Eravamo così felici e non lo sapevamo – Carmen Yáñez

Vivian Maier, New York, 1954

 

Ignoranti della luce che circondava l’innocenza
eravamo così felici amore mio,
con il calore delle nostre mani unite
attraversando tutte le strade
e ridendo degli ostacoli di pietra o grandine
che volevano fermare quella nostra corsa irresponsabile di felicità.
Eravamo così felici
e non ci accorgevamo della dimensione della vita.
Dell’invisibile minaccia, dell’ombra lunga
della paura,
noi non sapevamo nulla, insolenti.
Amandoci con previsioni di futuro.
Ora non arrivo a pensare oltre il domani quando aspetto
la prova della tua vita per bocca d’altri.

Carmen Yáñez

(Traduzione di Roberta Bovaia)

da “Senza ritorno”, Guanda, Parma, 2020

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Éramos tan felices y no lo sabíamos

Ignorantes de la luz que circundaba la inocencia
éramos tan felices amor mío,
con el calor de nuestras manos juntas
cruzando todos lo caminos
y riéndonos de los obstáculos de piedra o granizo
que nos intentaban parar esa carrera irresponsable de la felicidad.
Éramos tan felices
y no nos enterábamos de la dimensión de la vida.
De la invisible amenaza, de la larga sombra
del miedo,
no lo sabíamos nosotros, irreverentes.
Amándonos con proyecciones de futuro.
Hoy ya no pienso más allá de mañana cuando espero
tu prueba de vida dicha por otros.

Carmen Yáñez

da “Sin regreso”, Bajamar Editores, 2019

«Un prato in pendio, quanto ci vuole» – Pierluigi Cappello

 

Un prato in pendio, quanto ci vuole
per correre la discesa senza paura
di cadere, ma quasi andando incontro alla caduta
con il batticuore del volo.
Ruzzolare, rotolarsi e dopo rialzarsi
in uno scoppio di luce che è lì da millenni
a portare con sé paglia e steli nel maglione e fra i capelli.
Anche il razzolare delle bestie nell’aia
può essere sufficiente; farsi rincorrere
dal gallo mattutino, intenerirsi dal pulcino
scaldato dalle mani, pulcino tu stesso
farti graffiare dall’abbraccio ruvido
del padre tornato da lontano.
Oppure, con la piccola coppa delle mani,
levare sgocciolante dalla pietra
l’acqua dei torrenti di montagna.
Creature, creato adesso convocati
in un singolo nodo alla gola
che spinge in alto le lacrime, nel cuore del cielo
dove ricominciare la discesa,
ruzzolare, cadere
farsi male.

Pierluigi Cappello

Tolmezzo, luglio 2017

da “Un prato in pendio”, Rizzoli, 2018

Egeia – Oscar Vladislas de Lubicz-Milosz

Germaine Krull, Etude (Wanda Hubbel), 1931

 

Perché questa fronte così triste, Egeia, forma della mia anima?
Perché queste lacrime negli occhi della mia diletta?
Il sorriso dell’amica è come un rimprovero,
I suoi occhi come un grande silenzio sul mare…

Egeia, Egeia! Atroce è l’insonnia
Della Vita, o mia amata, che in voi recita
La sua nenia infinita, di una monotonia
Che né i rimpianti né i timori né i fastidi mitiga!

Mi chino sul mio miraggio nell’acqua grigia dei vostri pensieri
E la mia tristezza è una vertigine di profumi melensi
E i lenti flutti placidi sono un gregge belante di agnelle malate,
Laggiù, sulla spiaggia notturna dove i nostri passi si sono cancellati…

Le nostre anime sono la morte del mare sulla sabbia
Dove trema il vecchio chiar di luna dei rimpianti,
E i giorni che rimpiangiamo sono miserabili,
E i giorni in cui speriamo sono disperati…

Addio alle parole squillanti, addio agli atteggiamenti nobili,
Addio all’amore per il Dolore, addio al disprezzo per la Gloria!
− Ascoltiamo singhiozzare, nelle solitudini lontane,
L’acqua fioca e rassegnata ove la Sera smuore…

