Le avventure perdute – Alejandra Pizarnik

Fotografia di Katia Chausheva

Su nere rupi
precipita, inebriata di morte
l’ardente innamorata del vento.
                                             G. Trakl
LA GABBIA

Fuori c’è il sole.
Non è altro che un sole
ma gli uomini lo guardano
e poi cantano.

Io non so del sole.
Io so la melodia dell’angelo
e il sermone caldo
dell’ultimo vento.
So gridare fino all’alba
quando la morte si posa nuda
sulla mia ombra.

Io piango sotto il mio nome.
Io agito fazzoletti nella notte
e navi assetate di realtà
ballano con me.
Io nascondo chiodi
per schernire i miei sogni malati.

Fuori c’è il sole.
Io mi vesto di ceneri.

FESTA NEL VUOTO

Come il vento senza ali rinchiuso nei miei occhi
è la chiamata della morte.
Solamente un angelo mi legherà al sole.
In che luogo l’angelo,
in che luogo la sua parola.

Oh perforare con vino la soave necessità di essere.

LA DANZA IMMOBILE

Messaggeri nella notte hanno annunciato ciò che non udimmo.
Si è cercato sotto l’ululato della luce.
Si è voluto fermare l’avanzare delle mani inguantate
che strangolavano l’innocenza.

E se si sono nascoste nella casa del mio sangue,
per quale motivo non mi trascino fino all’amato
che muore dietro la mia tenerezza?
Perché non fuggo
e mi inseguo con coltelli
e mi deliro?

Di morte si è intessuto ogni istante.
Io divoro la furia come un angelo idiota
invaso da erbacce
che gli impediscono di ricordare il colore del cielo.

Però io e loro sappiamo
che il cielo ha il colore dell’infanzia morta.

TEMPO
A Olga Orozco

Io non so dell’infanzia
non più di un timore luminoso
e di una mano che mi trascina
verso l’altra mia sponda.

La mia infanzia e il suo profumo
di uccello accarezzato.

FIGLIA DEL VENTO

Sono venute.
Invadono il sangue.
Odorano di piume,
di carenza,
di pianto.
Ma tu nutri la paura
e la solitudine
come due animaletti
perduti nel deserto.

Sono venute
a incendiare l’età del sogno.
Un addio è la tua vita.
Ma tu ti abbracci
come il serpente folle di movimento
che trova solo sé stesso
perché non c’è nessuno.

Tu piangi sotto il tuo pianto,
tu apri lo scrigno dei tuoi desideri
e sei più ricca della notte.

Ma crea così tanta solitudine
che le parole si suicidano

L’UNICA FERITA

Quale bestia caduta dallo stupore
si trascina nel mio sangue
e vuole salvarsi?

Ecco qui il difficile:
percorrere le strade
e additare il cielo o la terra.

ESILIO
A Raúl Gustavo Aguirre

Questa mania di sapermi angelo,
senza età,
senza morte in cui vivermi,
senza pietà per il mio nome
né per le mie ossa che piangono mentre vagano.

E chi non ha un amore?
E chi non gode tra i papaveri?
E chi non possiede un fuoco, una morte,
una paura, qualcosa di orribile,
per quanto sia con piume,
per quanto sia con sorrisi?

Sinistro delirio amare un’ombra.
L’ombra non muore.
E il mio amore
abbraccia soltanto ciò che fluisce
come lava dall’inferno:
una loggia silenziosa,
fantasmi in dolce erezione,
sacerdoti di spuma,
e soprattutto angeli,
angeli belli come coltelli
che si levano nella notte
e devastano la speranza.

ARTI INVISIBILI

Tu che canti tutte le mie morti.
Tu che canti ciò che non affidi
al sonno del tempo,
descrivimi la casa del vuoto,
parlami di quelle parole vestite di feretri
che abitano la mia innocenza.

Con tutte le mie morti
io mi consegno alla mia morte,
con manciate d’infanzia,
con desideri ebbri
che non girarono sotto il sole,
e non v’è una parola mattiniera
che dia ragione alla morte,
e non v’è un dio presso il quale morire senza smorfie.

LA CADUTA

Musica mai udita,
amata in feste antiche.
Ormai non riabbraccerò più
colui che giungerà dopo la fine?

Ma questo innocente bisogno di viaggiare
tra suppliche e ululati.
Io non so. Non so di altro che non sia il volto
dai cento occhi di pietra
che piange insieme al silenzio
e che mi aspetta.

Giardino percorso in lacrime,
abitanti che baciai
quando la mia morte ancora non era nata.
Nel vento sacro
tessevano il mio destino.

CENERI

Abbiamo detto parole,
parole per destare morti,
parole per fare un fuoco,
parole dove poterci sedere
e sorridere.

Abbiamo creato il sermone
dell’uccello e del mare,
il sermone dell’acqua,
il sermone dell’amore.

Ci siamo inginocchiati
e abbiamo adorato frasi lunghe
quanto il sospiro della stella,
frasi come onde,
frasi con ali.

Abbiamo inventato nuovi nomi
per il vino e per le risa,
per gli sguardi e i loro terribili
cammini.

Io adesso sono sola
–come l’avara folle
in cima alla sua montagna d’oro–
e scaglio parole in direzione del cielo,
ma io sono sola
e non posso dire al mio amato
quelle parole per le quali vivo.

BLU

le mie mani crescevano con la musica
dietro i fiori

però adesso
perché ti cerco, notte,
perché dormo con i tuoi morti

LA NOTTE

So poco della notte
ma pare che la notte sappia di me,
e non solo, mi assiste come se mi amasse,
ammanta la mia coscienza con le sue stelle.

Può darsi che la notte sia la vita e il sole la morte.
Può darsi che la notte è nulla
e le congetture su di lei nulla
e gli esseri che la vivono nulla.
Può darsi che le parole siano la sola cosa che esiste
nell’enorme vuoto dei secoli
che ci graffiano l’anima con i loro ricordi.

Però la notte deve conoscere la miseria
che si abbevera al nostro sangue e alle nostre idee.
Deve scagliare odio contro i nostri sguardi
che le sono noti in quanto pieni di interessi, di incontri falliti.

Però mi accade di udire la notte piangere nelle mie ossa.
La sua lacrima immensa delira
e grida che qualcosa se n’è andato per sempre.

Un giorno torneremo a essere.

NULLA

Il vento muore nella mia ferita.
La notte mendica il mio sangue.

LA PAURA

Nell’eco delle mie morti
c’è ancora paura.
Tu sai della paura?
So della paura quando dico il mio nome.
È la paura,
la paura con il cappello nero
che nasconde ratti nel mio sangue,
o la paura con le labbra morte
che beve i miei desideri.
Sì. Nell’eco delle mie morti
c’è ancora paura.

ORIGINE

La luce è troppo grande
per la mia infanzia.
Ma chi mi darà la risposta mai impiegata?
Qualche parola che mi ripari dal vento,
qualche piccola verità sulla quale sedermi
e dalla quale vivermi,
qualche frase solamente mia
che io abbracci ogni notte,
nella quale mi riconosca,
nella quale mi esista.

Però no. La mia infanzia
comprende soltanto il vento feroce
che mi disperse nel freddo
quando campane morte
mi annunciarono.

Soltanto una melodia vecchia,
un qualcosa con bambini d’oro, con ali di verde pelliccia,
caldo, saggio come il mare,
che rabbrividisce dal mio sangue,
che rinnova la mia stanchezza di altre età.

Soltanto la decisione di essere dio finanche nel pianto.

LA LUCE CADUTA DALLA NOTTE

riversa sfinge
il tuo pianto sul mio delirio
cresci con fiori sulla mia attesa
ché la salvazione celebra
lo sgorgare del nulla

riversa sfinge
la pace dai tuoi capelli di pietra
sul mio sangue rabbioso

io non capisco la musica
dell’ultimo abisso
io non so del sermone
del braccio d’edera
però voglio essere dell’uccello innamorato
che trascina le ragazze
ebbre di mistero
amo l’uccello saggio in amore
il solo libero

PELLEGRINAGGIO
A Elizabeth Azcona Cranwell

Chiamai, chiamai come la naufraga sventurata
chiama le onde aguzzine
che conoscono il vero nome
della morte.

Ho chiamato il vento,
gli rivelai il mio desiderio di essere.

Ma un uccello morto
vola verso lo scoramento
in mezzo alla musica
quando streghe e fiori
tagliano la mano della bruma.
Un uccello morto chiamato blu.

