Incontro – Eugenio Montale

Foto di Gerard Laurenceau

 

Tu non m’abbandonare mia tristezza
sulla strada
che urta il vento forano
co’ suoi vortici caldi, e spare; cara
tristezza al soffio che si estenua: e a questo,
sospinta sulla rada
dove l’ultime voci il giorno esala
viaggia una nebbia, alta si flette un’ala
di cormorano.

La foce è allato del torrente, sterile
d’acque, vivo di pietre e di calcine;
ma più foce di umani atti consunti,
d’impallidite vite tramontanti
oltre il confine
che a cerchio ci rinchiude: visi emunti,
mani scarne, cavalli in fila, ruote
stridule: vite no: vegetazioni
dell’altro mare che sovrasta il flutto.

Si va sulla carraia di rappresa
mota senza uno scarto,
simili ad incappati di corteo,
sotto la volta infranta ch’è discesa
quasi a specchio delle vetrine,
in un’aura che avvolge i nostri passi
fitta e uguaglia i sargassi
umani fluttuanti alle cortine
dei bambù mormoranti.

Se mi lasci anche tu, tristezza, solo
presagio vivo in questo nembo, sembra
che attorno mi si effonda
un ronzio qual di sfere quando un’ora
sta per scoccare;
e cado inerte nell’attesa spenta
di chi non sa temere
su questa proda che ha sorpresa l’onda
lenta, che non appare.

Forse riavrò un aspetto: nella luce
radente un moto mi conduce accanto
a una misera fronda che in un vaso
s’alleva s’una porta di osteria.
A lei tendo la mano, e farsi mia
un’altra vita sento, ingombro d’una
forma che mi fu tolta; e quasi anelli
alle dita non foglie mi si attorcono
ma capelli.

Poi più nulla. Oh sommersa!: tu dispari
qual sei venuta, e nulla so di te.
La tua vita è ancor tua: tra i guizzi rari
dal giorno sparsa già. Prega per me
allora ch’io discenda altro cammino
che una via di città,
nell’aria persa, innanzi al brulichio
dei vivi; ch’io ti senta accanto; ch’io
scenda senza viltà.

Eugenio Montale

da “Meriggi e ombre”, in “Ossi di seppia”, Piero Gobetti Editore, Torino, 1925

Un commento su “Incontro – Eugenio Montale

  1. alessiagenesis ha detto:

    Quel “Tu non m’abbandonare”reca già in sé una forza travolgente, richiesta,invito ,non solo a se stesso, ed esplicita presa di coscienza, catartica in quanto liberata in parole.Qualcosa di simile ricorre tra i poeti, che io chiamo -un fuori scena-.Un’invocazione alla tristezza , in questo caso (altrove si può trovare “Non te ne andare”o un “Voltati”ed altri esempi anche più consoni potrei aggiungere), come fosse musa ispiratrice, compagna,quella malinconia, nostalgia (o splenn), che nn è uno stato d animo, ma la propria essenza, il proprio sguardo sul mondo.E diviene quasi persona, come se giungesse a coincidere con un volto(un’ allegoria se fosse dipinta)in cui il poeta trova una motivazione( si direbbe più facilmente -un senso- alla maniera di chi ci ha guadagnato parecchio…!), per non perdersi tra le sue stesse parole , tra le pieghe della sua mente, troppo piena da rischiare di divenire buio e non luce.È dunque in quel-non mi lasciare- che io vedo il fuori scena cui accennavo, ossia la volontà di tendere la mano per rimanere ed avere il coraggio di farlo proprio in virtù della presenza altrui.Il -non lasciatemi qui-, dietro le quinte come burattini buttati via,sebbene sempre burattini senza fili(e , per me, quest ultima non è solo una quasi consolatoria constatazione , ma una nota da rimarcare sempre, per la sua importanza e ciò che comporta), nel buio,è il tema che ricorre, dissimulato,mascherato , tra le parole dietro le quali si cela il poeta.

    Persino per accettare la morte , naturale o scelta , abbiamo bisogno di sentire il cuore in pace.E questo ci è dato dalla presenza dell altro, delle persone affini, di chi ci ama, di chi amiamo.

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