
Cristina Robles, Ophelia
(A Marianne Faithfull)
Poi furono sillabe quelle che erano state parole
e versi che mi straziavano la gola,
pezzi, grumi di vocesangue
di ogni immagine che un tempo era stata,
ora persa nel fondo sotto sabbia vetrata.
E introvabile come chi è muto
di colpo e con la voce il suo sguardo è perduto
per un dolore che puoi solo intuire
in quella cornea all’improvviso vuota,
o come di colpo ai centosessanta in galleria
col piede in ipnosi sull’acceleratore
e io, io lingua franta, io affogata.
Ho recitato Ofelia, conosco la pazzia,
e so che ti colpisce per eccesso d’amore,
quando i tuoi occhi non reggono una sedia
se vedi nella sua paglia le trame d’oro,
e l’aura di quello scranno e la sua luce,
e i beati che si posarono in inconscia preghiera,
se tremi per una persona che si siede
e si avvicina al centro del fango e dei grandi fiumi,
e so che cosa significa eccesso d’amore,
quando colui che ami dilegua e tace,
o non riesce a risponderti, e tu muori,
per estinzione, disidratata in pietra.
Io sono affogata nello stagno e risalita
tra foglie cadute in morte e semprevive
dal fondo melmoso risalenti alla luce,
dal fondo ho ritrovato genesi e amore,
ora che torna mia, in me, la mia voce,
niente da chiedere, risalire adagio
come la linfa dal calamo al fiore
dopo che fu strozzata dall’inverno e dal gelo
tra foglie marcite, e il rito umorale
ascende ai campi e all’oro dei covoni
tra casa e casa, tra le luci e le strade.
Conosco la pazzia e sono affogata,
e adesso so che era soltanto amore.
Roberto Mussapi
da “La stoffa dell’ombra e delle cose”, “Lo Specchio” Mondadori, 2007