Non è la solitudine con le ali,
è il silenzio della prigioniera,
è il mutismo di uccelli e vento,
è il mondo indispettito dalle mie risa
o i guardiani dell’inferno
che strappano le mie carte.

Ho chiamato, ho chiamato.
Ho chiamato alla volta del mai.

LA CARENZA

Io non so di uccelli,
non conosco la storia del fuoco.
Però credo che la mia solitudine dovrebbe avere le ali.

IL RISVEGLIO
A León Ostrov

Signore
La gabbia è diventata uccello
ed è volata via
e il mio cuore è impazzito
perché ulula alla morte
e dietro il vento sorride
ai miei deliri

Che cosa ne farò della paura
Che cosa ne farò della paura

Oramai la luce non balla sul mio sorriso
né le stagioni bruciano colombe nelle mie idee
Le mie mani si sono spogliate
e se ne sono andate dove la morte
insegna a vivere ai morti

Signore
L’aria castiga il mio essere
Dietro l’aria ci sono mostri
che si abbeverano con il mio sangue

È il disastro
È l’ora del vuoto non vuoto
È l’istante in cui mettere il catenaccio alle labbra 
udire i condannati gridare
contemplare uno a uno i miei nomi
impiccati al nulla

Signore
Ho vent’anni
Anche i miei occhi hanno vent’anni
eppure non dicono nulla

Signore
Ho consumato la mia vita in un istante
L’ultima innocenza è esplosa
Ora è mai o mai più
O semplicemente fu

Per quale ragione non mi suicido davanti a uno specchio
e scompaio per ricomparire nel mare
dove una grande nave mi attenda
con le sue luci accese?

Per quale ragione non mi estraggo le vene
e faccio di loro una scala
per fuggire dall’altra parte della notte?

Il principio ha generato la fine
Tutto continuerà allo stesso modo
I sorrisi logori
L’interesse interessato
Le domande di pietra in pietra
Le gesticolazioni che copiano l’amore
Tutto continuerà allo stesso modo
Ma le mie braccia insistono nell’abbracciare il mondo
perché ancora nessuno ha insegnato loro
che oramai è troppo tardi

Signore
Getta i feretri del mio sangue

Ricordo la mia infanzia
quando ero un’anziana
I fiori morivano tra le mie mani
perché la danza selvaggia della gioia
distruggeva loro il cuore

Ricordo le nere mattine di sole
quando ero bambina
vale a dire ieri
vale a dire secoli fa

Signore
La gabbia è diventata uccello
e ha divorato le mie speranze

Signore
La gabbia è diventata uccello
Che ne farò della paura

MOLTO PIÙ OLTRE

E cosa accadrebbe se cominciassimo a giocare d’anticipo
di sorriso in sorriso
fino all’ultima speranza?

Cosa accadrebbe?
E a me cosa importa,
a me, che ho perduto il mio nome,
il nome che mi era dolce sostanza
in epoche remote, quando io non ero io
ma piuttosto una bambina ingannata dal suo sangue?

Per cosa, per cosa
questo disgregarmi, questo dissanguarmi,
questo spennarmi, questo squilibrarmi
se la mia realtà arretra
come spinta da una mitragliatrice
e all’improvviso si lancia a correre,
pur se magari viene raggiunta,
fino a che cade ai miei piedi come un uccello morto?
Vorrei parlare della vita.
Ebbene è questa la vita,
questo ululato, questo conficcarsi le unghie
nel petto, questo strapparsi
i capelli a piene mani, questo sputarsi
nei propri occhi, soltanto per dire,
soltanto per vedere se si può dire:
«non è vero che io sono? non è così?
non è vero che io esisto
e non sono l’incubo di una bestia?».

E con le mani infangate
battiamo alla porta dell’amore.
E con la coscienza coperta
di sudici e splendidi veli,
chiediamo di Dio.
E con le tempie crepitanti
di stolta superbia
afferriamo per la cintola la vita
e di lato scalciamo la morte.

Ebbene è questo ciò che facciamo.
Giochiamo d’anticipo di sorriso in sorriso
fino all’ultima speranza.

L’ ASSENTE
I

Il sangue vuole posarsi.
Gli hanno rubato la sua ragione d’amore.
Assenza nuda.
Mi deliro, mi spenno.
Cosa direbbe il mondo se dio
l’avesse abbandonato in questo modo?

II

Senza te
il sole cade come un morto abbandonato.

Senza te
rinvengo tra le mie braccia
e mi riporto alla vita
a mendicare fervore.

DA QUESTA SPONDA
Sono pura
perché la notte che mi rinchiudeva
nella sua nerezza mortale
è fuggita.
W. Blake

Perfino quando l’amato
brillerà nel mio sangue
come collerica stella,
mi alzerò dal mio cadavere
e facendo attenzione a non calpestare il mio sorriso morto
andrò all’incontro del sole.

Da questa sponda di nostalgia
tutto è angelo.
La musica è amica del vento
amico dei fiori
amici della pioggia
amica della morte.

Alejandra Pizarnik

(Traduzione di Roberta Buffi)

da “Alejandra Pizarnik, Poesia completa”, Lietocolle, 2018

∗∗∗

LAS AVENTURAS PERDIDAS
(1958)
A Rubén Vela

 

Sobre negros peñascos
se precipita, embriagada de muerte, la ardiente enamorada del viento. 
                                             G. Trakl
LA JAULA

Afuera hay sol.
No es más que un sol
pero los hombres lo miran
y después cantan.

Yo no sé del sol.
Yo sé la melodía del ángel
y el sermón caliente
del último viento.
Sé gritar hasta el alba
cuando la muerte se posa desnuda
en mi sombra.

Yo lloro debajo de mi nombre.
Yo agito pañuelos en la noche
y barcos sedientos de realidad
bailan conmigo.
Yo oculto clavos
para escarnecer a mis sueños enfermos.

Afuera hay sol.
Yo me visto de cenizas.

FIESTA EN EL VACÍO

Como el viento sin alas encerrado en mis ojos
es la llamada de la muerte.
Sólo un ángel me enlazará al sol.
Dónde el ángel,
dónde su palabra.

Oh perforar con vino la suave necesidad de ser.

LA DANZA INMÓVIL

Mensajeros en la noche anunciaron lo que no oímos.
Se buscó debajo del aullido de la luz.
Se quiso detener el avance de las manos enguantadas
que estrangulaban a la inocencia.

Y si se escondieron en la casa de mi sangre,
¿cómo no me arrastro hasta el amado
que muere detrás de mi ternura?
¿Por qué no huyo
y me persigo con cuchillos
y me deliro?

De muerte se ha tejido cada instante.
Yo devoro la furia como un ángel idiota
invadido de malezas
que le impiden recordar el color del cielo.

Pero ellos y yo sabemos
que el cielo tiene el color de la infancia muerta.

TIEMPO
A Olga Orozco

Yo no sé de la infancia
más que un miedo luminoso
y una mano que me arrastra
a mi otra orilla.
 
Mi infancia y su perfume
a pájaro acariciado.

HIJA DEL VIENTO

Han venido.
Invaden la sangre.
Huelen a plumas,
a carencia,
a llanto.
Pero tú alimentas al miedo
y a la soledad
como a dos animales pequeños
perdidos en el desierto.

Han venido
a incendiar la edad del sueño.
Un adiós es tu vida.
Pero tú te abrazas
como la serpiente loca de movimiento
que sólo se halla a sí misma
porque no hay nadie.

Tú lloras debajo de tu llanto,
tú abres el cofre de tus deseos
y eres más rica que la noche.

Pero hace tanta soledad
que las palabras se suicidan

LA ÚNICA HERIDA

¿Qué bestia caída de pasmo
se arrastra por mi sangre
y quiere salvarse?

He aquí lo difícil:
caminar por las calles
y señalar el cielo o la tierra.

EXILIO
A Raúl Gustavo Aguirre

Esta manía de saberme ángel,
sin edad,
sin muerte en que vivirme,
sin piedad por mi nombre
ni por mis huesos que lloran vagando.

¿Y quién no tiene un amor?
¿Y quién no goza entre amapolas?
¿Y quién no posee un fuego, una muerte,
un miedo, algo horrible,
aunque fuere con plumas,
aunque fuere con sonrisas?

