«Eri dritta e felice» – Leonardo Sinisgalli

Dipinto di Brenda Burke

 

Eri dritta e felice
Sulla porta che il vento
Apriva alla campagna.
Intrisa di luce
Stavi ferma nel giorno,
Al tempo delle vespe d’oro
Quando al sambuco
Si fanno dolci le midolla.
Allora s’andava scalzi
Per i fossi, si misurava l’ardore
Del sole dalle impronte
Lasciate sui sassi.

Leonardo Sinisgalli

da “Vidi le Muse”, “Lo Specchio” Mondadori, 1943

Addio a una vista – Wisława Szymborska

Eddie Kuligowski, Couple, 1978

 

Non ce l’ho con la primavera
perché è tornata.
Non la incolpo
perché adempie come ogni anno
ai suoi doveri.

Capisco che la mia tristezza
non fermerà il verde.
Il filo d’erba, se oscilla,
è solo al vento.

Non mi fa soffrire
che gli isolotti di ontani sull’acqua
abbiano di nuovo con che stormire.

Prendo atto
che la riva d’un certo lago
è rimasta – come se tu vivessi ancora –
bella com’era.

Non ho rancore
contro la vista per la vista
sulla baia abbacinata dal sole.

Riesco perfino ad immaginare
che degli altri, non noi,
siedano in questo momento
su un tronco rovesciato di betulla.

Rispetto il loro diritto
a sussurrare, a ridere
e a tacere felici.

Suppongo perfino
che li unisca l’amore
e che lui la stringa
con il suo braccio vivo.

Qualche giovane ala
fruscia nei giuncheti.
Auguro loro sinceramente
di sentirla.

Non pretendo alcun cambiamento
dalle onde vicine alla riva,
ora leste, ora pigre
e non a me obbedienti.

Non pretendo nulla
dalle acque fonde accanto al bosco,
ora color smeraldo,
ora color zaffiro,
ora nere.

Una cosa soltanto non accetto.
Il mio ritorno là.
Il privilegio della presenza –
ci rinuncio.

Ti sono sopravvissuta solo
e soltanto quanto basta
per pensare da lontano.

Wisława Szymborska

(Traduzione di Pietro Marchesani)

da “La fine e l’inizio”, Libri Scheiwiller, 2009

∗∗∗

Pożegnanie widoku

Nie mam żalu do wiosny,
że znowu nastała.
Nie obwiniam jej o to,
że spełnia jak co roku
swoje obowiązki.

Rozumiem, że mój smutek
nie wstrzyma zieleni.
Źdźbło, jeśli się zawaha,
to tylko na wietrze.

Nie sprawia mi to bólu,
że kępy olch nad wodami
znowu mają czym szumieć.

Przyjmują do wiadomości,
że – tak jakbyś żył jeszcze –
brzeg pewnego jeziora
pozostał piękny jak był.

Nie mam urazy
do widoku w widok
na olśnioną słońcem zatokę.

Potrafię sobie nawet wyobrazić,
że jacyś nie my
siedzą w tej chwili
na obalonym pniu brzozy.

Szanuję ich prawo
do szeptu, śmiechu
i szczęśliwego milczenia.

Zakładam nawet,
że łączy ich miłość
i że on obejmuje ją
żywym ramieniem.

Coś nowego ptasiego
szeleści w szuwarach.
Szczerze im życzę,
żeby usłyszeli.

Żadnej zmiany nie żądam
od przybrzeżnych fal,
to zwinnych, to leniwych
i nie mnie posłusznych.

Niczego nie wymagam
od toni pod lasem,
raz szmaragdowej,
raz szafirowej,
raz czarnej.

Na jedno się nie godzę.
Na swój powrót tam.
Przywilej obecności –
rezygnuję z niego.

Na tyle Cię przeżyłam
i tylko na tyle,
żeby myśleć z daleka.

Wisława Szymborska

da “Koniec i początek”, Wydawnictwo a5, Poznań 1993 

«Sempre vieni dal mare» – Cesare Pavese

Foto di Arno Rafael Minkkinen

 

Sempre vieni dal mare
e ne hai la voce roca,
sempre hai occhi segreti
d’acqua viva tra i rovi,
e fronte bassa, come
cielo basso di nubi.
Ogni volta rivivi
come una cosa antica
e selvaggia, che il cuore
già sapeva e si serra.

