Al declinare del giorno – Avraham Ben Yitzhak

Avraham Ben Yitzhak

 

Quando si spegneranno i rossi falò della nostra vita
ci toglieremo dalla fronte la ghirlanda delle feste
con le foglie scompigliate e le rose cadenti,
poi in silenzio scenderemo ai fiumi.

      Al declinare del giorno ci fermeremo sulla loro sponda
inseguendone con gli occhi la corsa, –
loro, gli abbandonati e infinitamente orgogliosi della propria solitudine.
E circonfusi dal rossore del crepuscolo
commossi guarderemo, ed ecco arrivare fiori,
fiori bianchi
recati con tutti gli onori sul pelo dell’acqua – –
rapiti dai margini di un giardino felice
per scherzo a mezzogiorno.

Allora sapremo: davanti agli occhi ci è passata la nostra giovinezza.
E quando il ricordo tramonterà dentro di noi
s’allungherà, si scurirà una dolente ombra di salici sul nostro capo.

E tuttavia lassù sorgerà stella dopo stella sulla cima dei monti,
santificando una notte grande ed estranea su di noi,
e un vento serale ci toccherà gemendo come suonasse violini neri. 

Avraham Ben Yitzhak

(Traduzione di Anna Linda Callow e Cosimo Nicolini Coen)

da “Avraham Ben Yitzhak, Poesie”, Portatori d’Acqua, 2018

Scritta verso la fine del 1909 e pubblicata per la prima volta in «HaShiloah» nel 1912.

«La mia strada non passa vicino alla-tua casa» – Marina Ivanovna Cvetaeva

 

Dal ciclo «il commediante»

La mia strada non passa vicino alla-tua casa.
La mia strada non passa vicino alla-casa di nessuno.

E tuttavia io smarrisco il cammino
(specialmente di primavera!)
e tuttavia mi struggo per la gente
come il cane fa sotto la luna.

Ospite dappertutto gradita,
non lascio dormire nessuno!
E con il nonno gioco agli ossi,
e con il nipote – canto.

Di me non s’ingelosiscono le mogli:
io sono una voce e uno sguardo.
E a me nessun innamorato
ha mai costruito un palazzo.

Le vostre generosità non richieste
mi fanno ridere, mercanti!
Da me stessa mi erigo per la notte
e ponti e palazzi.

(Ma ciò che dico – non ascoltarlo!
È tutto un inganno di donna!)
Da sola al mattino demolisco
la mia creazione.

Le magioni – come covoni di paglia – niente!
La mia strada non passa vicino alla-tua casa.

Marina Ivanovna Cvetaeva

27 aprile 1920

(Traduzione di Pietro Antonio Zveteremich)

da “Marina Ivanovna Cvetaeva, Poesie”, Feltrinelli, Milano, 1979

Non c’è paradiso – André Frénaud

Dylan Thomas

 A Dylan Thomas

Io non riesco a udirla la musica dell’essere.
Non ebbi in sorte, io, il potere d’immaginarla.
S’alimenta il mio amore a un non amore.
Avanzo sol se m’attizza il suo rifiuto.
Con sé mi porta sulle sue ampie braccia di nulla.
Il suo silenzio mi separa dalla mia vita.

Essere che serenamente arde e ch’io assedio.
Quando sto per attingerlo finalmente negli occhi
già la sua fiamma i miei ha scavato, e io son cenere.
Che importa, poi, il bisbiglío del poema.
È il nulla, quello, mica il paradiso.

André Frénaud

(Traduzione di Giorgio Caproni)

da “Giorgio Caproni, Quaderno di traduzioni”, Einaudi, Torino, 1998

Avevo appena appreso da persona amica di Dylan Thomas che questi, preso nel gioco delle sue immagini e dei suoi sogni, nel corso d’una conversazione aveva esclamato: «È la musica del Paradiso, che vorrei far sentire». (André Frénaud)

∗∗∗

Il n’y a pas de paradis

A Dylan Thomas

Je ne peux entendre la musique de l’être.
Je n’ai reçu le pouvoir de l’imaginer.
Mon amour s’alimente à un non-amour.
Je n’avance qu’attisé par son refus.
Il m’emporte dans ses grands bras de rien.
Son silence me sépare de ma vie.

Être sereinement brûlant que j’assiège.
Quand enfin je vais l’atteindre dans les yeux,
sa flamme a déjà creusé les miens, m’a fait cendres.
Qu’importe après, le murmure du poème.
C’est néant cela, non le paradis.

