«Mi spingo oltre il dolore» – Antonella Anedda

Foto di Katia Chausheva

 

Mi spingo oltre il dolore
dove nessuno sospetta che si soffra
in una zona di pelle mai colpita
cupa come l’avambraccio
o molata dall’osso come il gomito.
Striscio piano con l’anima coperta da scaglie rosso-grigie
per sostenere i rovi e lasciare a terra
il sangue minimo. Un passo − sono paziente −
e il corpo ha imparato a frusciare dentro l’erba.

Da molto lontano − da un’alba di ottobre
da un oggetto mosso nella sabbia del lago
viene ciò che la pena contempla: un paesaggio
dove non si può dormire.
Era una lunga immagine
il mormorio di un brivido.
Troppo tardi si compone l’astuzia di ogni sera
fingere che il mio braccio sia il tuo
che stringa la mia mano
di nuovo, senza pace.

Antonella Anedda

da “Notti di pace occidentale”, Donzelli Poesia, 1999

Per vivere ancora… – Antonella Anedda

Foto di Nastya Kaletkina

 

Per vivere ancora qui ho dovuto dimenticare.
Chinandomi sui licheni, avvicinando il viso
alle rocce fino a tagliarmi
mettendo le dita nere di spina nell’acqua.
Quando è iniziato il viaggio di ritorno?
In quale momento la stanchezza
mi ha spinto fino alla sedia contro il letto?

Il naufrago è stato abbandonato.
Il corpo per i corvi, il silenzio
per isola e marea.
Se perfino gli spettri hanno una forma
sono grumi nell’occhio della fuga.
Qui le correnti non portano ricordi.
Camicie, capelli, cenere dei nostri cibi
riposano vicino alle uova nella sabbia.
Tutto sarà ceduto perché molto amato.
Se c’è salvezza è nel fruscio di carta
che fa l’anima incerta
quando affiora e riaffiora.

Antonella Anedda

da “Dal balcone del corpo”, “Lo Specchio” Mondadori, 2007

settembre, notte – Antonella Anedda

Bill Brandt, Soho Bedroom, 1934

 

Ora solo il linguaggio può ridire quei gesti
scriverne piano ripetendo l’ardore con cautela
fissando perché restino ancora in questa stanza
le grandi ombre di allora.

Schianta ancora il tuo petto contro il mio
perché questa è l’unica orma dell’amore
l’autunno che replicava
stelle quasi da un mondo uguale
la finestra, la cornice di abete
l’addolorato trattenersi delle schiene.

Antonella Anedda

da “Notturni”, in “Antonella Anedda, Notti di pace occidentale”, Donzelli Poesia, 1999

Vedo dal buio… – Antonella Anedda

Foto di Katia Chausheva

I

Vedo dal buio
come dal più radioso dei balconi.
Il corpo è la scure: si abbatte sulla luce
scostandola in silenzio
fino al varco più nudo – al nero
di un tempo che compone
nello spazio battuto dai miei piedi
una terra lentissima
– promessa.

Antonella Anedda

da “Notti di pace occidentale”, Donzelli Poesia, 1999

«Se ho scritto è per pensiero» – Antonella Anedda

Antonella Anedda, foto di Dino Ignani

 

Se ho scritto è per pensiero
perché ero in pensiero per la vita
per gli esseri felici
stretti nell’ombra della sera
per la sera che di colpo crollava sulle nuche.

Scrivevo per la pietà del buio
per ogni creatura che indietreggia
con la schiena premuta a una ringhiera
per l’attesa marina – senza grido – infinita.

Scrivi, dico a me stessa
e scrivo io per avanzare più sola nell’enigma
perché gli occhi mi allarmano
e mio è il silenzio dei passi, mia la luce deserta
– da brughiera –
sulla terra del viale.

Scrivi perché nulla è difeso e la parola bosco
trema più fragile del bosco, senza rami né uccelli
perché solo il coraggio può scavare
in alto la pazienza
fino a togliere peso
al peso nero del prato.

Antonella Anedda

da “In una stessa terra”, in “Notti di pace occidentale”, Donzelli Poesia, 1999