Poiein – Pierluigi Cappello

Foto di Danilo De Marco

 

Tu sei di qui, di questo mondo
l’ombra delle tue dita si stampa
sul candido del foglio, la punta della penna;
stai dentro le parole, stai ogni giorno dentro le parole
nella forma delle cose mentre le si osserva
e ogni forma diventa una forma di tristezza
il tuo lungo ingresso alla cenere.

Rimetta a noi i nostri cieli la parola aggiustata,
un segnale nutrito dal lampo nel poco di nessun conto
nel conto dei giorni vissuti senza cura
e abbracci, ma senza abbagliare,
ogni minuto preso dal vento
e il presente di queste mani
come se fosse eterno.

Pierluigi Cappello

da “Mandate a dire all’imperatore”, Crocetti Editore, 2010

«Io temo tanto la parola degli uomini» – Rainer Maria Rilke

Leonid Pasternak, Rainer Maria Rilke

 

Io temo tanto la parola degli uomini.
Dicono tutto sempre cosí chiaro:
questo si chiama cane e quello casa,
e qui è l’inizio e là è la fine.

E mi spaura il modo, lo schernire per gioco,
che sappian tutto ciò che fu e sarà;
non c’è montagna che li meravigli;
le loro terre e giardini confinano con Dio.

Vorrei ammonirli, fermarli: state lontani.
A me piace sentire le cose cantare.
Voi le toccate: diventano rigide e mute.
Voi mi uccidete le cose.

Rainer Maria Rilke

(Traduzione di Anna Maria Carpi)

da “Le poesie giovanili”, in “R. M. Rilke, Poesie I [1895-1908]”, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, Torino, 1994

∗∗∗

«Ich fürchte mich so vor der Menschen Wort»

Ich fürchte mich so vor der Menschen Wort.
Sie sprechen alles so deutlich aus.
Und dieses heißt Hund und jenes heißt Haus,
und hier ist der Beginn und das Ende ist dort.

Mich bangt auch ihr Sinn, ihr Spiel mit dem Spott,
sie wissen alles, was wird und war;
kein Berg ist ihnen mehr wunderbar;
ihr Garten und Gut grenzt grade an Gott.

Ich will immer warnen und wehren: Bleibt fern.
Die Dinge singen hör ich so gern.
Ihr rührt sie an: sie sind starr und stumm.
Ihr bringt mir alle die Dinge um.

Rainer Maria Rilke

da “Jugendgedichte”, Wiesbaden: Insel Verlag, 1959

Donne e sguardi – Valentino Zeichen

Foto di Marta Bevacqua

I

L’occhio del mio primo amore
mi fissava e inverdiva per gradi;
io gli corrispondevo arrossendo,
misi del tempo a comprendere che
si trattava di quello magico
del mio apparecchio radio,
impareggiabile Mende;
se al posto di uno solo
ne avesse avuti almeno due,
avrei dovuto ricorrere all’analisi
per farmi smagnetizzare
dal loro incantesimo.

* * *

II

Arbitro un dialogo tra donne,
ma nulla pare meno estraneo
del pretestuoso soggetto che
forzatamente le intrattiene.
La più adusa alla scaltrezza
si sgancia dal finto argomento
e inserisce la conversazione automatica
fatta di monosillabi e finti assensi;
l’altra si prodiga ingenuamente
avendo nella bellezza fisica
una dimostrazione inconfutabile;
mentre uno sguardo retrostante
la sviscera anatomicamente
con sottintesi carichi di turpiloquio.

* * *

III

Se fossi capace d’emulazione
guarderei le donne
con gli occhi delle loro sorelle;
carpirei qualche risibile segreto
che in presenza degli uomini:
queste e quelle sanno
nascondere nell’impensabile;
in ciò, simili alla natura,
esse non si curano
di trovargli un nome.

* * *

IV

Le donne si guardano in cagnesco
incuranti dell’infinito che svanisce
oltre la dogana dell’orizzonte.
Prima si gettano polvere negli occhi
poi affiorano le vere munizioni
che mettono fine alla tregua;
s’infilzano l’una con l’altra
con le invisibili frecce
dalle velenose allusioni:
pur nelle reciproche offese
una simpatia naturale le unisce.

* * *

V

La puerilità degli sguardi maschili
partisce i corpi femminili
in lucrosi dettagli, che
nelle fantasie erotiche
sprovviste di senso estetico,
si gonfiano a dismisura.
Tale pratica oscena ci accomuna
all’insulsaggine dei caricaturisti.