Siniestro delirio amar a una sombra.
La sombra no muere.
Y mi amor
sólo abraza a lo que fluye
como lava del infierno:
una logia callada,
fantasmas en dulce erección,
sacerdotes de espuma,
y sobre todo ángeles,
ángeles bellos como cuchillos
que se elevan en la noche
y devastan la esperanza.

ARTES INVISIBLES

Tú que cantas todas mis muertes.
Tú que cantas lo que no confías
al sueño del tiempo,
descríbeme la casa del vacío,
háblame de esas palabras vestidas de féretros
que habitan mi inocencia.

Con todas mis muertes
yo me entrego a mi muerte,
con puñados de infancia,
con deseos ebrios
que no anduvieron bajo el sol,
y no hay una palabra madrugadora
que le dé la razón a la muerte,
y no hay un dios donde morir sin muecas.

LA CAÍDA

Música jamás oída,
amada en antiguas fiestas.
¿Ya nunca volveré a abrazar
al que vendrá después del final?

Pero esta inocente necesidad de viajar
entre plegarias y aullidos.
Yo no sé. No sé sino del rostro
de cien ojos de piedra
que llora junto al silencio
y que me espera.

Jardín recorrido en lágrimas,
habitantes que besé
cuando mi muerte aún no había nacido.
En el viento sagrado
tejían mi destino.

CENIZAS

Hemos dicho palabras,
palabras para despertar muertos,
palabras para hacer un fuego,
palabras donde poder sentarnos
y sonreír.

Hemos creado el sermón
del pájaro y del mar,
el sermón del agua,
el sermón del amor.

Nos hemos arrodillado
y adorado frases extensas
como el suspiro de la estrella,
frases como olas,
frases con alas.

Hemos inventado nuevos nombres
para el vino y para la risa,
para las miradas y sus terribles
caminos.

Yo ahora estoy sola
–como la avara delirante
sobre su montaña de oro–
arrojando palabras hacia el cielo,
pero yo estoy sola
y no puedo decirle a mi amado
aquellas palabras por las que vivo.

AZUL

mis manos crecían con música
detrás de las flores

pero ahora
por qué te busco, noche,
por qué duermo con tus muertos

LA NOCHE

Poco sé de la noche
pero la noche parece saber de mí,
y mas aún, me asiste como si me quisiera,
me cubre la conciencia con sus estrellas.

Tal vez la noche sea la vida y el sol la muerte.
Tal vez la noche es nada
y las conjeturas sobre ella nada
y los seres que la viven nada.
Tal vez las palabras sean lo único que existe
en el enorme vacío de los siglos
que nos arañan el alma con sus recuerdos.

Pero la noche ha de conocer la miseria
que bebe de nuestra sangre y de nuestras ideas.
Ella ha de arrojar odio a nuestras miradas
sabiéndolas llenas de intereses, de desencuentros.

Pero sucede que oigo a la noche llorar en mis huesos.
Su lágrima inmensa delira
y grita que algo se fue para siempre.

Alguna vez volveremos a ser.

NADA

El viento muere en mi herida.
La noche mendiga mi sangre.

EL MIEDO

En el eco de mis muertes
aún hay miedo.
¿Sabes tú del miedo?
Sé del miedo cuando digo mi nombre.
Es el miedo,
el miedo con sombrero negro
escondiendo ratas en mi sangre,
o el miedo con labios muertos
bebiendo mis deseos.
Sí. En el eco de mis muertes
aún hay miedo.

ORIGEN

La luz es demasiado grande
para mi infancia.
Pero ¿quién me dará la respuesta jamás usada?
Alguna palabra que me ampare del viento,
alguna verdad pequeña en que sentarme
y desde la cual vivirme,
alguna frase solamente mía
que yo abrace cada noche,
en la que me reconozca,
en la que me exista.

Pero no. Mi infancia
sólo comprende al viento feroz
que me aventó al frío
cuando campanas muertas
me anunciaron.

Sólo una melodía vieja,
algo con niños de oro, con alas de piel verde,
caliente, sabio como el mar,
que tirita desde mi sangre,
que renueva mi cansancio de otras edades.

Sólo la decisión de ser dios hasta en el llanto.

LA LUZ CAÍDA DE LA NOCHE

vierte esfinge
tu llanto en mi delirio
crece con flores en mi espera
porque la salvación celebra
el manar de la nada

vierte esfinge
la paz de tus cabellos de piedra
en mi sangre rabiosa

yo no entiendo la música
del último abismo
yo no sé del sermón
del brazo de hiedra
pero quiero ser del pájaro enamorado
que arrastra a las muchachas
ebrias de misterio
quiero al pájaro sabio en amor
el único libre

PEREGRINAJE
A Elizabeth Azcona Cranwell

Llamé, llamé como la náufraga dichosa
a las olas verdugas
que conocen el verdadero nombre
de la muerte.

He llamado al viento,
le confié mi deseo de ser.

Pero un pájaro muerto
vuela hacia la desesperanza
en medio de la música
cuando brujas y flores
cortan la mano de la bruma.
Un pájaro muerto llamado azul.

No es la soledad con alas,
es el silencio de la prisionera,
es la mudez de pájaros y viento,
es el mundo enojado con mi risa
o los guardianes del infierno
rompiendo mis cartas.

He llamado, he llamado.
He llamado hacia nunca.

LA CARENCIA

Yo no sé de pájaros,
no conozco la historia del fuego.
Pero creo que mi soledad debería tener alas.

EL DESPERTAR
A León Ostrov

Señor
La jaula se ha vuelto pájaro
y se ha volado
y mi corazón está loco
porque aúlla a la muerte
y sonríe detrás del viento
a mis delirios

Qué haré con el miedo
Qué haré con el miedo

Ya no baila la luz en mi sonrisa
ni las estaciones queman palomas en mis ideas
Mis manos se han desnudado
y se han ido donde la muerte
enseña a vivir a los muertos

Señor
El aire me castiga el ser
Detrás del aire hay monstruos
que beben de mi sangre

Es el desastre
Es la hora del vacío no vacío
Es el instante de poner cerrojo a los labios
oír a los condenados gritar
contemplar a cada uno de mis nombres
ahorcados en la nada

Señor
Tengo veinte años
También mis ojos tienen veinte años
y sin embargo no dicen nada

Señor
He consumado mi vida en un instante
La última inocencia estalló
Ahora es nunca o jamás
o simplemente fue

¿Cómo no me suicido frente a un espejo
y desaparezco para reaparecer en el mar
donde un gran barco me esperaría
con las luces encendidas?

¿Cómo no me extraigo las venas
y hago con ellas una escala
para huir al otro lado de la noche?

El principio ha dado a luz el final
Todo continuará igual
Las sonrisas gastadas
El interés interesado
Las preguntas de piedra en piedra
Las gesticulaciones que remedan amor
Todo continuará igual

Pero mis brazos insisten en abrazar al mundo
porque aún no les enseñaron
que ya es demasiado tarde
Señor
Arroja los féretros de mi sangre

Recuerdo mi niñez
cuando yo era una anciana
Las flores morían en mis manos
porque la danza salvaje de la alegría
les destruía el corazón

Recuerdo las negras mañanas de sol
cuando era niña
es decir ayer
es decir hace siglos

Señor
La jaula se ha vuelto pájaro
y ha devorado mis esperanzas

Señor
La jaula se ha vuelto pájaro
Qué haré con el miedo

MUCHO MÁS ALLÁ

¿Y qué si nos vamos anticipando
de sonrisa en sonrisa
hasta la última esperanza?

¿Y qué?
¿Y qué me da a mí,
a mí que he perdido mi nombre,
el nombre que me era dulce sustancia
en épocas remotas, cuando yo no era yo
sino una niña engañada por su sangre?

¿A qué, a qué
este deshacerme, este desangrarme,
este desplumarme, este desequilibrarme
si mi realidad retrocede
como empujada por una ametralladora
y de pronto se lanza a correr,
aunque igual la alcanzan,
hasta que cae a mis pies como un ave muerta?
Quisiera hablar de la vida.
Pues esto es la vida,
este aullido, este clavarse las uñas
en el pecho, este arrancarse
la cabellera a puñados, este escupirse
a los propios ojos, sólo por decir,
sólo por ver si se puede decir:
«¿es que yo soy? ¿verdad que sí?
¿no es verdad que yo existo
y no soy la pesadilla de una bestia?».

