Fiume poesia – Antonis Fostieris

Foto di Minor White

 

Caddi in una buca di bianco e mi bruciai.

Eppure la poesia è un fiume
Una meravigliosa umidità
Credo che plachi l’ira del silenzio
Se l’ho tradito. Non ho colpa, lo giuro.
Alcuni hanno dimenticato sulla mensola un vaso di vocali
Che avrei potuto raggiungere. Poi imparai a costruire barchette
Con bucce di sillabe. Piccole quanto il dito di un bimbo,
Le gettavo nell’acqua corrente –
Allora capii: solo la separazione
Unisce gli uomini. Il resto
Lo sapete da altri racconti. Come “indietro non si torna”
Come “non è possibile bagnarsi due volte nella stessa acqua” e simili.
Ce l’hanno detto e ripetuto, come se l’evidenza
Necessitasse d’interpretazione. Ma la poesia
È un fiume di lacrime estranee. Bambino diventato adulto
Lo vedo spesso tornare alla sua piccola fonte.
E quando si gonfia
Di troppo amore,

                          Annega.

Antonis Fostieris

(Traduzione di Nicola Crocetti) 

da “Il pensiero appartiene al dolore (1966)”, in “Nostalgia del presente”, Crocetti Editore, 2021

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Ποτάμι ποίημα

Ἔπεσα σέ λάϰϰο μέ ἄσπρο ϰαί ϰάηϰα.

Ὅμως τό ποίημα εἶναι ποτάμι
Καί μια ὑγρασία θαυμαστιϰή
Θαρρῶ γλυϰαίνει τή σιωπή ἀπ’ τήν ὀργή της
Ἂν τήν πρόδωσα. Δέ φταίω, τ’ ὁρϰίζομαι.
Κάποιοι ξεχάσαν ἕνα βάζο μέ φωνήεντα στο ράφι
Πού θά τό’ φτανα. Ὕστερα ἔμαθα μέ φλοῦδες συλλαβῶν
Νά φτιάνω πλοῖα. Μιϰρά, ὅσο το δάχτυλο παιδιοῦ
Καί τά’ ριχνα μές στύ νεράϰι πού ἔέφευγε –
Τότε ϰατάλαβα: μονάχα ὁ χωρισμός
Ἑνώνει τούς ἀνθρώπους. Τά ὑπόλοιπα
Τά ξέρετε ἀπό ἄλλες διηγήσεις. Πώς “πίσω δέ γυρνάει”
Πώς “δίς ἐμβῆναι τῷ αύτῷ οὐϰ ἔστιν” ϰαί τά ὅμοια.
Μᾶς τά’ παν, τά ξανάπαν, σάν τό αὐτονόητο
Νά εἶχε χρείαν ἐρμηνείας. Ἀλλά τό ποίημα
Εἶναι ποτάμι ἀπό δάϰρυα ξένα. Παιδί πού ἀντρώθηϰε
Συχνά τό βλέπω νά γυρνάει πρός τήν πηγούλα του.
Κι ὅταν φουσϰώνει
Ἀπ’ τήν πολλήν ἀγάπη,

                                      Πνίγει.

Ἀντώνης Φωστιέρης

da “Ἡ σϰέφη ἀνήϰεί στη λύπη”, 1996 

La rosa bianca – Attilio Bertolucci

Dorothy Barton, Emma Barton (née Rayson), 1872-1938

 

Coglierò per te
l’ultima rosa del giardino,
la rosa bianca che fiorisce
nelle prime nebbie.
Le avide api l’hanno visitata
sino a ieri,
ma è ancora così dolce
che fa tremare.
È un ritratto di te a trent’anni,
un po’ smemorata, come tu sarai allora.

Attilio Bertolucci

da “Fuochi in novembre”, Minardi, Parma, 1934

Agonia – Cesare Pavese

Manuel Álvarez Bravo, El ensueño, 1931

 

Girerò per le strade finché non sarò stanca morta
saprò vivere sola e fissare negli occhi
ogni volto che passa e restare la stessa.
Questo fresco che sale a cercarmi le vene
è un risveglio che mai nel mattino ho provato
cosí vero: soltanto, mi sento piú forte
che il mio corpo, e un tremore piú freddo accompagna il mattino.

Son lontani i mattini che avevo vent’anni.
E domani, ventuno: domani uscirò per le strade,
ne ricordo ogni sasso e le striscie di cielo.
Da domani la gente riprende a vedermi
e sarò ritta in piedi e potrò soffermarmi
e specchiarmi in vetrine. I mattini di un tempo,
ero giovane e non lo sapevo, e nemmeno sapevo
di esser io che passavo – una donna, padrona
di se stessa. La magra bambina che fui
si è svegliata da un pianto durato per anni:
ora è come quel pianto non fosse mai stato.

E desidero solo colori. I colori non piangono,
sono come un risveglio: domani i colori
torneranno. Ciascuna uscirà per la strada,
ogni corpo un colore – perfino i bambini.
Questo corpo vestito di rosso leggero
dopo tanto pallore riavrà la sua vita.
Sentirò intorno a me scivolare gli sguardi
e saprò d’esser io: gettando un’occhiata,
mi vedrò tra la gente. Ogni nuovo mattino,
uscirò per le strade cercando i colori.

Cesare Pavese

[1933]

da “Le poesie aggiunte”, in “Lavorare stanca”, Einaudi, Torino, 1998

Se non mi avessi dato la poesia, Signore – Nikiforos Vrettakos

Herbert List, Church, Cyclades Island of Mykonos, Greece

 

Se non mi avessi dato la poesia, Signore,  
non avrei nulla per vivere.
Questi campi non sarebbero miei.
Mentre ora ho la fortuna di possedere meli,
le mie pietre buttano rami,
i miei pugni si riempiono di sole,
di gente il mio deserto,
di usignoli i miei giardini.