Oscar Vladislas de Lubicz-Milosz

(Traduzione di Massimo Rizzante)

da “O.V. de L. Milosz, Sinfonia di Novembre e altre poesie”, Adelphi, Milano, 2008

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Egeia

Pourquoi ce front si triste, Egeia, forme de mon âme,
Pourquoi ces larmes dans les yeux de ma bien-chère?
Le sourire de mon amie est comme un blâme,
Ses yeux sont comme un grand silence sur la mer…

Egeia, Egeia! C’est l’atroce insomnie
De la Vie, ô ma douce, qui psalmodie en vous
Sa berceuse sans fin, dont la monotonie
N’endort ni les regrets, ni les frayeurs, ni les dégoûts!

Je me penche sur mon mirage en l’eau grise de vos pensées
Et ma tristesse est un vertige de parfums fades,
Et les doux flots lents sont un troupeau bêlant d’agnelles
malades,
Là-bas, sur la plage nocturne où nos pas se sont effacés…

Nos âmes sont la mort de la mer sur les sables
Où tremble le vieux clair-de-lune des regrets,
Et les jours que nous regrettons sont misérables,
Et les jours que nous espérons sont des désespérés…

Adieu les mots chanteurs, adieu les nobles attitudes,
Adieu l’amour de la Douleur, adieu le mépris de la Gloire!
– Ecoutons sangloter, dans les lointaines solitudes,
L’eau faible et résignée où défaille le Soir…

Oscar Vadislas de Lubicz Milosz

da “O.V. de L. Milosz, Œuvres complètes”, Vol. I, II, XII, Paris, Éditions André Silvaire, 1958

Creazione – Cesare Pavese

Costanza Gianquinto, Hiver

 

Sono vivo e ho sorpreso nell’alba le stelle.
La compagna continua a dormire e non sa.
Dormon tutti, i compagni. La chiara giornata
mi sta innanzi piú netta dei volti sommersi.

Passa un vecchio in distanza, che va a lavorare
o a godere il mattino. Non siamo diversi,
tutti e due respiriamo lo stesso chiarore
e fumiamo tranquilli a ingannare la fame.
Anche il corpo del vecchio dev’essere schietto
e vibrante – dovrebbe esser nudo davanti al mattino.

Stamattina la vita ci scorre sull’acqua
e nel sole: c’è intorno il fulgore dell’acqua
sempre giovane, i corpi di tutti saranno scoperti.
Ci sarà il grande sole e l’asprezza del largo
e la rude stanchezza che abbatte nel sole
e l’immobilità. Ci sarà la compagna
– un segreto di corpi. Ciascuno darà una sua voce.

Non c’è voce che rompe il silenzio dell’acqua
sotto l’alba. E nemmeno qualcosa trasale
sotto il cielo. C’è solo un tepore che scioglie le stelle.
Fa tremare sentire il mattino che vibra
tutto vergine, quasi nessuno di noi fosse sveglio.

Cesare Pavese

[gennaio 1935]

da “Poesie del disamore”, Einaudi, Torino, 1951

Non navighiamo sullo stesso mare – Olav H. Hauge

Alicia Savage, Waiting Sails

 

Non navighiamo sullo stesso mare,
eppure cosí sembra.
Grossi tronchi e ferro in coperta,
sabbia e cemento nella stiva,
io resto nel profondo, io avanzo con lentezza,
a fatica nella tempesta,
urlo nella nebbia.
Tu veleggi in una barca di carta,
e il sogno sospinge l’azzurra vela,
cosí dolce è il vento, cosí delicata l’onda.

Olav H. Hauge

(Traduzione di Fulvio Ferrari)

da “La terra azzurra”, Crocetti Editore, 2008

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Me sigler ikkje same havet

Me sigler ikkje same havet,
endå det ser so ut.
Grovt timber og jam på dekk,
sand og sement i romet,
djupt ligg eg, seint sig eg,
stampar i broddsjø,
uler i skodde.
Du sigler i ein papirbåt,
og draumen ber det blå seglet,
so linn er vinden, so var er bylgja.

Olav H. Hauge

da “Dagbok 1924-1994”, Samlaget, 2000