La lama del tempo – Marcello Comitini

Salvatore Fiume, Pomeriggio col toro, 1958

 

La casa di campagna dalle mille finestre spalancate
come occhi misteriosi sulla mia memoria
scintilla nell’alba d’una fredda
primavera tra le colline e il mare.
Le stanze vuote si riempiono nella notte
dei muggiti dei tori da macello che salgono dal buio
delle stalle come i lamenti di ciclopi ciechi.
Con i martelli sordi degli zoccoli
battono contro le mie tempie
calpestano il sonno che custodisce i volti amati
quelli misteriosi delle sconosciute che m’incrociano
giorno dopo giorno con i loro sguardi.
Lungo il cortile sfilano angosciati
raschiano il selciato con il ferro rugginoso
dei ricordi e nello sguardo che trema di paura
una lacrima brilla consapevole
che nulla di me e di loro andrà perduto.
Vedo con gli occhi misteriosi della casa
seppellire i morti nell’autunno e senza sosta
scendere la pioggia sulle ombre della mia memoria.
Dall’ultima aiuola al sole del cortile
colgo di soppiatto qualche fiore
lo depongo in silenzio sul selciato
fuggo come un colpevole dalla casa deserta.
Una macchia passa lontana dai miei occhi
come una nuvola senza carne né sangue
che disegna il pallore della mia fanciullezza.
Varco la soglia degli innumerevoli casali
comparsi nel tempo per tutta la campagna
come bocche colorate.
Nei bagliori della mia memoria ostile
ritrovo l’angolo assolato del cortile
non i fiori deposti sul selciato
né i visi seppelliti all’ombra della quercia
credendo di sottrarli alla lama del tempo.

Marcello Comitini

da “Quarto Giorno: poesie”, Edizioni Caffè Tergeste, 2018

AMAZON – Marcello Comitini, Quarto Giorno: poesie, Edizioni Caffè Tergeste, 2018
FELTRINELLI – Marcello Comitini, Quarto Giorno: poesie, Edizioni Caffè Tergeste, 2018

Il seme – Marcello Comitini

Caspar David Friedrich, Un uomo e una donna davanti alla luna, 1819, Dresda, Gemäldegalerie

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da quali nascosti
solchi della mente
saliranno le mie parole
se non ho avventure
da narrare
se ho vissuto solo
nel silenzio
se l’amore mi ha lasciato
tanto
ancora da sperare.

Parlerò alla luna
quando nella notte bagna
il tempo dei ricordi.
E nel tramonto al sole
quando brucia le speranze.

Conservo dentro il cuore
il profumo di tanti fiori.
e tra le labbra stringo
il gelo di tante nevi.

La mia anima è un seme
nella terra del mio corpo.

Marcello Comitini

da “L’altrove della luna”, Eretica Edizioni, 2023

ERETICA EDIZIONI       
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FELTRINELLI
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Presentazione
    L’uomo, accecato dai bagliori delle città, stordito dalla fretta di giungere a una meta, ammutolito dai rumori e dalla molteplicità delle luci, raramente guarda in se stesso. Città, rumori e luci sono strumenti e metafore del disperdere la capacità umana del riflettere.
Ma esistono momenti in cui volgere gli occhi verso il proprio intimo diventa un imperativo per poter riprendere il cammino, per dare un senso più profondo alle proprie esperienze.
Se la molle e inafferrabile consistenza del tempo e la tenera anima soffocata dalle amarezze, o implosa di gioia, lo sollecitano a distogliere lo sguardo e pensare, l’uomo incontrerà la natura e tutto ciò che lo sovrasta o lo circonda. Ogni elemento di questa realtà rappresenterà un richiamo alla propria ricchezza interiore, un simbolo di altre immagini che sente sepolte in sé. Uccelli in volo, fugaci aerei, foglie prede del vento autunnale, nuvole in corsa verso il nulla, montagne illuminate dal sole o dalla luna.
E se il sole abbaglia, la luna attrae l’uomo come un viandante che, perduto ogni orientamento, vede una luce brillare e a questa affida la speranza di chiarire la propria condizione.
Nonostante la missione Apollo 11 dell’ormai lontano 1969 abbia segnato uno storico spartiacque per la scienza e per il modo di percepire il nostro satellite, la luna continua a rappresentare desiderio, mistero, domanda, struggimento.
La luna così diventa confidente delle gioie, delle debolezze e dei desideri dell’uomo. Fa nascere un legame profondo tra lei e l’essere umano.
È sufficiente uno sguardo interiore per ritrovare tracce di luna nei propri pensieri.
La luna illumina, in particolare sul volto degli amanti, le linee del presente e del futuro sperato. E sul volto del solitario o della donna sola, quella cicatrice d’argento che sanguina. Essa diviene per costoro impalpabile e spesso effimero legame con l’amore. O assume il ruolo di compagna silenziosa per colui o colei che sente la solitudine dell’astro come propria.
Che sorga trionfante, o splenda matrona matura del cielo, o che si distingua appena nel formicolio delle stelle o che infine tramonti malinconica, la luna possiede il fascino particolare di attrarre a sé gli sguardi anche di coloro in cui l’amore è ormai un ricordo.
Da queste riflessioni nasce il titolo della raccolta e il suo filo conduttore. L’altrove della luna è proprio il luogo, o meglio i luoghi, in cui la luna appare, anche se lontana − ma mai estranea − dal momento evocatore.
La suddivisione delle poesie in tre sezioni si assimila al ciclo della luna. A poesie che hanno come tema centrale la luna seguono altre in cui la luna è simile a un tag (o parola chiave) che riporta il pensiero a quel suo potere affascinante.
Ogni poesia infatti è un invito a trovare in se stessi i luoghi in cui la luna appare. Amore, delusioni, rimpianti, solitudine sono questi i contenitori della luna, che sia piena o solo un accenno esile come una virgola.
Marcello Comitini

