La tua casa – Giuseppe Conte

Foto di Luigi H. Perfetti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma ora sei tornato: sei soltanto
te stesso. Sai che cosa ti attende
al di là della porta. È la tua casa.

Il lungo tavolo di cristallo e acciaio
di fronte alla finestra dove passano
albe onde foglie di palma

ti attende, l’immobilità, l’angolo
dove sono il telefono e il fax
i giornali uno sull’altro, la posta,

i plichi dei libri, gli assegni.
Accenderai la sera il televisore,
proverai le tue penne d’argento, d’oro

che usi ormai così poco.
Rivedrai i quadri con le rose, le colline
e le lune, la clessidra, il suo

vetro e il peltro e la sabbia che scorre.
Tutto è perfetto, protetto
dal vento e dalla polvere. Ma tu

non sei mai stato felice, ricordalo,
mai dentro te stesso e dentro i muri
di una casa.

Giuseppe Conte

da “Dialogo del poeta e del messaggero”, “Lo Specchio” Mondadori, 1992

«C’è una dolcezza giù nella vita» – Giuseppe Conte

Édouard Boubat, Paris, Pont Des Arts, 1990

IX

C’è una dolcezza giù nella vita
che non cambierei con niente

di ciò che appartiene al cielo.
È quando chissà da che, perché cominciano

fra due bocche estranee sino ad allora
i miracoli tiepidi d’aurora

dei baci.

Giuseppe Conte

da “Canti di Yusuf Abdel Nur”, in  “Canti d’Oriente e d’Occidente”, “Lo Specchio” Mondadori, 1997

Che cos’era il mare – Giuseppe Conte

Claude Monet, Fécamp, vue de Grainval, 1881, Normandie

 

Che cos’era il mare? Aveva
code d’acqua e zampe d’acqua tra le
rocce, levigava i ciottoli, faceva
sigle di luce sulla sabbia: era
profondo ma insensibile, si diceva, e
celibe, individuale, sterile.
In onde riottose o calme
maree saliva e discendeva, circondava
le terre, lui lunare, lui freddo, irriducibile
nel suo votarsi al movimento e all’aridità.
Le navi lo solcavano in lunghe scie.
Ora si è persa la memoria delle tempeste
e dei fari, dei velieri e dei transatlantici, dei
naufraghi, dei carichi di porpora e
di carbone, di Tiro, di Londra.
Era profondo ma insensibile, si diceva, dimora
delle conchiglie, delle famiglie dei
pesci, estinte, ora: aveva fondali viscidi, crateri e
alghe, e coralli.
Tagliava i promontori, reggeva le isole.
Giocava, lui muto, sprezzante, inservibile,
felice nei suoi movimenti
vitali.

Giuseppe Conte

da “L’Oceano e il ragazzo”, Rizzoli, Milano, 1983 

Il sogno del giorno dei trent’anni – Giuseppe Conte

Foto di Tina Fersino

 

Il sole distrugge e dona, il sole
sa perdersi, ama tutto, e senza
amore, senza pietà, senza sentire
nient’altro che il proprio spargersi:

il sole sa tornare, alza i primi
fischi tra gli alberi del parco, giungerà sulle finestre
chiuse con mani di rampicante. È incurante
e silenzioso, brutale, ma è prodigo anche,

delicato. Sgretola, disfiora, incendia, ma
sa disfarsi nel collo di una campanula. Distrugge e
dona, è leggero e immenso, sa tornare –

è celibe come il mare, individuale, sterile.

Io che ho trent’anni, che non posso più
crescere, che non so tornare, scelgo
parole per essere il dio del sole –

io fiore, io pietra, io luce, per donare

il dono leggero e immenso del

poema

Giuseppe Conte

da “L’Oceano e il ragazzo”, Rizzoli, Milano, 1983 

Il tuo miracolo, amore – Giuseppe Conte

Andrew Wyeth, Dogwood, 1981

 

Come si allungano le ore
di luce, come è ingordo Febbraio
di oro torbido e di vita
allo stato nascente
di rami germinanti dal niente
su cui si apriranno dei fiori
dicendoci che è possibile riavere
dal niente forme, profumi, colori.
È questo il tuo miracolo, Amore,
questa violenta volontà di essere
materia che si agita e si muove
e si piega e si mescola e confonde,
l’energia marina del vento,
l’energia aerea delle onde.
È questo il tuo miracolo, Amore,
lo spirito che entra nelle cose
che popola il vuoto di mimose
come fa sui viali liguri Febbraio.

Giuseppe Conte

9 febbraio 2000

da “Ferite e rifioriture”, “Lo Specchio” Mondadori, 2006