Y con las manos embarradas
golpeamos a las puertas del amor.
Y con la conciencia cubierta
de sucios y hermosos velos,
pedimos por Dios.
Y con las sienes restallantes
de imbécil soberbia
tomamos de la cintura a la vida
y pateamos de soslayo a la muerte.

Pues eso es lo que hacemos.
Nos anticipamos de sonrisa en sonrisa
hasta la última esperanza.

EL AUSENTE
I

La sangre quiere sentarse.
Le han robado su razón de amor.
Ausencia desnuda.
Me deliro, me desplumo.
¿Qué diría el mundo si dios
lo hubiera abandonado así?

II

Sin ti
el sol cae como un muerto abandonado.

Sin ti
me torno en mis brazos
y me llevo a la vida
a mendigar fervor.

DESDE ESTA ORILLA
Soy pura
porque la noche que me encerraba
en su negror mortal
ha huido. 
W. Blake 

Aun cuando el amado
brille en mi sangre
como una estrella colérica,
me levanto de mi cadáver
y cuidando de no hollar mi sonrisa muerta
voy al encuentro del sol.

Desde esta orilla de nostalgia
todo es ángel.
La música es amiga del viento
amigo de las flores
amigas de la lluvia
amiga de la muerte.

Alejandra Pizarnik

da “Alejandra Pizarnik, Poesía Completa”, Lumen Barcellona, 2001

Questa notte, in questo mondo – Alejandra Pizarnik

Lauren Semivan, Labyrinth

 

questa notte in questo mondo
le parole del sogno dell’infanzia della morte
non è mai questo che si vuol dire
la lingua materna castra
la lingua è un organo di conoscenza
del fallimento di ogni poesia
castrata dalla sua stessa lingua
che è l’organo della ri-creazione
del ri-conoscimento
ma non della resurrezione
di qualcosa in forma di negazione
del mio orizzonte di maldoror col suo cane
e niente è promessa
tra il dicibile
che equivale a mentire
(tutto ciò che si può dire è menzogna)
il resto è silenzio
solo che il silenzio non esiste

no
le parole
non fanno l’amore
fanno l’assenza
se dico acqua berrò?
se dico pane mangerò?

questa notte in questo mondo
straordinario il silenzio di questa notte
con l’anima succede che non si vede
con la mente succede che non si vede
con lo spirito succede che non si vede
da dove viene questa cospirazione d’invisibilità?
nessuna parola è visibile

ombre
spazi viscosi dove si occulta
la pietra della follia
neri corridoi
li ho percorsi tutti
oh fermati un altro po’ tra di noi!

la mia persona è ferita
la mia prima persona singolare

scrivo come chi alza un coltello nel buio
scrivo come dico
la sincerità assoluta sarebbe sempre
l’impossibile
oh fermati un altro po’ tra di noi!

lo sfacelo delle parole
che sloggiano il palazzo del linguaggio
la conoscenza tra le gambe

che cosa hai fatto del dono del sesso?
oh miei morti
li ho mangiati mi sono strozzata
non ne posso piú di non poterne piú

parole camuffate
tutto scivola
verso la nera liquefazione

e il cane di maldoror
questa notte in questo mondo
dove tutto è possibile
tranne
la poesia

parlo
sapendo che non si tratta di ciò
sempre non si tratta di ciò
oh aiutami a scrivere la poesia piú prescindibile
        quella che non serva nemmeno
        a essere inservibile
aiutami a scrivere parole
in questa notte in questo mondo

Alejandra Pizarnik

a Martha Isabel Moya

(Traduzione di Claudio Cinti)

da “Poesie non raccolte in volume (1970-1972)”, in “Alejandra Pizarnik, La figlia dell’insonnia”, Crocetti Editore, 2004

∗∗∗

En esta noche, en este mundo 
 
en esta noche en este mundo
las palabras del sueño de la infancia de la muerte
nunca es eso lo que uno quiere decir
la lengua natal castra
la lengua es un órgano de conocimiento
del fracaso de todo poema
castrado por su propia lengua
que es el órgano de la re-creación
del re-conocimiento
pero no el de la resurrección
de algo a modo de negación
de mi horizonte de maldoror con su perro
y nada es promesa
entre lo decible
que equivale a mentir
(todo lo que se puede decir es mentira)
el resto es silencio
sólo que el silencio no existe
 
no
las palabras
no hacen el amor
hacen la ausencia
si digo agua ¿beberé?
si digo pan ¿comeré?
 
en esta noche en este mundo
extraordinario silencio el de esta noche
lo que pasa con el alma es que no se ve
lo que pasa con la mente es que no se ve
lo que pasa con el espíritu es que no se ve
¿de dónde viene esta conspiración de invisibilidades?
ninguna palabra es visible
 
sombras
recintos viscosos donde se oculta
la piedra de la locura
corredores negros
los he recorrido todos
¡oh quédate un poco más entre nosotros!
 
mi persona está herida
mi primera persona del singular
 
escribo como quien con un cuchillo alzado en la oscuridad
escribo como estoy diciendo
la sinceridad absoluta continuaría siendo
lo imposible
¡oh quédate un poco más entre nosotros!
 
los deterioros de las palabras
deshabitando el palacio del lenguaje
el conocimiento entre las piernas
¿qué hiciste del don del sexo?
oh mis muertos
me los comí me atraganté
no puedo más de no poder más
 
palabras embozadas
todo se desliza
hacia la negra licuefacción
 
y el perro de maldoror
en esta noche en este mundo
donde todo es posible
salvo
el poema
 
hablo
sabiendo que no se trata de eso
siempre no se trata de eso
oh ayúdame a escribir el poema más prescindible
         el que no sirva ni para
         ser inservible
ayúdame a escribir palabras
en esta noche en este mundo

Alejandra Pizarnik

a Martha Isabel Moya

da “Poemas no recogidos en libro (1970-1972)”, in “Alejandra Pizarnik, Poesia completa”, Barcelona: Lumen, 2001 

da «L’inferno musicale» – Alejandra Pizarnik

Francesca Woodman, Untitled, New York, 1979

COLD IN HAND BLUES

e cos’è che dirai
dirò solamente qualcosa
e cos’è che darai
mi nasconderò nel linguaggio
e perché
ho paura

OCCHI PRIMITIVI

Dove la paura non dice racconti e poesia, non forma figure di terrore e di gloria.

Vuoto grigio è il mio nome, il mio pronome.

Conosco la gamma delle paure e quel cominciare a cantare adagio nella stretta che riconduce alla sconosciuta che sono, all’emigrante di sé.

Scrivo contro la paura. Contro il vento con artigli che alloggia nella mia respirazione.

E quando al mattino temi di ritrovarti morta (e che non ci siano altre immagini): il silenzio della comprensione, il silenzio del semplice stare, cosí passano gli anni, cosí passò la bella allegria animale.

L’INFERNO MUSICALE

Colpiscono con soli

Nulla copula con nulla qui

E di tanto animale morto nel cimitero di ossa affilate della mia memoria

E di tante suore come corvi che si precipitano a frugare tra le mie cosce

La quantità di frammenti mi squarcia

Impuro dialogo

Un proiettarsi disperato della materia verbale

Liberata a se stessa

Naufragante in se stessa

IL DESIDERIO DELLA PAROLA

La notte, di nuovo la notte, la magistrale sapienza del buio, il caloroso tocco della morte, un istante di estasi per me, erede di tutti i giardini proibiti.

Passi e voci dal lato in ombra del giardino. Risa all’interno delle pareti. Non crederai che siano vivi. Non crederai che non siano vivi. In un momento qualunque la fessura nella parete e l’immediato sparpagliarsi delle bimbe che fui.

Cadono bimbe di carte di svariati colori. Parlano i colori? Parlano le figure di carta? Parlano solo quelle dorate e in giro non ce n’è nessuna.

Vado tra muri che si avvicinano, che si uniscono. Tutta la notte fino all’aurora salmodiavo: Se non è venuto è perché non è venuto. Domando. A chi? Dice che fa domande, vuol sapere a chi fa le domande. Tu non parli piú con nessuno. Straniera a morte sta morendo. Altro è il linguaggio degli agonizzanti.

Ho sprecato il dono di trasfigurare quelli proibiti (li sento respirare dentro le pareti). Impossibile narrare il mio mattino, il mio cammino. Ma contempla tutta sola la nudità di questi muri. Non fa crescere fiori né cresceranno dal miracolo. A pane e acqua per tutta la vita.