Allora, come ti sembrano? Hai visto
le mie spighe, Signore? Hai visto le mie vigne?
Hai visto che bella la luce che cade
sulle mie valli serene?
E ho ancora tempo!
Non ho dissodato tutto il mio terreno, Signore.
Mi ara il mio dolore e cresce la mia eredità.
Prodigo il mio sorriso come pane che si divide.
                                                                         Tuttavia
non scialacquo a vanvera il tuo sole.
Non butto nemmeno una briciola di ciò che mi dai.
Perché penso alla desolazione e ai rovesci dell’inverno.
Perché verrà la mia sera. Perché fra poco giungerà
la mia sera, Signore, e prima di partire
devo aver reso la mia capanna una chiesa
per i pastori dell’amore.

Nikiforos Vrettakos

(Traduzione di Filippomaria Pontani)

(da Il tempo e il fiume, 1957)

da “Antologia della poesia greca contemporanea”, Crocetti Editore, 2004

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Ἂν δέ μούδινες την ποίηση, Κύριε

Ἂν δέ μοὔδινες τήν ποίηση, Κύριε,
δέ θἆχα τίποτα για νά ζήσω.
Αὐτά τά χωράφια δέ θἆταν διϰά μου.
Ἐνῶ τώρα εὐτύχησα νἄχω μηλιές,
νά πετάξουνε ϰλώνους οἱ πέτρες μου,
νά γιομίσουν οἱ φοῦχτες μου ἥλιο,
ἡ ἔρημός μου λαό,
τά περιβόλια μου ἀηδόνια.

Λοιπόν, πῶς σοῦ φαίνονται; Είδες
τά στάχια μου, Κύριε; Είδες τ’ ἀμπέλια μου;
Είδες τί ὄμορφα πού πέφτει τό φῶς
στίς γαλήνιες ϰοιλάδες μου;
Κι ἔχω ἀϰόμη ϰαιρό!
Δέν ξεχέρσωσα ὅλο το χῶρο μου, Κύριε.
Μ’ ἀνασϰάφτει ὁ πόνος μου ϰι ὁ ϰλῆρος μου μεγαλώνει.
Ἀσωτεύω το γέλιο μου σάν ψωμί πού μοιράζεται.
                                                                                   Ὡστόσο,
δέν ξοδεύω τον ἥλιο σου ἄδιϰα.
Δέν πετῶ οὔτε ψίχουλο ἀπ’, τι μοῦ δίνεις.
Γιατί σϰέφτομαι τήν ἐρμιά ϰαί τις ϰατεβασιές τοῦ χειμώνα.
Γιατί θἄρθει τύ βράδυ μου. Γιατί φτάνει ὅπου νἆναι
το βράδυ μου, Κύριε, ϰαί πρέπει
νἄχω ϰάμει πρίν φύγω τήν ϰαλύβα μου ἐϰϰλησιά
γιά τούς τσοπάνηδες τῆς ἀγάπης.

Νιϰηφόρος Βρεττάϰος

da “ Ό χρόνος καί τό ποτάμι, 1952-1956”, Διφρος, 1957

Rachmaninov – Adam Zagajewski

Adam Zagajewski

 

Un tempo, quando ascoltavo il terzo concerto,
non mi rendevo conto che per gli intenditori
si tratta di una musica troppo conservatrice (non sapevo allora
che nell’arte al di là dell’arte ci sono anche odii, fanatiche
dispute, condanne degne dell’epoca delle guerre religiose),

udivo in quelle note la promessa di cose ancora a venire,
il preannuncio di una difficile felicità, dell’amore, lo schizzo
di paesaggi che un giorno sarei venuto a conoscere,
il presagio del purgatorio, del paradiso, del peregrinare e infine,
forse anche di qualcosa che somiglia al perdono.

Adesso, quando ascolto Martha Argerich suonare
il concerto in re minore, ne ammiro la maestria,
la passione, l’ispirazione, e insieme il fanciullo
che un tempo fui cerca di capire, a fatica,
cosa si è realizzato e cosa invece estinto. Cosa è vivo.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Marco Bruno)

da “Asimmetria, 2014”, in “Guarire dal silenzio, Nuovi versi e poesie scelte”, “Lo Specchio” Mondadori, 2020

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Rachmaninow

Dawniej, kiedy słuchałem trzeciego koncertu,
nie zdawałem sobie sprawy, że dla znawców
jest to muzyka zbyt konserwatywna (nie wiedziałem wtedy,
że w sztuce oprócz sztuki są też nienawiści, fanatyczne
spory, potępienia godne epoki wojen religijnych),

słyszałem w nim obietnicę rzeczy, które miały nadejść,
zapowiedź trudnego szczęścia, miłości, szkic
krajobrazów, które miałem kiedyś poznać,
przeczucie czyśćca i raju, wędrówki, i, na końcu,
może także czegoś w rodzaju wybaczenia.

Teraz, kiedy słucham jak Martha Argerich wykonuje
koncert d-moll, podziwiam mistrzostwo jej gry,
jej pasję, natchnienie, a jednocześnie ten chłopiec,
którym kiedyś byłem, próbuje zrozumieć, nie bez trudu,
co się spełniło a co zgasło. Co żyje.

Adam Zagajewski

da “Asymetria”, A5 K. Krynicka, 2014