I capelli – Charles Baudelaire

Dipinto di Sergio Cerchi

 

XXIII.

Capelli riccioluti sino alla scollatura!
Boccoli profumati carichi d’indolenza!
Estasi! Per popolare quest’oscura alcova
dei ricordi che dormono nella tua capigliatura
la scuoterò nell’aria come un fazzoletto.

La rovente Africa e la languida Asia,
tutto un mondo lontano, assente, quasi estinto,
vive nel tuo profondo, foresta di aromi!
Alcune anime navigano immerse nella musica,
la mia anima, amore, nuota nel tuo profumo.

Andrò laggiù dove colmi di linfa,
albero e uomo godono al calore dei climi.
Siate, forti trecce, l’onda che mi trascina!
Possiedi, mare d’ebano, il sogno meraviglioso
di vele, di vogatori, di bandiere e di alberi.

Un porto risonante, dove la mia anima beve
a vaste ondate profumi e suoni e colori,
dove vascelli scivolano sull’oro e sulla seta
e aprono ampie braccia per accogliere la gloria
d’un cielo puro e fremente d’eterno calore.

Affonderò la testa avida d’ebbrezza
nel tuo nero oceano dove l’altro è racchiuso;
e il mio sottile spirito cullato dal rollio
saprà ritrovarvi, o feconda pigrizia,
dondolii infiniti di piaceri odorosi!

O capelli blu, drappo teso di tenebre,
siete l’azzurro di un cielo immenso e rotondo;
sui bordi vellutati delle ciocche ondulate
con furore m’inebrio ai profumi confusi
di catrame, di muschio e di olio di cocco.

A lungo la mia mano nei tuoi spessi capelli
seminerà per sempre rubini zaffiri e perle
affinché tu non sia sorda al mio desiderio!
Non sei forse l’oasi in cui sogno e l’anfora
da cui bevo a gran sorsi il vino del ricordo?

Charles Baudelaire

(Traduzione di Marcello Comitini)

da “Spleen e Ideale”, in “I fiori del male 1857-1861”, Edizioni Caffè Tergeste, Roma, 2017

I fiori del male 1857-1861, Edizioni Caffè Tergeste, Roma, 2017

***

XXIII. La chevelure

Ô toison, moutonnant jusque sur l’encolure!
Ô boucles! Ô parfum chargé de nonchaloir!
Extase! Pour peupler ce soir l’alcôve obscure
Des souvenirs dormant dans cette chevelure,
Je la veux agiter dans l’air comme un mouchoir!

La langoureuse Asie et la brûlante Afrique,
Tout un monde lointain, absent, presque défunt,
Vit dans tes profondeurs, forêt aromatique!
Comme d’autres esprits voguent sur la musique,
Le mien, ô mon amour! nage sur ton parfum.

