«A volte sono velo a volte specchio» – Bidel Dehlavi

Inbearable lightness of Being by Liudmila Wilchevskaya

 

A volte sono velo a volte specchio
del tuo splendore, e trasalisco attonito
dell’immagine tua nel mio pensiero.¹

Non dell’acqua né della terra
del conforto s’impasta e foggia
l’essenza della mia passione:
sono la folle polvere
di malinconia che il fremito solleva
della tua gazzella fuggitiva.

Io volo e sfiora il cielo l’orlo
del mio cappello, più in alto ancora
proprio perché umiliati io e il desiderio
le ali spezzate abbiamo a causa tua.

Davanti al sommo bisogno s’incurva
la mia schiena come l’anello
da schiavo del mio orecchio,
e se ascendo più in alto fino al cielo
la falce divento della tua luna.

Non distinguo più alcuna differenza
tra il farsi niente e il permanere eterno,
ma vedo bene che un atomo sono
dell’infinito tuo eterno sole.

Che importa se questo mio tempo
me non riconosce! Il tuo specchio anch’io
ormai son diventato: specchio
della Bellezza tua sulle altre eccelsa.

Come potrebbe non gloriarsi il nero
incenso² mio che è stato acceso ed arde?
Arde il respiro e ardono i sospiri
cercando il nero neo del volto tuo.

Che mai sia colpito nessuno
dalle invidie dell’emula contesa!
Riarse l’henné dei tuoi piedi vedendo
anche me dal tuo piede calpestato.

Non per le mie lacrime rugiada
sarò della tua primavera:
eccomi invece venditore che offre
il succo del sudore del suo volto
acceso di vergogna
al mostrarsi davanti agli occhi tuoi.

Neanche me stesso col pensiero
mio imperfetto so raggiungere.
Oh, strano mio desiderio! Io desidero
in te la perfezione tua raggiungere.

È qui nel sommo che mirabilmente
terrore e pace posano insieme:
sia nel chiuso del nido che nel volo
sono tue le ali che mi coprono.

Non so nulla di me se non per poco.
So che ero solo sguardo di passione,
e sono adesso solo la visione
che il volto tuo immagina e figura.

Il terreno dell’alta gnosi è mondo
dalle radici della dualità.
Perché non esco ormai fuori di me?
Non sono che il tuo arbusto a sé alienato.

M’arde, o Bidel l’Amantesenzacuore,³
la vergogna d’esser privo di un cuore!
No, non posseggo il cuore: ma mi strugge
lo stesso di te la malinconia
per la mancanza e per il desiderio.

Mawlānā Abul-Ma’āni Mirzā Abdul-Qādir Bēdil

(Traduzione di Carla De Bellis e Iman Mansub Basiri)

da “A volte velo a volte specchio”, Liriche persiane (secc. IX-XIX), Editore San Marco dei Giustiniani, 2014

¹L’elegante ḡazal di Bidel rappresenta l’immaginario raffinato e complicato tipico dello stile indiano. La figura dello “specchio”, che appare nel primo verso, è molto diffusa nelle poesie di Bidel. Il ritornello (radif) del ḡazal, che contiene il pronome “tu”, indicato nella traduzione italiana tramite il possessivo “tuo”, mette in evidenza la concentrazione continua del poema sull’oggetto d’amore.
² Questo incenso nero in persiano viene chiamato “(e)sepand” o  “esfand”, che letteralmente significa “santo”. Esso viene tratto dalla Peganum harmala: i semi secchi di questa pianta, spesso mischiati con altri ingredienti, vengono posti sul fuoco ed esplodono rumorosamente. Il “sepand” tradizionalmente si ritiene utile contro il malocchio.
³ II verso è basato sulla paronomasia fra Bidel (pseudonimo poetico ovvero taḵallos del poeta)  e “bi-del” che significa “invaghito”: letteralmente “senza cuore”, “chi ha perso il cuore nell’amore”.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.