Commiato – Jorge Luis Borges

Stephanie Ludwig, Kätzchen (Kitten), 1901

 

Tra me e il mio amore si alzeranno
trecento notti come trecento muri
e una magia sarà fra noi il mare.

Non resteranno che ricordi.
O sere che il dolore ha meritato,
notti nella speranza di guardarti,
campi del mio vagare, firmamento
che mentre ammiro perdo…
Definitiva come un marmo
rattristerà altre sere la tua assenza.

Jorge Luis Borges

(Traduzione di Tommaso Scarano)

da “Fervore di Buenos Aires”, Adelphi, Milano, 2010

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Despedida

Entre mi amor y yo han de levantarse
trescientas noches como trescientas paredes
y el mar será una magia entre nosotros.

No habrá sino recuerdos.
Oh tardes merecidas por la pena,
noches esperanzadas de mirarte,
campos de mi camino, firmamento
que estoy viendo y perdiendo…
Definitiva como un mármol
entristecerá tu ausencia otras tardes.

Jorge Luis Borges

da “Fervor de Buenos Aires”, Editorial Imprenta Serrantes, 1923

«È vero che io per te sono» – Gëzim Hajdari

 

È vero che io per te sono
chiodo nel cuore, ricordo, pena,
labbro nero, freddo sotto la pelle
che ride e piange come un folle?

Dimmi cosa sono: angelo maligno
che nei cespugli e nelle paludi
lacera il proprio destino
e infanga Cristo e Maometto?

o fuoco nel buio mortale
nascosto nei brutti sogni,
che seduce e tormenta
con un volto dolce e terribile?

Il tuo silenzio mi scava il cervello
stanco della notte immensa.
Sorridendo ti contemplo sotto la luna
come il soldato la propria ferita.

Gëzim Hajdari

da “Antologia della pioggia”, Edizioni Ensemble, Roma, 2018

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«Është e vërtetë, unë për ty jam»

Është e vërtetë, unë për ty jam
gozhdë në zemër, kujtim, ndëshkim,
buzë e nxirë, akull nën lëkurë
që qesh e qan si i marrë?

Më thuaj ç’jam: engjëll ogurzi
që ndër moçale e kaçube
çjerr fatin me duart e veta
e baltos Krisht e Muhamet?

A zjarr errësirës vdekjeprurëse
fshehur ndër ëndrra ndjellakeqe,
që sfilit e magjeps njëkohësisht
me fytyrë të këndshme a gjithë tmerr?

Heshtja jote ma gërryen trupin
lodhur prej natës pafund.
Buzëqeshur të kundroj nën hënë
si ushtari plagosjen e vet.

Gëzim Hajdari

da “Antologjia e shiut”, Naim Frashëri, Tirana, 1990 

«La virtú dell’amore» – Francesco Scarabicchi

Foto di Nicola Bertellotti

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La virtú dell’amore
non ha nome.
Ultima sulle scale,
è lei che guarda
all’annuncio di giugno,
a questa tarda
verità della fiamma
che non muore.

Francesco Scarabicchi

da “Il prato bianco”, Einaudi, Torino, 2017

«Ecco ancora una finestra» – Marina Ivanovna Cvetaeva

DAL CICLO «INSONNIA»
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Ecco ancora una finestra,
dove ancora non dormono.
Forse – bevono vino,
forse – siedono così.
O semplicemente – le due
mani non staccano.
In ogni casa, amico,
c’è una finestra così.

Non candele o lampade hanno acceso il buio:
ma gli occhi insonni!

Grido di distacchi e d’incontri:
tu, finestra nella notte!
Forse, centinaia di candele,
forse, tre candele…
Non c’è, non c’è per la mia
mente quiete.
Anche nella mia casa
è entrata una cosa come questa.

Prega, amico, per la casa insonne,
per la finestra con la luce.

Marina Ivanovna Cvetaeva

(Traduzione di Pietro Antonio Zveteremich)

23 dicembre 1916

da “Marina Ivanovna Cvetaeva, Poesie”, Feltrinelli, Milano, 1979

Asia – Velimir Chlèbnikov

Foto di Bert Hardy

 

Sempre schiava, ma con una patria di zar sul petto abbronzato
e con sigilli statali in cambio di búccole agli orecchi.
Ora fanciulla con spada, ignara del concepimento,
ora levatrice-vegliarda delle sommosse.
Tu stai voltando le pagine del libro in cui
la scrittura era pressione della mano dei mari.
Come inchiostro brillavano di notte gli uomini,
la fucilazione degli zar fu uno sdegnoso segno esclamativo,
la vittoria delle truppe serví di virgola,
di màrgine una serie di puntini, la cui furia è impàvida,
l’evidente sdegno popolare
e le fenditure dei secoli fecero da parèntesi.

Velimir Chlèbnikov

1921.

(Traduzione di Angelo Maria Ripellino)

da “Poesie di Chlébnikov”, Einaudi, Torino, 1968

II motivo dell’Asia come immane incunàbolo, vergato dagli uomini e dalla natura, collima col tema della lirica L’Unico Libro. L’inchiostro, la stampa, la punteggiatura e persino l’atto manuale dello scrivere esprimono il sonnolento passato e il furioso risveglio dei territori orientali dell’impero russo. Ossía il libro dell’Asia è la medesima Asia, il libro della sua geografia è la sua reale dimensione geografica, e l’Asia è libro, la sua storia è libro della sua storia, e la sua antichità è contenuta in un libro che è l’antichità stessa. (A. M. Ripellino)

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Азия

Всегда рабыня, но с родиной царей на
смуглой груди
И с государственной печатью взамен
серьги у уха.
То девушка с мечом, не знавшая зачатья,
То повитуха – мятежей старуха.
Ты поворачиваешь страницы книги той,
Где почерк был нажим руки морей.
Чернилами сверкали ночью люди,
Расстрел царей был гневным знаком
восклицанья,
Победа войск служила запятой,
А полем – многоточия, чье бешенство не робко,
Народный гнев воочию
И трещины столетий – скобкой.

Велими́р Хле́бников

da “Sobranie proizvedenij”, a cura di Jurij Tynjanov e Nikolàj Stepànov, Leningrado, 1928 – 1933, (III, 122)