Ogni volta è uno strappo,
ogni volta è la morte.
Noi sempre combattemmo.
Chi si risolve all’urto
ha gustato la morte
e la porta nel sangue.
Come buoni nemici
che non s’odiano piú
noi abbiamo una stessa
voce, una stessa pena
e viviamo affrontati
sotto povero cielo.
Tra noi non insidie,
non inutili cose –
combatteremo sempre.

Combatteremo ancora,
combatteremo sempre,
perché cerchiamo il sonno
della morte affiancati,
e abbiamo voce roca
fronte bassa e selvaggia
e un identico cielo.

Fummo fatti per questo.
Se tu od io cede all’urto,
segue una notte lunga
che non è pace o tregua
e non è morte vera.
Tu non sei piú. Le braccia
si dibattono invano.

Fin che ci trema il cuore.
Hanno detto un tuo nome.
Ricomincia la morte.
Cosa ignota e selvaggia
sei rinata dal mare.

Cesare Pavese

[19-20 novembre 1945]

da “La terra e la morte”, in “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, Einaudi, Torino, 1951

Light, in an empty room – Yves Bonnefoy

Edward Hopper, Sun in an empty room

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Immagino di tornare, non so dove,
È un luogo sia intimamente conosciuto
Che estraneo. Ho vissuto qui?
No, non vi ho lasciato traccia

E sono immensamente triste, ma la luce
Che ancora abita oggi questa stanza
S’alza, mi viene incontro. Vedi, siamo invecchiati,
Lei mi dice. Non sono più una promessa

Per la tua vita futura, non voglio più
Farti credere che vita e morte siano la stessa rosa
Che fiorisce, al mattino,
Nel risveglio di due corpi che si uniscono.

Ma parliamoci. Ho da dirti la tua notte,
E quanto è accogliente grazie a me,
Ho scostato il lenzuolo del mio sonno,
Scopro il mio corpo, tutte le sue stelle.

Questo sole nella stanza vuota, è la notte,
Accetta di brancolare nella luce,
Entra, perché i tuoi occhi s’aprano di più,
Perfino perché dardeggino.

Dove siamo, certo, non lo sai più,
Ma respira ciò che toccano le tue dita.
Abbandona le labbra al mio respiro
Prima di addormentarti, le tue mani su di me.

Non-essere il sole degli antichi risvegli
Se già non fosse questa grande condivisione.
Come hai vissuto? Ti siano specchio
La finestra, il letto della stanza vuota.

Yves Bonnefoy

(Traduzion di Fabio Scotto)

da “Insieme ancora”, il Saggiatore S.r.l., Milano, 2022

∗∗∗

Light, in an empty room

J’imagine que je reviens, où, je ne sais,
C’est à la fois l’intimement connu
Et un lieu étranger. Ai-je vécu ici,
Non, je n’y ai laissé aucune trace

Et je suis infiniment triste, mais la lumière
Qui habite aujourd’hui encore cette chambre
Se lève, vient à moi. Vois, nous avons vieilli,
Me dit-elle. Je ne suis plus une promesse

Pour ta vie à venir, je ne veux plus
Te faire croire que vie et mort, c’est même rose
À fleurir, au matin,
Dans l’éveil de deux corps qui se renouent.

Mais parlons-nous. J’ai ta nuit à te dire,
Et combien elle est accueillante grâce à moi,
J’ai repoussé le drap de mon sommeil,
Je découvre mon corps, toutes ses étoiles.

Ce soleil dans la chambre vide, c’est la nuit,
Accepte de tâtonner dans la lumière,
Entre, pour que tes yeux s’ouvrent davantage,
Même, pour qu’ils émettent des rayons.

Où sommes-nous, certes, tu ne sais plus,
Mais ce que tes doigts touchent, cela respire.
Abandonne tes lèvres à mon souffle
Avant de t’endormir, tes mains sur moi.

Non-être le soleil des éveils anciens
S’il n’était pas déjà ce grand partage.
Comment as-tu vécu? Soient ton miroir
La fenêtre, le lit de la chambre vide.

Yves Bonnefoy

da “Ensemble encore, suivi de Perambulans in noctem”, Mercure de France, 2016

«I viaggi» – Paolo Volponi

Foto di Tina Fersino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I viaggi
non mi spaventano.
Anche se girassi
dietro la fortuna.
Farei solo dei passi.
Col piede
accanto a un sasso.
Ogni strada
ha un sasso
e una margherita.
Ed io vado
sasso per sasso
e colgo la margherita.

Paolo Volponi

da “Il ramarro (1948)”, in “Poesie giovanili”, Einaudi, Torino, 2020