Il rifiuto – Velimir Chlébnikov

Velimir Chlébnikov

 

È per me di gran lunga piú gradevole
osservare le stelle,
che sottoscrivere una sentenza di morte.
È per me di gran lunga piú gradevole
ascoltare le voci dei fiori,
che bisbigliano: « è lui! »,
quando passo per il giardino,
che vedere i fucili,
che uccidono quelli che vogliono
uccidere me.
Ecco perché non sarò mai
e poi mai
un uomo di governo!

Velimir Chlébnikov

(Traduzione di Angelo Maria Ripellino)

13 settembre 1921.

da “Poesie di Chlébnikov”, Einaudi, Torino, 1968

∗∗∗

Отказ

Мне гораздо приятнее
Смотреть на звезды,
Чем подписывать
Смертный приговор.
Мне гораздо приятнее
Слушать голоса цветов,
Шепчущих: «Это он!» —
Склоняя головку,
Когда я прохожу по саду,
Чем видеть темные ружья

Стражи, убивающей
Тех, кто хочет
Меня убить.
Вот почему я никогда,
Нет, никогда не буду Правителем!

Велимир Хлебников

Январь, апрель 1922

da “Собрание сочинений: Стихотворения 1917-1922”, Том второй, ИМЛИ РАН, 2001

Vivere è stare svegli – Angelo Maria Ripellino

Angelo Maria Ripellino

 

Vivere è stare svegli
e concedersi agli altri,
dare di sé sempre il meglio,
e non essere scaltri.

Vivere è amare la vita
con i suoi funerali e i suoi balli,
trovare favole e miti
nelle vicende piú squallide.

Vivere è attendere il sole
nei giorni di nera tempesta,
schivare le gonfie parole,
vestite con frange di festa.

Vivere è scegliere le umili
melodie senza strepiti e spari,
scendere verso l’autunno
e non stancarsi d’amare.

Angelo Maria Ripellino

da “Non un giorno ma adesso (1960)”, in “Poesie. 1952-1978”, Torino, Einaudi, 1990

A Giselheer il pagano – Else Lasker-Schüler

Edward Weston, Tina Modotti, 1921

 

Piango –
I miei sogni cadono nel mondo.

Nella mia oscurità
Nessun pastore si avventura.

I miei occhi non mostrano la via
Come le stelle.

Io mendico sempre davanti alla tua anima –
Lo sai?

Almeno fossi cieca –
Crederei d’essere nel tuo corpo.

Verserei tutti i fiori
Nel tuo sangue.

Io sono molto ricca,
Non può cogliermi chiunque;

O i miei doni portarsi
Via.

Io voglio teneramente insegnarmi a te;
Già sai dire il mio nome.

Guarda i miei colori,
Nero e stella

E non amare il freddo giorno
Che ha un occhio di vetro.

Tutto è morto,
Solo tu ed io no.

Else Lasker-Schüler

(Traduzione di Nicola Gardini)

dalla rivista “Poesia”, Anno XVIII, Gennaio 2005, N. 190, Crocetti Editore

∗∗∗

Giselheer dem Heiden

Ich weine –
Meine Träume fallen in die Welt.

In meine Dunkelheit
Wagt sich kein Hirte.

Meine Augen zeigen nicht den Weg
Wie die Sterne.

Immer bettle ich vor deiner Seele;
Weißt du das?

Wär ich doch blind –
Dächte dann, ich läg in deinem Leib.

Alle Blüten täte ich
Zu deinem Blut.

Ich bin vielreich,
Niemandwer kann mich pflücken;

Oder meine Gaben tragen
Heim.

Ich will dich ganz zart mich lehren;
Schon weißt du mich zu nennen.

Sieh meine Farben,
Schwarz und stern

Und mag den kühlen Tag nicht,
Der hat ein Glasauge.

Alles ist tot,
Nur du und ich nicht.

Else Lasker-Schüler

da “Die Kuppel”, Paul Cassirer, 1920

«Lasciano il tempo e li guardiamo dormire» – Mario Benedetti

Dirk Wüstenhagen

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lasciano il tempo e li guardiamo dormire,
si decompongono e il cielo e la terra li disperdono.

Non abbiamo creduto che fosse così:
ogni cosa e il suo posto,
le alopecie sui crani, l’assottigliarsi, avere male,
sempre un posto da vivi.

Ma questo dissolversi no, e lasciare dolore
su ogni cosa guardata, toccata.

Qui durano i libri.
Qui ho lo sguardo che ama il qualunque viso,
le erbe, i mari, le città.
Solo qui sono, nel tempo mostrato, per disperdermi.

Mario Benedetti

da “Umana Gloria”, “Lo Specchio” Mondadori, 2004

Una forgia e una falce – Raymond Carver

Edward Hopper, Eleven A.M., 1926

 

Un minuto fa avevo le finestre aperte
e c’era il sole. Tiepide brezze
attraversavano la stanza.
(L’ho scritto anche in una lettera.)
Poi, sotto i miei occhi, si è fatto buio.
Il mare ha cominciato a incresparsi
e le barche da diporto che erano a pesca
hanno virato e sono rientrate, una flottiglia.
Il tintinnabolo sotto al portico è caduto
di colpo sotto una raffica, le cime degli alberi
tremavano. Il tubo della stufa cigolava e sbatteva
trattenuto dai tiranti.
Ho detto: «Una forgia e una falce».
Certe volte parlo da solo, così.
Nomino certe cose:
argano, gomma limo, foglia, fornace.
Il tuo volto, la tua bocca, le tue spalle
ora sono per me inconcepibili!
Che fine hanno fatto? È come se
li avessi sognati. I sassi che abbiamo portato
a casa dalla spiaggia se ne stanno lì
sul davanzale a raffreddarsi.
Torna a casa. Mi senti?
I miei polmoni sono pieni del fumo
della tua assenza.

Raymond Carver

(Traduzione di Riccardo Duranti)

da “Racconti in forma di poesia”, Ed. Minimum Fax, 1999

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A forge, and a scythe

One minute I had the windows open
and the sun was out. Warm breezes
blew through the room.
(I remarked on this in a letter.)
Then, while I watched, it grew dark.
The water began whitecapping.
All the sport-fishing boats turned
and headed in, a little fleet.
Those wind-chimes on the porch
blew down. The tops of our trees shook.
The stove pipe squeaked and rattled
around in its moorings.
I said, “A forge, and a scythe.”
I talk to myself like this.
Saying the names of things —
capstan, hawser, loam, leaf, furnace.
Your face, your mouth, your shoulder
inconceivable to me now!
Where did they go? It’s like
I dreamed them.  The stones we brought
home from the beach lie face up
on the windowsill, cooling.
Come home. Do you hear?
My lungs are thick with the smoke
of your absence.  

Raymond Carver

da “All Of Us: The Collected Poems”, New York: Alfred A.Knopf, 1998