Al culmine dell’allegria ho detto di una musica mai udita. E allora? Magari potessi vivere solamente in estasi, facendo con il mio corpo il corpo della poesia, riscattando ogni frase con i miei giorni e con le mie settimane, insufflando alla poesia il mio soffio per ogni lettera e per ogni parola che siano state sacrificate nelle cerimonie del vivere.

LA PAROLA DEL DESIDERIO

Questa spettrale trama del buio, questa melodia nelle ossa, questo soffio di silenzi diversi, questo cadere per cadere, questa galleria buia, buia, questo affondare senza affondarsi.

Che cosa sto dicendo? È buio e voglio entrare. Non so che altro dire. (Io non voglio dire, io voglio entrare.) Il dolore nelle ossa, il linguaggio spappolato, ricostruire a poco a poco il diagramma dell’irrealtà.

Possessi non ne ho (questo è sicuro; alla fine è sicuro). Poi una melodia. È una melodia dolente, una luce lilla, un’imminenza senza destinatario. Vedo la melodia. Presenza di una luce arancione. Senza il tuo sguardo non saprò vivere, anche questo è certo. Ti suscito, ti resuscito. E mi ha detto di uscire al vento e fuori di casa a domandare se c’ero.

Passo nuda con una candela in mano, castello freddo, giardino delle delizie. La solitudine non è essere in piedi sul molo, all’alba, e guardare l’acqua avidamente. La solitudine è non poterla dire per non poterla circondare  per non poterle dare un volto per non poterla rendere sinonimo di un paesaggio. La solitudine sarebbe questa rotta melodia delle mie frasi.

NOMI E FIGURE

La bellezza dell’infanzia tetra, la tristezza imperdonabile tra bambole, statue, cose mute, favorevoli al doppio monologo tra me e il mio antro lussurioso, il tesoro dei pirati sotterrato nella mia prima persona singolare.

Non attende nient’altro che musica e lascia, lascia che la sofferenza che vibra in forme traditrici e troppo belle giunga al fondo dei fondi.

Abbiamo tentato di farci perdonare ciò che non facemmo, le offese fantastiche, le colpe fantasma. A causa di brume, di nulla, di ombre, abbiamo espiato.

Ciò che voglio è onorare la proprietaria della mia ombra: quella che sottrae al nulla nomi e figure.

IN UN ESEMPLARE DE LES CHANTS DE MALDOROR

Sotto il mio vestito ardeva un campo dai fiori allegri come i bambini della mezzanotte.

Il soffio della luce nelle mie ossa quando scrivo la parola terra. Parola o presenza seguita da animali profumati; triste come se stessa, bella come il suicidio; e che mi sorvola come una dinastia di soli.

SEGNI

Tutto fa l’amore con il silenzio.

Mi avevano promesso un silenzio come un fuoco, una casa di silenzio.

A un tratto il tempio è un circo e la luce un tamburo.

FUGA IN LILLA

Bisognava scrivere senza perché, senza per chi.

Il corpo si ricorda di un amore come un accendersi la lampada.

Il silenzio è tentazione e promessa.

DALL’ ALTRO LATO

Come un orologio a polvere cade la musica nella musica.

Sono triste nella notte dalle zanne di lupo.

Cade la musica nella musica come la mia voce nelle mie voci.

L’OBSCURITÉ DES AUX

Sento risuonare l’acqua che cade nel mio sogno. Le parole cadono come l’acqua io cado. Disegno nei miei occhi la forma dei miei occhi, nuoto nelle mie acque, mi dico i miei silenzi. Tutta la notte attendo che il mio linguaggio riesca a darmi forma. E penso al vento che viene a me, perdura in me. Tutta la notte ho camminato sotto la pioggia sconosciuta. Mi hanno dato un silenzio pieno di forme e di visioni (dici). E corri desolata come l’unico uccello nel vento.

A PIENA PERDITA

I sortilegi emanano dal nuovo centro di una poesia rivolta a nessuno. Parlo con la voce che sta dietro la voce ed emetto i magici suoni della lamentatrice. Uno sguardo azzurro aureolava la mia poesia. Vita, mia vita, che cosa hai fatto della mia vita?

I POSSEDUTI TRA LILLÀ
I

– Si aprí il fiore della distanza. Voglio che guardi dalla finestra e mi dica ciò che vedi, gesti inconclusi, oggetti illusori, forme fallite… Come se ti fossi preparato dall’infanzia, avvicinati alla finestra.

Un caffè pieno di sedie vuote, illuminato al parossismo, la notte in forma d’assenza, il cielo come una materia deteriorata, gocce d’acqua su una finestra, passa qualcuno mai visto prima, che non vedrò mai piú…

Che cosa ho fatto del dono dello sguardo?

– Una lampada troppo intensa, una porta aperta, qualcuno fuma nell’ombra, il tronco e la chioma di un albero, un cane si trascina, una coppia di innamorati passeggia adagio sotto la pioggia, un giornale in un fosso, un bambino che fischietta…

Continua.

– (In tono vendicativo). Un’equilibrista nana si getta sulle spalle una borsa piena d’ossa e avanza lungo il filo a occhi chiusi.

È nuda ma col cappello, ha peli dappertutto ed è grigia, sicché coi suoi capelli rossi sembra il caminetto della scenografia teatrale di un teatro di pazzi. Uno gnomo sdentato la insegue masticando lustrini…

Basta, per favore.

– (Con aria stanca). Una donna grida, un bambino piange. Sagome spiano dalle loro tane. È passato un passante. Si è chiusa una porta.

II

Se vedessi un cane morto morirei di orfanità pensando alle carezze che avrà ricevuto. I cani sono come la morte: vogliono ossa. I cani mangiano ossa. Quanto alla morte, indubbiamente si diverte a intagliarli in forma di portapenne, di cucchiaini, di tagliacarte, di forchette, di posacenere. Sí, la morte intaglia ossa come il silenzio è d’oro e la parola d’argento. Sí, il guaio della vita è che non è ciò che crediamo ma nemmeno il contrario.

Resti. Per noi rimangono le ossa degli animali e degli uomini. Dove una volta un ragazzo e una ragazza facevano l’amore, ci sono ceneri e macchie di sangue e pezzetti di unghie e riccioli pubici e una candela storta che usarono con oscure finalità e macchie di sperma sulla mota e teste di gallo e una casa in rovina disegnata sulla sabbia e pezzi di carta profumati che furono lettere d’amore e la sfera di vetro in frantumi di una veggente e lillà marciti e teste mozzate su cuscini come anime impotenti tra gli asfodeli e tavole incrinate e scarpe vecchie e vestiti nel fango e gatti malati e occhi incastrati in una mano che scivola verso il silenzio e mani inanellate e schiuma nera che imbratta uno specchio che non riflette nulla e una bambina che asfissia nel sonno la sua colomba preferita e pepite d’oro nero sonanti come zingari a lutto che strimpellano violini sulle rive del mar Morto e un cuore che batte per ingannare e una rosa che si apre per tradire e un bambino che piange di fronte a un corvo che gracida, e l’ispiratrice si traveste per eseguire una melodia che nessuno capisce sotto una pioggia che calma il mio male. Nessuno ci sente, per questo emettiamo preghiere, ma guarda! lo zingaro piú giovane sta decapitando con i suoi occhi a sega la bambina della colomba.

III

Voci, sussurri, ombre, canti di affogati: non so se sono segni o una tortura. Qualcuno nel giardino rallenta il passo del tempo. E le creature dell’autunno abbandonate al silenzio.

Io ero predestinata a nominare le cose con nomi essenziali. lo non esisto piú e lo so; ciò che non so è che cosa vive al mio posto. Perdo la ragione se parlo, perdo gli anni se taccio. Un vento violento ha fatto piazza pulita. E non aver potuto parlare per tutti quelli che dimenticarono il canto.

IV

Un giorno, forse, troveremo rifugio nella realtà vera. Intanto, posso dire fino a che punto sono in disaccordo?

Ti parlo della solitudine mortale. È in collera il destino perché si avvicina, tra le sabbie e le pietre, il lupo grigio. E allora? Perché romperà tutte le porte, perché tirerà fuori i morti affinché divorino i vivi, affinché solo i morti esistano e i vivi spariscano. Non avere paura del lupo grigio. Io l’ho nominato per dimostrare che esiste e perché nel fatto di dimostrare c’è una voluttosità inaggettivabile.