* * *

VI

Molte donne ospitano negli occhi
dei piccoli musei preistorici:
microcosmi di eventi universali
che fluttuano nell’acquario dell’iride;
animali e vegetali ormai fossili,
ominidi di altre ere;
embrioni di specie future
orbitano intorno alle loro pupille
in un ballo che li trascina via.
La vista dell’inconscio è insostenibile,
si arretra abbassando lo sguardo: è
d’obbligo l’inchino, porgendo
infinite scuse alle signore.

* * *

VII

Se avesse fortuna il sotterfugio
e il mio sguardo intruso fosse
verosimile imitazione d’uno vero,
verrebbe credibilmente scambiato
per quello d’una donna ficcanaso.
I mutevoli occhi femminili
si seducono reciprocamente
ma senza conseguenze visibili;
potrei infiltrarmi nelle loro iridi
e fra scenari di libidine
conquistare molte sorelle,
sorprese, cederebbero al ricatto?

* * *

VIII

Càpita che le donne
si puntino quel congegno
d’arma ultramoderna
e duellino con sguardi lampo.
Tutte le volte che si guardano
mi domando stupidamente
cosa avranno da dirsi
in una lingua inesistente.
Nei gradi della sensibilità maschile
manca quell’investigatore
che sappia smascherare le donne
come sanno fare le loro sorelle.
Io, simile a un ente invisibile
sorveglio le veggenti per spiarne
i prodigi delle molteplici chiavi
a magnetismo ottico, che
disvelano gli occhi femminili
e permettono d’introdurvisi
in incognito come un parassita,
per trafugarvi un inutile sapere
proprio agli allucinogeni.

Valentino Zeichen

da “Museo interiore”, Guanda, Parma, 1987

Se ne va un grande poeta – Adam Zagajewski

Adam Zagajewski, foto di Damian Klamka

[Pensando a C.M.]

Davvero nulla muta
nell’ordinaria luce diurna,
quando se ne va un grande poeta.
Nelle corone dei vecchi olmi
continua la controversia appassionata
di grigi passeri e distinti storni.

Quando un grande poeta se ne va,
la città non si arresta affatto, la metropolitana
e i tram continuano a cercare il Graal moderno.
In biblioteca una bella ragazza
invano si guarda attorno in cerca di una poesia
che le possa dire il vero su tutto.

Al meriggio risuona lo stesso frastuono di sempre,
di notte domina un silente raccoglimento,
fra le stelle – eterna inquietudine.
Presto apriranno le discoteche,
si aprirà l’indifferenza –
benché sia appena morto un grande poeta.

Quando, però, ci dovremo allontanare per molto
o per sempre da qualcuno che amiamo,
sentiremo improvvisamente che ci mancano le parole
e che saremo noi, da soli, a dover parlare:
più nessuno provvederà per noi
– perché se ne è andato un grande poeta.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Marco Bruno)

da “La mano invisibile”, 2009, in “Guarire dal silenzio, Nuovi versi e poesie scelte”, “Lo Specchio” Mondadori, 2020

∗∗∗

Kiedy odchodzi wielki poeta

Naprawdę nic się nie zmienia
w zwyczajnym świetle dziennym
kiedy odchodzi wielki poeta.
W koronach starych wiązów
wciąż się namiętnie spierają
szare wróble i wytworne szpaki.

Kiedy odchodzi wielki poeta
miasto nie zatrzymuje się wcale, metro
i tramwaje wciąż szukają nowoczesnego Graala.
W bibliotece piękna dziewczyna
na próżno rozgląda się za wierszem, który
powiedziałby jej prawdę o wszystkim.

W południe rozlega się ten sam co zawsze zgiełk,
w nocy panuje ciche skupienie,
wśród gwiazd – wieczny niepokój.
Wkrótce otworzą się dyskoteki,
otworzy się obojętność –
mimo że właśnie umarł wielki poeta.

Adam Zagajewski

da “Niewidzialna ręka”, Kraków: Znak, 2009

«A scrivere ho imparato dagli amici» – Beppe Salvia

Beppe Salvia

 

A scrivere ho imparato dagli amici,
ma senza di loro. Tu m’hai insegnato
a amare, ma senza di te. La vita
con il suo dolore m’insegna a vivere,
ma quasi senza vita, e a lavorare,
ma sempre senza lavoro. Allora,
allora io ho imparato a piangere,
ma senza lacrime, a sognare, ma
non vedo in sogno che figure inumane.
Non ha più limite la mia pazienza.
Non ho pazienza più per niente, niente
più rimane della nostra fortuna.
Anche a odiare ho dovuto imparare
e dagli amici e da te e dalla vita intera.

Beppe Salvia

da “Un solitario amore”, Fandango Libri, 2006