J’irai là-bas où l’arbre et l’homme, pleins de sève,
Se pâment longuement sous l’ardeur des climats;
Fortes tresses, soyez la houle qui m’enlève!
Tu contiens, mer d’ébène, un éblouissant rêve
De voiles, de rameurs, de flammes et de mâts:

Un port retentissant où mon âme peut boire
A grands flots le parfum, le son et la couleur;
Où les vaisseaux, glissant dans l’or et dans la moire,
Ouvrent leurs vastes bras pour embrasser la gloire
D’un ciel pur où frémit l’éternelle chaleur.

Je plongerai ma tête amoureuse d’ivresse
Dans ce noir océan où l’autre est enfermé;
Et mon esprit subtil que le roulis caresse
Saura vous retrouver, ô féconde paresse,
Infinis bercements du loisir embaumé!

Cheveux bleus, pavillon de ténèbres tendues,
Vous me rendez l’azur du ciel immense et rond;
Sur les bords duvetés de vos mèches tordues
Je m’enivre ardemment des senteurs confondues
De l’huile de coco, du musc et du goudron.

Longtemps! toujours! ma main dans ta crinière lourde
Sèmera le rubis, la perle et le saphir,
Afin qu’à mon désir tu ne sois jamais sourde!
N’es-tu pas l’oasis où je rêve, et la gourde
Où je hume à longs traits le vin du souvenir?

Charles Baudelaire

da “Spleen et Idéal”, in “Les Fleurs du mal”, Paris, Auguste Poulet-Malassis et de Broise, 1861

Il fiume e il tempo – Marcello Comitini

DigitalArt di Marcello Comitini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricordo tutto della strada percorsa. Ma non ricordo come sia finito sulla sponda di questo fiume in un territorio assolutamente verde. Un verde che luccica di foglie e erbe, tanto fitte le une, tanto alte le altreinsieme a formare una stanza sconfinata con un grande balcone spalancato su un orizzonte verde che ondeggia al fiato dolce del vento.

Sto bene. Il mio abito è in perfetto ordine. Il viso sbarbato, i capelli lievemente arruffati come sempre. L’aria profuma di dolce umido muschio. Il fiume scorre lento, verde e silenzioso.  La luce èdiffusa in tutte le direzioni senza che se  ne veda la sorgente.

Non occorre che mi guardi ancora intorno. Ci siamo io e nessun altro. Tanto silenzio mi avvolge con un vago senso d’angoscia.

M’incammino senza sapere dove dirigermi. Seguo la sponda del fiume come fa il leopardo quando ha sete e cerca il punto più basso per bere. Mi guardo nello specchio sfuggente dell’acqua. Il mio abito scuro mi fa somigliare un  po’ al  leopardo.

Sono senza provviste e penso a quando avrò fame. Ho vissuto sempre in città e non sono assolutamente in grado di riconoscere che tipo di piante vivono nelle zone disabitate. Certo  mi dico –l e piante crescono anche nelle città. Viali alberati, ampi parchi e giardini, piccoli spazi verdi tra le case. Ma quella rara frutta che si vede sugli alberi non è commestibile.

Nei mercati o nelle campagne non volano i petali dei ciliegi o delle mele, tutto è regolato anche i profumi della merce sulle bancarelle e nelle cassette, i prodotti che i coltivatori mettono in mostra puoi solamente guardarli. Morderli, se li hai acquistati.

In città solo il vento si muove liberamente. Ma è un vento crudele. Urta i palazzi, ne assorbe gli umori, scende a raffiche sulle strade e i passanti abbassano la testa così per tanto tempo che dalla loro mente spariscono un qualsiasi cielo e anche le piante.

A primavera gli unici fiori sono le case, alcune memoria di antiche fioriture, altre sbocciano, giorno dopo giorno, dal cemento come le loro radici e strappano alla terra lo spazio per esistere. Non rimpiango quel modo di vivere né tutti i vantaggi che sento d’aver perduto. So che il momento che vivo è libertà. Anche dalle abitudini che pur sono un piacevole conforto.

Torno a specchiarmi nel fiume e mi assalgono lo stupore e l’orrore che potrei anch’io essere in fuga come lui.

Ma perché fuggire? La fuga non è che un modo per uscire da una situazione difficile, triste, dolorosa. Io nulla di tutto questo. Sono sposato, ho tre figli e un’amante francese. Insegno letteratura moderna all’Università di Bologna e a quella di Grenoble. Pubblico saggi letterari e scrivo poesie, che sono lette in moltissime nazioni perché tradotte in diverse lingue. Non ho più nulla da desiderare. Non mi manca nulla. Eppure il luogo in cui mi ritrovo è la dimostrazione che fuggo.