Le parole avrebbero potuto salvarmi, ma sono troppo viva. No, non voglio cantare morte. La mia morte… il lupo grigio… l’assassina che proviene dalla lontananza… Non c’è un’anima viva in questa città? Perché voi siete tutti morti. E quale attesa può diventare speranza se siete tutti morti? E quando verrà ciò che attendiamo? Quando smetteremo di fuggire? Quando succederà tutto ciò? Quando? Dove? Come? Quanto? Perché? Per chi?

Alejandra Pizarnik

(Traduzione di Claudio Cinti)

da “L’inferno musicale” (1971), inAlejandra Pizarnik, La figlia dell’insonnia”, Crocetti Editore, 2004

∗∗∗

COLD IN HAND BLUES

y qué es lo que vas a decir
voy a decir solamente algo
y qué es lo que vas a hacer
voy a ocultarme en el lenguaje
y por qué
tengo miedo

OJOS PRIMITIVOS

En donde el miedo no cuenta cuentos y poemas, no forma figuras de terror y de gloria.
 
Vacío gris es mi nombre, mi pronombre.
 
Conozco la gama de los miedos y ese comenzar a cantar despacito en el desfiladero que reconduce hacia mi desconocida que soy, mi emigrante de sí.

Escribo contra el miedo. Contra el viento con garras que se aloja en mi respiración.

Y cuando por la mañana temes encontrarte muerta (y que no haya más imágenes): el silencio de la compresión, el silencio del mero estar, en esto se van los años, en esto se fue la bella alegría animal.

EL INFIERNO MUSICAL

Golpean con soles
 
Nada se acopla con nada aquí
 
Y de tanto animal muerto en el cementerio de huesos filosos de mi memoria

Y de tantas monjas como cuervos que se precipitan a hurgar entre mis piernas
 
La cantidad de fragmentos me desgarra
 
Impuro diálogo
 
Un proyectarse desesperado de la materia verbal
 
Liberada a sí misma
 
Naufragando en sí misma

EL DESEO DE LA PALABRA

La noche, de nuevo la noche, la magistral sapiencia de lo oscuro, el cálido roce de la muerte, un instante de éxtasis para mí, heredera de todo jardín prohibido.
 
Pasos y voces del lado sombrío del jardín. Risas en el interior de las paredes. No vayas a creer que están vivos. No vayas a creer que no están vivos. En cualquier momento la fisura en la pared y el súbito desbandarse de las niñas que fui.
 
Caen niñas de papel de variados colores. ¿Hablan los colores? ¿Hablan las imágenes de papel? Solamente hablan las doradas y de ésas no hay ninguna por aquí.

Voy entre muros que se acercan, que se juntan. Toda la noche hasta la aurora salmodiaba: Si no vino es porque no vino. Pregunto. ¿A quién? Dice que pregunta, quiere saber a quién pregunta. Tú ya no hablas con nadie. Extranjera a muerte está muriéndose. Otro es el lenguaje de los agonizantes.

He malgastado el don de transfigurar a los prohibidos (los siento respirar adentro de las paredes). Imposible narrar mi día, mi vía. Pero contempla absolutamente sola la desnudez de estos muros. Ninguna flor crece ni crecerá del milagro. A pan y agua toda la vida.

En la cima de la alegría he declarado acerca de una música jamás oída. ¿Y qué? Ojalá pudiera vivir solamente en éxtasis, haciendo el cuerpo del poema con mi cuerpo, rescatando cada frase con mis días y con mis semanas, infundiéndole al poema mi soplo a medida que cada letra de cada palabra haya sido sacrificada en las ceremonias del vivir.

LA PALABRA DEL DESEO

Esta espectral textura de la oscuridad, esta melodía en los huesos, este soplo de silencios diversos, este ir abajo por abajo, esta galería oscura, oscura, este hundirse sin hundirse.
 
¿Qué estoy diciendo? Está oscuro y quiero entrar. No sé qué más decir. (Yo no quiero decir, yo quiero entrar.) El dolor en los huesos, el lenguaje roto a paladas, poco a poco reconstituir el diagrama de la irrealidad.
 
Posesiones no tengo (esto es seguro; al fin algo seguro). Luego una melodía. Es una melodía plañidera, una luz lila, una inminencia sin destinatario. Veo la melodía. Presencia de una luz anaranjada. Sin tu mirada no voy a saber vivir, también esto es seguro. Te suscito, te resucito. Y me dijo que saliera al viento y fuera de casa en casa preguntando si estaba.

Paso desnuda con un cirio en la mano, castillo frío, jardín de las delicias. La soledad no es estar parada en el muelle, a la madrugada, mirando el agua con avidez. La soledad es no poder decirla por no poder circundarla por no poder darle un rostro por no poder hacerla sinónimo de un paisaje. La soledad sería esta melodía rota de mis frases.

NOMBRES Y FIGURAS

La hermosura de la infancia sombría, la tristeza imperdonable entre muñecas, estatuas, cosas mudas, favorables al doble monólogo entre yo y mi antro lujurioso, el tesoro de los piratas enterrado en mi primera persona del singular.

No se espera otra cosa que música y deja, deja que el sufrimiento que vibra en formas traidoras y demasiado bellas llegue al fondo de los fondos.

Hemos intentado hacernos perdonar lo que no hicimos, las ofensas fantásticas, las culpas fantasmas. Por bruma, por nadie, por sombras, hemos expiado.

Lo que quiero es honorar a la poseedora de mi sombra: la que sustrae de la nada nombres y figuras.

EN UN EJEMPLAR DE «LES CHANTS DE MALDOROR»

Debajo de mi vestido ardía un campo con flores alegres como los niños de la medianoche.

El soplo de la luz en mis huesos cuando escribo la palabra tierra. Palabra o presencia seguida por animales perfumados; triste como sí misma, hermosa como el suicidio; y que me sobrevuela como una dinastía de soles.

SIGNOS

Todo hace el amor con el silencio.

Me habían prometido un silencio como un fuego, una casa de silencio.

De pronto el templo es un circo y la luz un tambor.

FUGA EN LILA

Había que escribir sin para qué, sin para quién.

El cuerpo se acuerda de un amor como encender la lámpara.

Si silencio es tentación y promesa.

DEL OTRO LADO

Como un reloj de arena cae la música en la música.

Estoy triste en la noche de colmillos de lobo.

Cae la música en la música como mi voz en mis voces.

L’OBSCURITÉ DES EAUX

Escucho resonar el agua que cae en mi sueño. Las palabras caen como el agua yo caigo. Dibujo en mis ojos la forma de mis ojos, nado en mis aguas, me digo mis silencios. Toda la noche espero que mi lenguaje logre configurarme. Y pienso en el viento que viene a mí, permanece en mí. Toda la noche he caminado bajo la lluvia desconocida. A mí me han dado un silencio pleno de formas y visiones (dices). Y corres desolada como el único pájaro en el viento.

A PLENA PÉRDIDA

Los sortilegios emanan del nuevo centro de un poema a nadie dirigido. Hablo con la voz que está detrás de la voz y emito los mágicos sonidos de la endechadora. Una mirada azul aureolaba mi poema. Vida, mi vida, ¿qué has hecho de mi vida?

LOS POSEÍDOS ENTRE LILAS
I

–Se abrió la flor de la distancia. Quiero que mires por la ventana y me digas lo que veas, gestos inconclusos, objetos ilusorios, formas fracasadas… Como si te hubieses preparado desde la infancia, acércate a la ventana.

–Un café lleno de sillas vacías, iluminado hasta la exasperación, la noche en forma de ausencia, el cielo como de una materia deteriorada, gotas de agua en una ventana, pasa alguien que no vi nunca, que no veré jamás…

–¿Qué hice del don de la mirada?

–Una lámpara demasiado intensa, una puerta abierta, alguien fuma en la sombra, el tronco y el follaje de un árbol, un perro se arrastra, una pareja de enamorados se pasea despacio bajo la lluvia, un diario en una zanja, un niño silbando…
 
–Proseguí.

–(En tono vengativo). Una equilibrista enana se echa al hombro una bolsa de huesos y avanza por el alambre con los ojos cerrados.

¡No!

Está desnuda pero lleva sombrero, tiene pelos por todas partes y es de color gris de modo que con sus cabellos rojos parece la chimenea de la escenografía teatral de un teatro para locos. Un gnomo desdentado la persigue mascando las lentejuelas…

–Basta, por favor.

