo con me il temperino di tuo padre e sono stato seguito
per un po’ da una cagnetta che i padroni chiamavano Dixie.
A volte mi sentivo così felice che dovevo smettere
di pescare. A un certo punto mi sono sdraiato sulla sponda
e ho chiuso gli occhi per ascoltare il rumore che faceva l’acqua
e il vento che fischiava sulla cima degli alberi. Lo stesso vento
che soffia giù nello Stretto, eppure è diverso.
Per un po’ mi son lasciato immaginare che ero morto
e mi stava bene anche quello, almeno per un paio
di minuti, finché non me ne sono ben reso conto: Morto.
Mentre me ne stavo lì sdraiato a occhi chiusi,
dopo essermi immaginato come sarebbe stato
se non avessi davvero potuto più rialzarmi, ho pensato a te.
Ho aperto gli occhi e mi sono alzato subito
e son ritornato a esser contento.
È che te ne sono grato, capisci. E te lo volevo dire.

Raymond Carver

(Traduzione di Riccardo Duranti)

da “Racconti in forma di poesia”, Ed. Minimum Fax, 1999

∗∗∗

For Tess

Out on the Strait the water is whitecapping,
as they say here. It’s rough, and I’m glad
I’m not out. Glad I fished all day
on Morse Creek, casting a red Daredevil back
and forth. I didn’t catch anything. No bites
even, not one. But it was okay. It was fine!
I carried your dad’s pocketknife and was followed
for a while by a dog its owner called Dixie.
At times I felt so happy I had to quit
fishing. Once I lay on the bank with my eyes closed,
listening to the sound the water made,
and to the wind in the tops of the trees. The same wind
that blows out on the Strait, but a different wind, too.
For a while I even let myself imagine I had died –
and that was all right, at least for a couple
of minutes, until it really sank in: Dead.
As I was lying there with my eyes closed,
just after I’d imagined what it might be like
if in fact I never got up again, I thought of you.
I opened my eyes then and got right up
and went back to being happy again.
I’m grateful to you, you see. I wanted to tell you.

Raymond Carver

da “All Of Us: The Collected Poems”, New York: Alfred A.Knopf, 1998

Lavori in corso – Vittorio Sereni

Mario de Biasi, New York, 1955

I

Sarà che esistono vite come foglie morte –
la casa tra le acque
                                   evidentemente in rovina
quella lebbra repressa dall’acciaio
quei ragnateli di suoni domestici di appena ieri
(e vuoti i letti umidi i divani le poltrone deserte)
lasciala nel lampo del suo enigma
espunta dal traffico riproposta a ogni rotazione del Riverside Drive

non chiederti dove saranno mai finiti
non dire che la vita è carbonizzazione o divorzio
(ma strano che uno ricordi solo questo di una intera metropoli)

oppure inezie di un viaggio d’inverno nell’immenso –
il palpebrìo del jet nel suo orgasmo di mutante
quando è ancora e non è più
un numero-luce scattato sul tabulatore di New York

o anche quei segni dipinti negli atrii dei formicai –
foglianti epidemie su pareti piastrelle carte da parati
che ci fanno le piccole svastiche qui nel Bronx,
ce n’erano tanti – dicono – ce ne sono tra colombe e falchi
ma puoi anche supporli come emblemi vecchi motivi indiani,
comunque si biforchino in questo mezzo sonno:
drappi e stendardi calpestati in Europa
o l’ombra senza speranza dell’indio tra i grattacieli?
Altre sono in cammino nell’agonia o nell’estasi
nuove ombre mi inquietano che intravedendo non vedo.

II

A certi che so non gli basta
di volermi morto. Tale mi sperano:
morto, ma con infamia. Non sanno
che ho fatto di peggio che li ho
miniaturizzati nel ricordo.

Ma questi di qui sono foglie
inezie segni che lavorano in grande
non quei congelati in miniatura quei non addetti
bocche minime vocianti sotto vetro
– e avrebbero ragione se solo sapessero –
rattrappite per sempre nella colata
fossili nel cemento vivo.

III

Inopportuno futile intempestivo
lo spiritello di cui sopra.

Scatta e lo annienta un altro
battente diversa ala da laggiù
dal mare se mare è quel grigio
d’inesistenza attorno a Ellis Island
isolotto già di quarantena
sfumante in nube di memoria:
del giovane Charlie
Chaplin e di quanti con lui
in lista con lui d’attesa
bussarono alle porte degli Stati
con tutta quell’america davanti
presto travolti in quelle
storie sue prime d’ombre
velocissime
di emigranti sguatteri vagabondi
– e vorrebbero oggi rifarsi ricomporsi
con gli sbuffi di fumo del sottosuolo
sempre oro cercando i testardi
contro le vetrate spente
sul gelo sul deserto qui in Wall Street
una domenica.

Vittorio Sereni

New York, 1967

da “Stella variabile”, Garzanti, 1981

Lavori in corso I: «e vuoti i letti ecc.» riproduce in adattamento italiano due versi della poesia These di William Carlos Williams.
III: Ellis Island, centro di sosta e transito per immigranti, porta ufficiale e simbolica per milioni di futuri cittadini statunitensi dal 1892 al 1954, anno in cui il centro fu chiuso. La piccola isola è poi diventata monumento storico in aggiunta alla non lontana Statua della Libertà.