Notti praghesi – Angelo Maria Ripellino

Foto di Josef Sudek

 

Ela, nel fiume gonfio muore il vento,
come il sogno nel velo delle ciglia.
Dalla ringhiera livida di pioggia
tu ascolti il canto fioco della Vltava.

L’acqua lampeggia, la luna vacilla
tra le cupole verdi nel tuo fiume;
un riflesso di lacrime, un rimpianto
può adornare di perle il nostro sogno.

Ma tu fermi col gesto della mano
nel vuoto il brulichìo delle speranze,
e spegni il fuoco e disperdi il futuro
dentro la nebbia che non ci abbandona.

In altri inverni, in riva a un altro fiume,
ricorderò questi alberi svaniti,
il Mulino Olandese e la notturna
neve che svolazzava sui fanali.

Non resterà che un cupo gorgo d’ombre,
e una voce dissolta nella pioggia,
nel tremolìo del lume, ed il tuo guanto
sdrucito, come un solco nella vita.

Angelo Maria Ripellino

da “Angelo Maria Ripellino, Poesie prime e ultime”, Torino, Aragno, 2006

Romanza – Angelo Maria Ripellino

Foto di Josef Sudek

 

Su Kampa bisbigliava quella notte
il salice dei sogni; all’altra riva
i vecchi tram sul lungofiume Masaryk
guizzavano in un bosco di fanali.

«Addio, – dicevi al vento della notte –
prima che fugga il mio amore lontano,
vorrò cantare Tu červenou sukynku,
in questa luce di lilla e di neve».

Come in un bianco ghiacciaio, sullo specchio
del fiume vacillavano i gabbiani.
Quei gabbiani che via dal lago Máchovo
volano dentro la luna d’aprile.

Nei giorni del distacco, l’illusione
su una tastiera batteva di neve;
sulla bocca del tempo aveva nido
un vento amaro come l’atropina.

Sono spavalde sempre le promesse,
come la prima pioggia dei sobborghi,
e i presagi sul falso davanzale
cadono come neve dentro un orcio.

Era la notte, un pàlpito di favole,
erano infusi in un freddo sciroppo
ponti, gabbiani, tremolìo di salici,
e le speranze, e il nulla, e il nostro sangue.

Dai lembi della notte apparve l’alba,
come una febbre, e il guscio della luna
cadde nel fiume, mentre tu cantavi
in una luce di lilla e di làcrime.

Angelo Maria Ripellino

da “Angelo Maria Ripellino, Poesie prime e ultime”, Torino, Aragno, 2006

«Guai a chi si costruisce il suo mondo da solo» – Angelo Maria Ripellino

Rupert Vandervell, Man on Earth

2.

Guai a chi si costruisce il suo mondo da solo.
Devi associarti a una consorteria
di violinisti guerci, di furbi larifari,
di nani del Veronese, di aiuole militari,
di impiegati al catasto, di accòliti della Schickería.
E ballare con loro il verde allegro dello sfacelo,
le gighe del marciume inorpellato,
inchinarti dinanzi ai feticci della camorra,
come Abramo dinanzi al volere del cielo.
Guai a chi sulla terra è sprovvisto di santi,
guai a chi resta solo come un re disperato
fra neri ceffi di lupi digrignanti.

Angelo Maria Ripellino

da “Lo splendido violino verde”, Einaudi, Torino, 1976

«Su questo magico violino verde» – Angelo Maria Ripellino

Margaret Bourke-White, Hands Playing Violin and Cello, 1930s

51.

Su questo magico violino verde
vorrei ancora sonare, se le mani
non brancolassero.
Quanti propositi vani,
che sicumera farnètica e buffa
e che sussulti di passero.
Indosserò tuttavia il vecchio frac,
che sa di muffa, chiamerò la mia claque,
perché coi suoi applausi nasconda
le stecche e le stonature.
O vita confusionale,
o barcollante baraonda
di piatti e alloppiati fantasmi,
di angeli falsi, o imposture
da Puvis de Chavannes.

Ma voi, claquers, ditemi immantinente
se resterà almeno un filo
dei miei concerti o se, tranne
la spuma dei vostri entusiasmi,
di fatto non c’era niente.
Sonerò ancora lo splendido violino verde,
finché le mani ce la faranno.
Sento però che la mia destrezza si perde
e crescono il disinganno e l’affanno.
Ma voi, claquers, assicuratemi
che di me durerà almeno un rigo,
che delle mie sconsolate sonate
qualcosa resterà vivo.

Angelo Maria Ripellino

da “Lo splendido violino verde”, Einaudi, Torino, 1976

Vorrei scrivere – Angelo Maria Ripellino

Foto di Henri Cartier-Bresson

 

Vorrei scrivere un poema che somigliasse
a una grande città, tutto strade e cortili,
un plesso di viuzze, viadotti, angiporti e crocicchi,
un poema da potervi passeggiare
con giardini da cogliervi fiori,
con piazze in cui i vecchi bevessero il sole.
Un poema da sfilarvi con la musica,
da appendervi bandiere, un labirinto
di insegne e di vetrine. E ad ogni strada
vorrei dare il cognome d’un coleottero.
Un poema con piccole case costruite
di mollica e smeraldi, con luoghi
di cui una guida spiegasse la storia
a torpide frotte di ottusi turisti.
Questo (direbbe) è un verso-cattedrale
dalle vetrate di sontuose immagini,
e questo è un vicolo cieco, in cui il poeta
ha raccolto le briciole e i residui.
E queste le muffe di logore sillabe,
i ruderi d’un fraseggiare barocco,
gli orpelli, le spoglie, le scaltre finzioni,
di cui vorrebbe adesso liberarsi,
per essere semplice come l’amore.

Angelo Maria Ripellino

da “Versi inediti e rari”, in “Poesie prime e ultime”, Torino, Aragno, 2006

Vorrei scrivere. In «Tempo presente», n.9-10, settembre-ottobre 1960, p. 661.