«Camminerai sull’acqua per tornare» – Giovanni Raboni

Philip McKay, The Silent Word

 

Camminerai sull’acqua per tornare
dove sei sempre stato. Intanto vivi
pagando vecchi debiti, coltivi
la tua puntigliosità militare,

accumuli prove a discolpa come
se la gioia che t’aspetta dovessi
davvero meritartela o potessi
perderla ancora, ostaggio d’un cognome

inventato da chissà quale mente
boriosa se lo si legge in Giovanni
20, 16. Quanti e che duri anni
a sentirti padre infinitamente

volendo essere figlio, a scongiurare
ferite, tu che le hai cosí care…

Giovanni Raboni

da “Quare tristis”, “Lo Specchio” Mondadori, 1998

«Tanto difficile da immaginare» – Giovanni Raboni

 

Tanto difficile da immaginare,
davvero, il paradiso? Ma se basta
chiudere gli occhi per vederlo, sta
lí dietro, dietro le palpebre, pare

che aspetti noi, noi e nessun altro, festa
mattutina, gloria crepuscolare
sulla città invulnerata, sul mare
di prima della diaspora – e si desta

allora, non la senti? una lontana
voce, lontana e piú vicina come
se non l’orecchio ne vibrasse ma

un altro labirinto, una membrana
segreta, tesa nel buio a metà
fra il niente e il cuore, fra il silenzio e il nome…

Giovanni Raboni

da “Quare tristis”, “Lo Specchio” Mondadori, 1998

«Filare tra le lenzuola tremando» – Giovanni Raboni

Imogen Cunningham, The Unmade Bed, 1958, MoMa

 

Filare tra le lenzuola tremando
di febbre, di felicità al pensiero
d’essere esente dall’esserci, libero
dal suo fiato, dal suo affanno – ma quando?

solo ai tempi dei tempi, quando ero
un ragazzo e proprio cosí, sfumando
il presente e il futuro in un rimando
sine die ne facevo piú leggero

il morso? O forse la si prende, questa
malattia, anche da grandi, e forse è grazia
che sia cosí, grazia per chi s’appresta

a lasciare la vita e ancora strazia
il moto che la consuma, l’impura
dolcezza che la feconda e l’oscura.

Giovanni Raboni

da “Quare tristis”, “Lo Specchio” Mondadori, 1998

«Piú la gente che c’era se ne va» – Giovanni Raboni

Foto di Anja Bührer

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piú la gente che c’era se ne va
o si nasconde e meno avrebbe senso
lasciarla da vivo questa città
senza vita. Sí, ogni tanto ci penso,

immagino un altro cielo, un incenso
meno acre ma chi me lo ridà
l’alitare, il parlottare, l’immenso
silenzioso brusío di chi non ha

casa che nel mio ricordo? Per quanti
siano i vivi che amo non saranno
mai tanti come loro, gli sfrattati

dal tempo, i clandestini, gli abbonati
fuori elenco a telefoni che hanno
numeri di cinque cifre soltanto.

Giovanni Raboni

da “Quare tristis”, “Lo Specchio” Mondadori, 1998

«Ci sono sere che vorrei guardare» – Giovanni Raboni

Herbert List, Neighbours, Hamburg, Germany, 1931

 

Ci sono sere che vorrei guardare
da tutte le finestre delle strade
per cui passo, essere tutte le rade
ombre che vedo o immagino vegliare

nei loro fiochi santuari. Abbiamo,
sussurro passando, lo stesso sogno,
cancellare fino a domani il sogno
opaco, cruento del giorno, li amo

anch’io i vostri muri pallidamente
fioriti, i vostri sonnolenti acquari
televisivi dove i lampadari
nuotano come polpi, non c’è niente

che mi escluda tranne la serratura
chiusa che esclude voi dalla paura.

Giovanni Raboni

da “Quare tristis”, “Lo Specchio” Mondadori, 1998