Il silenzio mi angoscia e mi spinge a interrogarmi ancora più a fondo se questa fuga non sia che il bisogno di desiderare novità inesplorate.

Come nel mito di Ulissese in mia moglie trovo Penelope e nell’amante la mia Calipso, nella mia mente cerco ogni giorno i mari da esplorare assieme a compagni-fantasma che mi permettono di lasciarmi incantare dalla melodia dell’effimeroquella a cui Ulisse è riuscito a sfuggire, quella che in fondo attraversa i miei versi.

Nei miti il mare e gli inferi sono oggetto di esplorazioneMa in questo luogo io sto vivendo il mito primordiale del  Paradiso, prima ancora che l’uomo fosse creato.

Nel Paradiso l’acqua dei fiumi scorreva come adesso?

Mi siedo ai piedi di un albero. Fra i rami rivedo la mela che Eva staccò dal ramo e quella che dicono cadde sulla fronte di Newton dando un nome al peso umano, al precipitare nel tempo.

Sulla sponda del fiume mi sembra di scorgere l’ombra di Eraclito che passeggia e scrive la sentenza che nessuno potrà cancellare. La ripeto mentalmente, nella lingua di Borges che definisce il filosofo l’artificio di un uomo grigio: Nadie baja dos veces a lasaguas del mismo río.

I fiumi e il tempo. Entrambi nomi immobili che portano in sé l’acqua e le ore, misure dell’esistere, del mutamento,  annuncio silenzioso della morte.

È qui, in questo virginale verde a fianco del fiume, contro lo scorrere dell’acqua e delle oreche voglio scrivere il mio ultimo verso, quello che contiene in sé tutte le lingue, e disperatamente trattenere l’eterno.

Marcello Comitini

Elevazione – Charles Baudelaire

Foto di Noel Oszaid

 

III.

Al di sopra di laghi e di montagne,
del mare, dei boschi e delle nuvole,
al di sopra del sole, oltre lo spazio,
al di là dei confini delle sfere celesti

navighi, mio spirito con agilità.
Nuotatore eccellente che gode dell’onda,
solchi allegramente l’immensità profonda
con un’indicibile e maschia voluttà.

Innàlzati ben lontano dai miasmi pestiferi
vai a purificarti nell’aria superiore,
e bevi, come liquore puro e divino,
il limpido fuoco degli spazi cristallini.

Abbandonando le noie e le profonde tristezze
che rendono pesante l’esistenza brumosa,
felice colui che può con ali vigorose
slanciarsi verso campi luminosi e sereni,

colui i cui pensieri, simili alle allodole,
liberi si slanciano verso i cieli al mattino,
– chi plana sulla vita e comprende senza sforzo
il linguaggio dei fiori e delle cose mute!

Charles Baudelaire

(Traduzione di Marcello Comitini)

da “Spleen e Ideale”, in “I fiori del male 1857-1861”, Edizioni Caffè Tergeste, Roma, 2017

I fiori del male 1857-1861, Edizioni Caffè Tergeste, Roma, 2017

***

III. Élévation

Au-dessus des étangs, au-dessus des vallées,
Des montagnes, des bois, des nuages, des mers,
Par-delà le soleil, par-delà les éthers,
Par-delà les confins des sphères étoilées,

Mon esprit, tu te meus avec agilité,
Et, comme un bon nageur qui se pâme dans l’onde,
Tu sillonnes gaiement l’immensité profonde
Avec une indicible et mâle volupté.

Envole-toi bien loin de ces miasmes morbides;
Va te purifier dans l’air supérieur,
Et bois, comme une pure et divine liqueur,
Le feu clair qui remplit les espaces limpides.

Derrière les ennuis et les vastes chagrins
Qui chargent de leur poids l’existence brumeuse,
Heureux celui qui peut d’une aile vigoureuse
S’élancer vers les champs lumineux et sereins;

Celui dont les pensers, comme des alouettes,
Vers les cieux le matin prennent un libre essor,
– Qui plane sur la vie, et comprend sans effort
Le langage des fleurs et des choses muettes!

Charles Baudelaire

da “Spleen et Idéal”, in “Les Fleurs du mal”, Paris, Auguste Poulet-Malassis et de Broise, 1861