–(En tono fatigado). Una mujer grita, un niño llora. Siluetas espían desde sus madrigueras. Ha pasado un transeúnte. Se ha cerrado una puerta.

II

Si viera un perro muerto me moriría de orfandad pensando en las caricias que recibió. Los perros son como la muerte: quieren huesos. Los perros comen huesos. En cuanto a la muerte, sin duda se entretiene tallándolos en forma de lapiceras, de cucharitas, de cortapapeles, de tenedores, de ceniceros. Sí, la muerte talla huesos en tanto el silencio es de oro y la palabra de plata. Sí, lo malo de la vida es que no es lo que creemos pero tampoco lo contrario.

Restos. Para nosotros quedan los huesos de los animales y de los hombres. Donde una vez un muchacho y una chica hacían el amor, hay cenizas y manchas de sangre y pedacitos de uñas y rizos púbicos y una vela doblegada que usaron con fines oscuros y manchas de esperma sobre el lodo y cabezas de gallo y una casa derruida dibujada en la arena y trozos de papeles perfumados que fueron cartas de amor y la rota bola de vidrio de una vidente y lilas marchitas y cabezas cortadas sobre almohadas como almas impotentes entre los asfódelos y tablas resquebrajadas y zapatos viejos y vestidos en el fango y gatos enfermos y ojos incrustados en una mano que se desliza hacia el silencio y manos con sortijas y espuma negra que salpica a un espejo que nada refleja y una niña que durmiendo asfixia a su paloma preferida y pepitas de oro negro resonantes como gitanos de duelo tocando sus violines a orillas del mar Muerto y un corazón que late para engañar y una rosa que se abre para traicionar y un niño llorando frente a un cuervo que grazna, y la inspiradora se enmascara para ejecutar una melodía que nadie entiende bajo una lluvia que calma mi mal. Nadie nos oye, por eso emitimos ruegos, pero ¡mira! el gitano más joven está decapitando con sus ojos de serrucho a la niña de la paloma.

III

Voces, rumores, sombras, cantos de ahogados: no sé si son signos o una tortura. Alguien demora en el jardín el paso del tiempo. Y las criaturas del otoño abandonadas al silencio.

Yo estaba predestinada a nombrar las cosas con nombres esenciales. Yo ya no existo y lo sé; lo que no sé es qué vive en lugar mío. Pierdo la razón si hablo, pierdo los años si callo. Un viento violento arrasó con todo. Y no haber podido hablar por todos aquellos que olvidaron el canto.

IV

Alguna vez, tal vez, encontraremos refugio en la realidad verdadera. Entretanto ¿puedo decir hasta qué punto estoy en contra?

Te hablo de la soledad mortal. Hay cólera en el destino porque se acerca, entre las arenas y las piedras, el lobo gris. ¿Y entonces? Porque romperá todas las puertas, porque sacará afuera a los muertos para que devoren a los vivos, para que sólo haya muertos y los vivos desaparezcan. No tengas miedo del lobo gris. Yo lo nombré para comprobar que existe y porque hay una voluptuosidad inadjetivable en el hecho de comprobar.

Las palabras hubieran podido salvarme, pero estoy demasiado viviente. No, no quiero cantar muerte. Mi muerte… el lobo gris… la matadora que viene de la lejanía… ¿No hay un alma viva en esta ciudad? Porque ustedes están muertos. ¿Y qué espera puede convertirse en esperanza si están todos muertos? ¿Y cuándo vendrá lo que esperamos? ¿Cuándo dejaremos de huir? ¿Cuándo ocurrirá todo esto? ¿Cuándo? ¿Dónde? ¿Cómo? ¿Cuánto? ¿Por qué? ¿Para quién?

Alejandra Pizarnik

da “L’inferno musical” (1971), in “Alejandra Pizarnik, Poesía Completa”, Lumen Barcellona, 2001

Estrazione della Pietra della follia I – Alejandra Pizarnik

Lauren Semivan, The Plumb Line, 2014

 

CANTRICE NOTTURNA
Joe, pachi die Musik von damals nacbt…

         Colei che morì per il suo vestito blu sta cantando.
Canta impregnata di morte al sole della sua ebbrezza. Dentro la sua canzone vi è un vestito blu, vi è un cavallo bianco, vi è un cuore verde tatuato degli echi dei battiti del suo cuore morto. Esposta a ogni tipo di perdizione, canta insieme a una bambina smarrita che è lei: il suo amuleto della buona sorte. E nonostante la nebbia verde sulle labbra e il freddo grigio sugli occhi, la sua voce corrode la distanza che si apre tra la sete e la mano che cerca il bicchiere. Lei canta.

A Olga Orozco
VERTIGINI O CONTEMPLAZIONE DI QUALCOSA CHE FINISCE

Questo lillà perde le foglie.
Da sé stesso cade
e nasconde la sua ombra antica.
Devo morire di cose come questa.

LANTERNA SORDA

         Gli assenti soffiano e la notte è densa. La notte ha il colore delle palpebre del morto.
        Tutta la notte faccio la notte. Tutta la notte scrivo. Parola per parola io scrivo la notte.

PRIVILEGIO
I

Già perduto il nome che mi chiamava,
il suo volto gira per me
come il suono dell’acqua nella notte,
dell’acqua che cade nell’acqua.
Ed è il suo sorriso l’ultimo sopravvissuto,
non la mia memoria.

II

Il più bello
nella notte tra quelli che se ne vanno,
oh bramato,
non ha fine il tuo non fare ritorno,
ombra tu sino al giorno dei giorni.

CONTEMPLAZIONE

        Morirono le forme impaurite e non ci furono più un fuori e un dentro. Nessuno ascoltava il luogo che il luogo non esisteva.
Con l’intenzione di ascoltare stanno ascoltando il luogo. Dentro la tua maschera balena la notte. Ti trafiggono con gracchiate. Ti martellano con uccelli neri. Colori nemici si uniscono nella tragedia.

NUIT DU CŒUR

         Autunno sul blu di un muro: sii rifugio delle piccole morte.

        Ogni notte, nell’arco di un grido, giunge un’ombra nuova. In solitudine danza la misteriosa autonoma. Condivido la sua paura di giovanissimo animale la prima notte delle partite di caccia.

RACCONTO D’INVERNO

        La luce del vento tra i pini, comprendo questi segni di tristezza incandescente?

        Un impiccato dondola all’albero marcato con la croce lilla.

        Fin quando è riuscito a scivolare fuori dal mio sogno e a entrare nella mia stanza, dalla finestra, complice il vento della mezzanotte.

NELL’ALTRA ALBA

        Vedo crescere fino ai miei occhi figure di silenzio, disperate.
Ascolto grigie, dense voci nell’antico luogo del cuore.

SFONDAZIONE

        Qualcuno volle aprire qualche porta. Fanno male le sue mani afferrate alla sua prigione di ossa di cattivo augurio.
        Tutta la notte si è dibattuta con la sua nuova ombra. Piovve dentro l’alba e martellavano con prefiche.
        L’infanzia implora dalle mie notti di cripta.
        La musica emette colori ingenui.
        Grigi uccelli all’alba stanno alla finestra chiusa come ai miei mali la mia poesia.

FIGURE E SILENZI

Mani contratte mi confinano nell’esilio.
Aiutami a non chiedere aiuto.
Vogliono farmi notte, mi moriranno.
Aiutami a non chiedere aiuto.

FRAMMENTI PER DOMINARE IL SILENZIO
I

          Le forze del linguaggio sono le dame solitarie, desolate, che cantano per mezzo della mia voce che ascolto in lontananza. E lontano, sulla nera sabbia, giace una bambina densa di musica ancestrale. Dove la vera morte? Ho voluto illuminarmi alla luce della mancanza di luce. I rami muoiono nella memoria. Colei che giace si annida in me con la sua maschera di lupa. Colei che non ce la fece più a resistere e implorò le fiamme e ardemmo.

II

        Quando alla casa del linguaggio viene fatto esplodere il tetto e le parole non trovano riparo, io parlo.

      Le dame rossovestite si smarrirono dentro le loro maschere pure se torneranno per singhiozzare tra i fiori.

         Non è muta la morte. Ascolto il canto degli affranti che sigilla gli squarci del silenzio. Ascolto il tuo dolcissimo pianto che fa sbocciare il mio grigio silenzio.

