Strofino lo specchio con la mano
dietro di me scorgo l’autunno.
È irrequieta la mia pace,
la felicità non porta altra felicità.
Cadono le foglie sulla terra
ma prima volteggiano a lungo.
Non ha senso cercare parole
per celebrare questa tristezza.
Nel flauto risuonava l’estate
per l’ubriaco chiacchierone,
ora suona il silenzio per il poeta
che ha smaltito la sbornia.
Mi avvicino di piú allo specchio
e copro di me tutta la tristezza,
ma nello stesso istante
alle mie spalle echeggia il vento.
Il giardino riempie tutto lo specchio,
il volto del poeta si dissolve,
le foglie nuovamente volano via,
cadono e volteggiano.
Boris Ryžhy
1999.
(Traduzione di Valeria Ferraro)
da “La nuovissima poesia russa”, Einaudi, Torino, 2005
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