
Foto di Boris Smelov
Ho dimenticato la parola che volevo dire.
La rondine cieca farà ritorno nel palazzo delle ombre,
le ali mozzate, con le diafane a giocare.
Si canta nel delirio la canzone notturna.
Non si sentono uccelli. Il perpetuino non fiorisce.
Diafane le criniere della mandria notturna.
Sul fiume prosciugato un legno vuoto.
In mezzo ai grilli delira la parola.
E cresce, lenta, come una tenda o un tempio;
ora s’avventa a vuoto, folle Antigone,
ora, rondine morta, piomba ai piedi
con tenerezza di Stige, con un ramo verde.
Ah, rendere il pudore delle dita veggenti,
la gonfia gioia del conoscere…
Ho tanta paura del pianto delle Aonidi,
della nebbia, del suono, dello iato.
Ai mortali è concesso amare e riconoscere,
per loro anche il suono si effonde dalle dita,
ma io ho dimenticato quel che volevo dire,
l’idea tornerà senza carne nel palazzo delle ombre.
E sempre, diafana, parla d’altre cose,
rondine, amica, Antigone…
E sulle labbra, ghiaccio nero, arde
del suono di Stige il ricordo.
Osip Ėmil’evič Mandel’štam
Novembre 1920
(Traduzione di Serena Vitale)
da “Pietra”, in “Osip Ėmil’evič Mandel’štam, Poesie”, Garzanti, 1972
∗∗∗
«Mi sfugge la parola che avrei voluto dire.»
Mi sfugge la parola che avrei voluto dire.
Per giocare con esse, le diafane, alla reggia
delle ombre, su ali mozze, torna la cieca rondine.
E nel deliquio, a notte, echeggia una canzone.
Piú non s’odono uccelli, né sboccia il semprevivo.
Ha diafane criniere un branco di cavalli nella notte.
Va una barca sul fiume arido – vuota.
Fra i grilli la parola sta in deliquio.
E a mo’ di tenda o tempio, cresce adagio;
ora, Antigone folle, di colpo si risveglia,
e ora, morta rondine, si abbatte ai nostri piedi,
con tenerezza stigia e un verde ramoscello.
Oh, rendere il pudore del tatto che si fa occhio
e la tumida gioia del riconoscimento.
Il singhiozzo delle Aònidi, la nebbia,
i rintocchi, l’abisso mi sgomentano.
Di amare e riconoscere è concesso ai mortali,
in loro dalle dita anche il suono può erompere;
ma ciò che volevo dire, mi sfugge, e immateriale
il pensiero ritorna alla reggia delle ombre.
Sempre d’altro la diafana ci parla,
lei, rondine ed amica, lei, Antigone…
E le arde – nero ghiaccio – sulle labbra
una memoria di rintocchi stigi.
Osip Ėmil’evič Mandel’štam
Novembre 1920
(Traduzione di Remo Faccani)
da “Osip Ėmil’evič Mandel’štam, Ottanta poesie”, Einaudi, Torino, 2009
La lirica appartiene al cosiddetto “ciclo greco” dei componimenti di Mandel´štam, dedicato all’attrice del Teatro Aleksandrinskij Ol´ga Arbenina-Gil´derbrandt (1897/98-1980), che il poeta frequentò per alcuni mesi durante l’autunno-inverno del 1920-21. Essa “racconta” il «processo creativo» del proprio nascere e formarsi (NBP, p. 556) – e prende avvío da una metaforica discesa del poeta nell’oltretomba «alla ricerca della parola» (MG, p. 636), del “canto”, della poesia.
∗∗∗
«Я слово позабыл, что я хотел сказать.»
Я слово позабыл, что я хотел сказать.
Слепая ласточка в чертог теней вернется,
На крыльях срезанных, с прозрачными играть.
B беспамятстве ночная песнь поется.
Не слышно птиц. Бессмертник не цветет.
Прозрачны гривы табуна ночного.
B сухой реке пустой челнок плывет.
Среди кузнечиков беспамятствует слово.
И медленно растет, как бы шатер иль храм,
То вдруг прoкинется безумной Антигоной,
То мертвой ласточкой бросается к ногам,
С стигийской нежностью и веткою зеленой.
О, если бы вернуть и зрячих пальцев стыд,
И выпуклую радость узнаванья.
Я так боюсь рыданья Аонид,
Тумана, звона и зиянья!
А смертным власть дана любить и узнавать,
Для них и звук в персты прольется,
Но я забыл, что я хочу сказать,
И мысль бесплотная в чертог теней вернется.
Bсе не о том прозрачная твердит,
Все ласточка, подружка, Антигона…
И на губах, как черный лед, горит
Стигийского воспоминанье звона.
Осип Эмильевич Мандельштам
Ноябрь 1920
da “Sobranie socinenij”, a cura di P. Nerler, A. Nikitaev, Ju. Frejdin, S. Vasilenko, Moskva, 1993-1994