III

          La morte ha restituito al silenzio il suo prestigio ammaliante.
E io non dirò la mia poesia e io devo dirla. Anche se la poesia (qui, ora) non ha senso, è priva di destino.

SORTILEGI

         E le dame vestite di rosso per il mio dolore e con il mio dolore impiegate nel mio soffio, rannicchiate come feti di scorpioni nella parte più interna della mia nuca, le madri rossovestite che mi aspirano il solo calore che mi procuro con il mio cuore che a stento poté mai battere, a me che dovetti sempre imparare da sola a bere e mangiare e respirare e a me cui nessuno insegnò a piangere e cui nessuno insegnerà neppure le grandi dame che aderiscono alla faldella del mio respiro con bave rossicce e veli fluttuanti di sangue, il mio sangue, il mio solo, quello che io mi procacciai e adesso vengono a me ad abbeverarsi dopo aver ucciso il re che galleggia nel fiume e muove gli occhi e sorride ma è morto e quando qualcuno è morto, è morto per quanto possa sorridere e le grandi, le tragiche dame rossovestite hanno ucciso colui che è portato via dal fiume e io rimango ostaggio in perpetuo possesso.

Alejandra Pizarnik

(Traduzione di Roberta Buffi)

da “Alejandra Pizarnik, Poesia completa”, LietoColle, 2018

∗∗∗

EXTRACCIÓN DE LA PIEDRA DE LOCURA I (1966)
CANTORA NOCTURNA
Joe, macht die Musik von damals nacht…

        La que murió de su vestido azul está cantando. Canta imbuida de muerte al sol de su ebriedad. Adentro de su canción hay un vestido azul, hay un caballo blanco, hay un corazón verde tatuado con los ecos de los latidos de su corazón muerto. Expuesta a todas las perdiciones, ella canta junto a una niña extraviada que es ella: su amuleto de la buena suerte. Y a pesar de la niebla verde en los labios y del frío gris en los ojos, su voz corroe la distancia que se abre entre la sed y la mano que busca el vaso. Ella canta.

A Olga Orozco
VÉRTIGOS O CONTEMPLACIÓN DE ALGO QUE TERMINA

Esta lila se deshoja.
Desde sí misma cae
y oculta su antigua sombra.
He de morir de cosas así.

LINTERNA SORDA

       Los ausentes soplan y la noche es densa. La noche tiene el color de los párpados del muerto.
        Toda la noche hago la noche. Toda la noche escribo. Palabra por palabra yo escribo la noche.

PRIVILEGIO
I

Ya perdido el nombre que me llamaba,
su rostro rueda por mí
como el sonido del agua en la noche,
del agua cayendo en el agua.
Y es su sonrisa la última sobreviviente,
no mi memoria.

II

El más hermoso
en la noche de los que se van,
oh deseado,
es sin fin tu no volver,
sombra tú hasta el día de los días.

CONTEMPLACIÓN

        Murieron las formas despavoridas y no hubo más un afuera y un adentro. Nadie estaba escuchando el lugar porque el lugar no existía.

Con el propósito de escuchar están escuchando el lugar. Adentro de tu máscara relampaguea la noche. Te atraviesan con graznidos. Te martillean con pájaros negros. Colores enemigos se unen en la tragedia.

NUIT DU CŒUR

            Otoño en el azul de un muro: sé amparo de las pequeñas muertas.

          Cada noche, en la duración de un grito, viene una sombra nueva. A solas danza la misteriosa autónoma. Comparto su miedo de animal muy joven en la primera noche de las cacerías.

CUENTO DE INVIERNO

         La luz del viento entre los pinos ¿comprendo estos signos de tristeza incandescente?

           Un ahorcado se balancea en el árbol marcado con la cruz lila.

          Hasta que logró deslizarse fuera de mi sueño y entrar a mi cuarto, por la ventana, en complicidad con el viento de la medianoche.

EN LA OTRA MADRUGADA

        Veo crecer hasta mis ojos figuras de silencio y desesperadas. Escucho grises, densas voces en el antiguo lugar del corazón.

DESFUNDACIÓN

         Alguien quiso abrir alguna puerta. Duelen sus manos aferradas a su prisión de huesos de mal agüero.
          Toda la noche ha forcejeado con su nueva sombra. Llovió adentro de la madrugada y martillaban con lloronas.
         La infancia implora desde mis noches de cripta.
         La música emite colores ingenuos.
        Grises pájaros en el amanecer son a la ventana cerrada lo que a mis males mi poema.

FIGURAS Y SILENCIOS

Manos crispadas me confinan al exilio.
Ayúdame a no pedir ayuda.
Me quieren anochecer, me van a morir.
Ayúdame a no pedir ayuda.

FRAGMENTOS PARA DOMINAR EL SILENCIO
I

        Las fuerzas del lenguaje son las damas solitarias, desoladas, que cantan a través de mi voz que escucho a lo lejos. Y lejos, en la negra arena, yace una niña densa de música ancestral. ¿Dónde la verdadera muerte? He querido iluminarme a la luz de mi falta de luz. Los ramos se mueren en la memoria. La yacente anida en mí con su máscara de loba. La que no pudo más e imploró llamas y ardimos.

II

        Cuando a la casa del lenguaje se le vuela el tejado y las palabras no guarecen, yo hablo.

       Las damas de rojo se extraviaron dentro de sus máscaras aunque regresarán para sollozar entre flores.

      No es muda la muerte. Escucho el canto de los enlutados sellar las hendiduras del silencio. Escucho tu dulcísimo llanto florecer mi silencio gris.

III

      La muerte ha restituido al silencio su prestigio hechizante. Y yo no diré mi poema y yo he de decirlo. Aun si el poema (aquí, ahora) no tiene sentido, no tiene destino.

SORTILEGIOS

        Y las damas vestidas de rojo para mi dolor y con mi dolor insumidas en mi soplo, agazapadas como fetos de escorpiones en el lado más interno de mi nuca, las madres de rojo que me aspiran el único calor que me doy con mi corazón que apenas pudo nunca latir, a mí que siempre tuve que aprender sola cómo se hace para beber y comer y respirar y a mí que nadie me enseñó a llorar y nadie me enseñará ni siquiera las grandes damas adheridas a la entretela de mi respiración con babas rojizas y velos flotantes de sangre, mi sangre, la mía sola, la que yo me procuré y ahora vienen a beber de mí luego de haber matado al rey que flota en el río y mueve los ojos y sonríe pero está muerto y cuando alguien está muerto, muerto está por más que sonría y las grandes, las trágicas damas de rojo han matado al que se va río abajo y yo me quedo como rehén en perpetua posesión.

Alejandra Pizarnik

da “Alejandra Pizarnik, Poesia completa”, Barcelona: Lumen, 2001 

 La danza immobile – Alejandra Pizarnik

Alejandra Pizarnik, foto di Sara Facio

 

Messaggeri nella notte hanno annunciato ciò che non udimmo.
Si è cercato sotto l’ululato della luce.
Si è voluto fermare l’avanzare delle mani inguantate
che strangolavano l’innocenza.

E se si sono nascoste nella casa del mio sangue,
per quale motivo non mi trascino fino all’amato
che muore dietro la mia tenerezza?
Perché non fuggo
e mi inseguo con coltelli
e mi deliro?

Di morte si è intessuto ogni istante.
Io divoro la furia come un angelo idiota
invaso da erbacce
che gli impediscono di ricordare il colore del cielo.

Però io e loro sappiamo
che il cielo ha il colore dell’infanzia morta.

Alejandra Pizarnik

(Traduzione di Roberta Buffi)

da “Alejandra Pizarnik, Poesia completa”, Lietocolle, 2018

∗∗∗

La danza immóvil

Mensajeros en la noche anunciaron lo que no oímos.
Se buscó debajo del aullido de la luz.
Se quiso detener el avance de las manos enguantadas
que estrangulaban a la inocencia.
 
Y si se escondieron en la casa de mi sangre,
¿cómo no me arrastro hasta el amado
que muere detrás de mi ternura?
¿Por qué no huyo
y me persigo con cuchillos
y me deliro?
 
De muerte se ha tejido cada instante.
Yo devoro la furia como un ángel idiota
invadido de malezas
que le impiden recordar el color del cielo.
 
Pero ellos y yo sabemos
que el cielo tiene el color de la infancia muerta.

Alejandra Pizarnik

da “Las aventuras perdidas” (1958), in “Alejandra Pizarnik, Poesía Completa”, Lumen Barcellona, 2001