André Frénaud

da “Il n’y a pas de paradis : Poèmes (1943-1960)”, Gallimard, 1964

Je venais d’apprendre par une personne amie de Dylan Thomas qu’au cours d’une conversation celui-ci, imaginant et rêvant, s’était écrié: «Je voudrais faire entendre la musique du Paradis». (André Frénaud)

Il giorno si fa freddo – Edith Södergran

Foto di Gotthard Schuh

I

Il giorno si fa freddo verso sera…
Bevi il calore dalla mia mano,
la mia mano ha lo stesso sangue della primavera.
Prendimi la mano, prendimi il braccio bianco,
prendi il desiderio delle mie spalle strette…
Sarebbe strano sentire,
una notte sola, una notte come questa,
il tuo capo pesante contro il mio petto.

II

Hai gettato la rosa rossa del tuo amore
nel mio grembo bianco −
io stringo nelle mani calde
la rosa rossa del tuo amore che appassisce presto…
O sovrano dallo sguardo freddo,
ricevo la corona che mi porgi
e reclina il mio capo sul cuore…

III

Ho visto il mio signore per la prima volta, oggi,
tremando, l’ho subito riconosciuto.
Ora sento già la sua mano pesante sul mio braccio leggero…
Dov’è la mia sonora risata di vergine,
la mia libertà di donna a testa alta?
Ora sento già la sua stretta salda intorno al mio corpo fremente,
ora odo il duro suono della realtà
di contro ai miei fragili, fragili sogni.

IV

Cercavi un fiore
e hai trovato un frutto.
Cercavi una sorgente
e hai trovato un mare.
Cercavi una donna
e hai trovato un’anima −
tu sei deluso.

Edith Södergran

(Traduzione di Daniela Marcheschi)

da “La luna e altre poesie”, Via del Vento Edizioni, 1995

***

Dagen svalnar

I

Dagen svalnar mot kvällen…
Drick värmen ur min hand,
min hand har samma blod som våren.
Tag min hand, tag min vita arm,
tag mina smala axlars längtan…
Det vore underligt att känna,
en enda natt, en natt som denna,
ditt tunga huvud mot mitt bröst.

II

Du kastade din kärleks röda ros
i mitt vita sköte –
jag håller fast i mina heta händer
din kärleks röda ros som vissnar snart…
O du härskare med kalla ögon,
jag tar emot den krona du räcker mig,
som böjer ned mitt huvud mot mitt hjärta…

III

Jag såg min herre för första gången i dag,
darrande kände jag genast igen honom.
Nu känner jag ren hans tunga hand på min lätta arm…
Var är mitt klingande jungfruskratt,
min kvinnofrihet med högburet huvud?
Nu känner jag ren hans fasta grepp om min skälvande kropp,
nu hör jag verklighetens hårda klang
mot mina sköra sköra drömmar.

IV

Du sökte en blomma
och fann en frukt.
Du sökte en källa
och fann ett hav.
Du sökte en kvinna
och fann en själ –
du är besviken.

Edith Södergran

da “Diker”, Holger Schildts, 1916

Fiori di papavero – Lucian Blaga

 

Fra l’amara cicuta
canto la mia letizia — e un remoto sgomento
della morte mi prende,
mentre vi guardo, fiori di papavero,
in riva al mar di segale.

Poter sfiorare
i petali, e non oso,
sembrano nati
dalla rossa bambagia
d’un affocato tramonto d’estate.

Abbracciare vorrei
il vostro slancio vergine,
ma siete un ornamento tanto esile
che temo
anche a stringervi al petto del pensiero.

E schiacciarvi vorrei
ché siete rossi, rossi
come in terra poterono esser solo
le ardenti gocce dì sangue cadute
sulle pietre
e la sabbia, al frantoio delle olive,
giù dalla fronte di Gesù,
quando ebbe terrore
della morte.

Lucian Blaga

(Traduzione di Sauro Albisani)

da “I poemi della luce”, Garzanti Editore, 1989

∗∗∗

Flori de mac

În frunză de cucută-amară
îmi fluier bucuriile — şi-o nenţeleasă teamă
de moarte mă pătrunde,
cum vă privesc pe malul mării de secară
flori de mac.

Aş vrea să vă cuprind,
că nu ştiu cum, petalele ce le purtaţi,
îmi par urzite
din spuma roşie
a unui cald şi-nflăcărat amurg de vară.

Aş vrea să vă culeg în braţe
feciorelnicul avînt,
dar vi-e atît de fragedă podoaba,
că nu-ndrăznesc
o, nici la pieptul gîndurilor mele să vă strîng.

Şi-aş vrea să vă strivesc
că sunteţi roşii, roşii
cum n-au putut să fie pe pămînt
decît aprinşii, marii stropi de sînge, ce-au căzut
pe stînci
şi pe nisip în Ghetsemani de pe fruntea lui Isus,
cînd s-a-ngrozit de
moarte.

Lucian Blaga

da “Păşii profetului”, Editura institutului de arte grafice „Ardealul“, Cluj, 1920