Ritorno di Deola – Cesare Pavese

Foto di Édouard Boubat

 

Torneremo per strada a fissare i passanti
e saremo passanti anche noi. Studieremo
come alzarci al mattino deponendo il disgusto
della notte e uscir fuori col passo di un tempo.
Piegheremo la testa al lavoro di un tempo.
Torneremo laggiú, contro il vetro, a fumare
intontiti. Ma gli occhi saranno gli stessi
e anche i gesti e anche il viso. Quel vano segreto
che c’indugia nel corpo e ci sperde lo sguardo
morirà lentamente nel ritmo del sangue
dove tutto scompare.

                                        Usciremo un mattino,
non avremo piú casa, usciremo per via;
il disgusto notturno ci avrà abbandonati;
tremeremo a star soli. Ma vorremo star soli.
Fisseremo i passanti col morto sorriso
di chi è stato battuto, ma non odia e non grida
perché sa che da tempo remoto la sorte
– tutto quanto è già stato o sarà – è dentro il sangue,
nel susurro del sangue. Piegheremo la fronte
soli, in mezzo alla strada, in ascolto di un’eco
dentro il sangue. E quest’eco non vibrerà piú.
Leveremo lo sguardo, fissando la strada.

Cesare Pavese

[marzo-aprile 1936]

da “Poesie del disamore”, Einaudi, Torino, 1951

Potessero le mie mani sfogliare – Federico García Lorca

 

Pronunzio il tuo nome
nelle notti scure,
quando sorgono gli astri
per bere dalla luna
e dormono le frasche
delle macchie occulte.
E mi sento vuoto
di musica e passione.
Orologio pazzo che suona
antiche ore morte.

Pronunzio il tuo nome
in questa notte scura,
e il tuo nome risuona
più lontano che mai.
Più lontano di tutte le stelle
e più dolente della dolce pioggia.

T’amerò come allora
qualche volta? Che colpa
ha mai questo mio cuore?
Se la nebbia svanisce,
quale nuova passione mi attende?
Sarà tranquilla e pura?
Potessero le mie mani
sfogliare la luna!!

Federico García Lorca

Granada, 10 novembre 1919

(Traduzione di Claudio Rendina)

da “Poesie (Libro de poemas)”, Newton Compton, Roma, 1970

***

Si mis manos pudieran deshojar

Yo pronuncio tu nombre
en las noches oscuras,
cuando vienen los astros
a beber en la luna
y duermen los ramajes
de las frondas ocultas.
Y yo me siento hueco
de pasión y de música.
Loco reloj que canta
muertas horas antiguas.

Yo pronuncio tu nombre,
en esta noche oscura,
y tu nombre me suena
más lejano que nunca.
Más lejano que todas las estrellas
y más doliente que la mansa lluvia.

¿Te querré como entonces
alguna vez? ¿Qué culpa
tiene mi corazón?
Si la niebla se esfuma,
¿qué otra pasión me espera?
¿Será tranquila y pura?
¡¡Si mis dedos pudieran
deshojar a la luna!!

Federico García Lorca

Granada, 10 de noviembre de 1919

da “Libro de poemas”, Maroto, Madrid, 1921

«L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili» – Eugenio Montale

Brassaï, Le miroir de la salle de bains, 1944

 

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L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili,
delle carte, dei quadri che stipavano
un sotterraneo chiuso a doppio lucchetto.
Forse hanno ciecamente lottato i marocchini
rossi, le sterminate dediche di Du Bos,
il timbro a ceralacca con la faccia di Ezra,
il Valéry di Alain, l’originale
dei Canti Orfici  –  e poi qualche pennello
da barba, mille cianfrusaglie e tutte
le musiche di tuo fratello Silvio.
Dieci, dodici giorni sotto un’atroce morsura
di nafta e sterco. Certo hanno sofferto
tanto prima di perdere la loro identità.
Anch’io sono incrostato fino al collo se il mio
stato civile fu dubbio fin dall’inizio.
Non torba m’ha assediato, ma gli eventi
di una realtà incredibile e mai creduta.
Di fronte ad essi il mio coraggio fu il primo
dei tuoi prestiti e forse non l’hai saputo.

Eugenio Montale

da “Satura”, “Lo Specchio” Mondadori, 1971

Dedica – Anna Andreevna Achmatova

Anna Andreevna Achmatova

 

Davanti a questa pena piegano i monti,
non scorre il gran fiume,
ma sono saldi i lucchetti del carcere,
dietro di essi «le tane dell’ergastolo»
e un’angoscia mortale.
Per qualcuno alita fresco il vento,
per qualcuno si strugge il tramonto,
noi non sappiamo, siamo ovunque le stesse,
sentiamo stridori odiosi di chiavi
e pesanti passi di soldati.
Ci si levava come ad una messa mattutina,
si andava per un’inselvatichita capitale,
lí ci si incontrava piú inanimate dei morti;
il sole piú occiduo, e la Nevà piú brumosa,
ma da lontano canta sempre la speranza.
La sentenza… E subito sgorgano lacrime;
ormai separata da tutti,
come se dal cuore con dolore le strappassero la vita,
come se rozzamente la stendessero supina,
ma cammina…Vacilla… Sola…
Dove sono ora le amiche involontarie
dei miei due anni infernali?
Cosa scorgono nella tormenta siberiana,
cosa intravedono nel disco della luna?
A loro mando il mio addio.

Anna Andreevna Achmatova

marzo 1940

(Traduzione di Michele Colucci)

da “La corsa del tempo”, Einaudi, Torino, 1992

∗∗∗

ПОСВЯЩЕНИЕ

Перед этим горем гнутся горы,
Не течет великая река,
Но крепки тюремные затворы,
А за ними «каторжные норы»
И смертельная тоска.
Для кого-то веет ветер свежий,
Для кого-то нежится закат —
Мы не знаем, мы повсюду те же,
Слышим лишь ключей постылый скрежет
Да шаги тяжелые солдат.
Подымались как к обедне ранней,
По столице одичалой шли,
Там встречались, мертвых бездыханней,
Солнце ниже, и Нева туманней,
А надежда все поет вдали.
Приговор… И сразу слезы хлынут,
Ото всех уже отделена,
Словно с болью жизнь из сердца вынут,
Словно грубо навзничь опрокинут,
Но идет… Шатается… Одна.
Где теперь невольные подруги
Двух моих осатанелых лет?
Что им чудится в сибирской вьюге,
Что мерещится им в лунном круге?
Им я шлю прощальный мой привет.

Анна Андреевна Ахматова

Март 1940

da “А. Ахматовой, Реквием”, Мюнхен: Т-во зарубежных писателей, 1963

Aria di casa – Paola Loreto

Ferdinando Scianna, senza titolo, senza data, Galleria civica di Modena, fondo Franco Fontana

 

Ho lasciato mi venisse vicino
un uomo. Volevo una cucina
nuova alla quale affezionarmi.
Un odore a cui tornare, sempre.
Un luogo a cui legare il corpo
ogni momento con un filo che
mi esce dalla bocca: mentre penso,
mentre mangio, se cammino e non m’accorgo.
Quando guardo un altro e lo trovo carino,
ammiro un monte e il suo alto profilo.
Qualcosa che mi faccia male dentro
se mi allontano: da stare attenti,
non tirare troppo la corda,
sennò si strappa.

Paola Loreto

da “La memoria del corpo”, Crocetti Editore, 2007