Insieme – Paul Celan

 

Nel cielo dei garofani anche una bocca indugia a sorriderti.
Essa ancora conosce le vie a te,
la mezza foglia della tua notte,
l’ammutolita pianta dei nostri gridi.

Essa fa luce innanzi al buio e sulla porta dice le parole:

era pesante, il pesante;
un soffio era il vento che ti ha strappato via;
un cuore che batte ancora sotto la neve.

Le porte si aprono, se sentono che qui questo rimane vero:
il mio occhio col tuo vi va a stare,
come coppia piú oscura al seguito.
Piove come sempre, quando occhio a occhio si giunge
e alla coppia la piú oscura si appresta un sonno sprizzante
a sinistra di un garofano in volo.

Paul Celan

(1949 circa)

(Traduzione di Michele Ranchetti e Jutta Leskien)

da “Conseguito silenzio”, Einaudi, Torino, 1998

∗∗∗

Beisammen

Im Himmel der Nelken weilt auch ein Mund, dir zu lächeln.
Der kennt noch die Wege zu dir,
das halbe Blatt deiner Nacht,
das verstummte Gewächs unsrer Schreie.

Er leuchtet dem Dunkel voraus und spricht an den Toren die Worte:

Das Schwere war schwer;
ein Hauch war der Wind, der dich fortriß;
ein Herz, was noch schlägt unterm Schnee.

Die Tore gehn auf, wenn sie hören, daß solches hier wahr bleibt:
mein Aug zieht mit deinem dort ein
als dunkelstes Paar im Gefolge.
Es regnet wie immer, wenn Aug sich zu Aug fügt,
und dem dunkelsten Paar wird bereitet ein sprühender Schlaf
einer schwebenden Nelke zur Linken.

Paul Celan

da “Die Gedichte aus dem Nachlaß”, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1997

Un tempo gli alberi avevano occhi – Ana Blandiana

Foto di Anka Zhuravleva

 

Un tempo gli alberi avevano occhi,
posso giurarlo,
so di certo
che vedevo quando ero albero,
ricordo che mi stupivano
le strane ali degli uccelli
che mi sfrecciavano davanti,
ma se gli uccelli sospettassero
i miei occhi,
questo non lo ricordo più.
Invano ora cerco gli occhi degli alberi.
Forse non li vedo
perché albero non sono più,
o forse sono scivolati lungo le radici
nella terra,
o forse,
chissà,
solo a me m’era parso
e gli alberi sono ciechi da sempre…
Ma allora perché
quando mi avvicino
sento che
mi seguono con gli sguardi,
in un modo che conosco,
perché, quando stormiscono e occhieggiano
con le loro mille palpebre,
ho voglia di gridare −­
Cosa avete visto?…

Ana Blandiana

(Traduzione di Biancamaria Frabotta e Bruno Mazzoni)

da “Ottobre, Novembre, Dicembre”, in “Un tempo gli alberi avevano occhi”, Donzelli Poesia, 2004

***

Cândva arborii aveau ochi

Cândva arborii aveau ochi,
Pot să jur,
Ştiu sigur
Că vedeam când eram arbore,
Îmi amintesc că mă mirau
Ciudatele aripi ale păsărilor
Care-mi treceau pe dinainte,
Dar dacă păsările bănuiau
Ochii mei,
Asta nu îmi mai aduc aminte.
Caut zadarnic ochii arborilor acum.
Poate nu-i văd
Pentru că arbore nu mai sunt,
Sau poate-au coborât pe rădăcini
În pământ,
Sau poate,
Cine ştie,
Mi s-a părut numai mie
Şi arborii sunt orbi dintru-nceput…
Dar atunci de ce
Când trec de ci aproape
Simt cum
Mă urmăresc cu privirile,
Într-un fel cunoscut,
De ce, când foşnesc şi clipesc
Din miile lor de pleoape,
Îmi vine să strig –
Ce-aţi văzut?…

Ana Blandiana

da “Octombrie-Noiembrie-Decembrie”, Cartea Româneascà, 1972

Il confine – Ana Blandiana

Foto di Frank Paulin

 

Cerco il principio del male
come da bambina cercavo i margini della pioggia.
Con tutte le forze correvo per trovare
il luogo dove
sedermi a terra e contemplare
da una parte pioggia, da una parte niente pioggia.
Ma sempre la pioggia smetteva prima
che ne scoprissi i confini
e ricominciava prima
di capire fin dove è sereno.
Invano sono cresciuta.
Con tutte le forze
corro ancora per trovare il luogo
dove sedermi a terra e contemplare
la linea che separa il male dal bene.
Ma sempre il male smette prima
che ne scopra il confine
e ricomincia prima
di capire fin dove è bene.
Io cerco il principio del male
su questa terra
volta per volta
grigia e assolata.

Ana Blandiana

(Traduzione di Biancamaria Fabrotta e Bruno Mazzoni)

da “Il terzo sacramento”, 1969, in “Ana Blandiana, Un tempo gli alberi avevano occhi”, Donzelli Poesia, 2004

 ∗∗∗

Hotarul

Caut începutul răului
Cum căutam în copilărie marginile ploii.
Alergam din toate puterile să găsesc
Locul în care
Să mă aşez pe pământ să contemplu
De-o parte ploaia, de-o parte neploaia.
Dar întotdeauna ploaia-nceta înainte
De a-i descoperi hotarele
Şi reîncepea înainte
De-a şti până unde-i seninul.
Degeaba am crescut.
Din toate puterile
Alerg şi acum să găsesc locul unde
Să mă aşez pe pământ să contemplu
Linia care desparte răul de bine.
Dar întotdeauna răul încetează-nainte
De a-i descoperi hotarul
Şi reîncepe-nainte
De-a şti până unde e binele.
Eu caut începutul răului
Pe acest pământ înnorat şi-nsorit
Rând pe rând.

Ana Blandiana

da “A treia taină”, București, Editura Tineretului, 1969

Conta le mandorle – Paul Celan

 

CONTA le mandorle,
conta ciò che era amaro e ti fece vegliare,
conta insieme anche me:

Io cercavo il tuo occhio, allorché tu lo sbarrasti e nessuno ti vide,
io intrecciavo quel filo segreto e su di esso
la rugiada da te pensata
scorse giù alle urne di che è custode un detto
che al cuore di nessuno trovò un varco.

Lì soltanto entrasti tutta nel nome che è tuo,
lì accedesti a te con passo sicuro,
le campane liberate pulsarono nella cella del tuo silenzio,
ciò cui avevi teso l’udito ti fu appresso,
ciò che era morto cinse anche te col suo braccio,
e voi andaste, attraversando, voi tre, la sera.

Fammi amaro.
Conta con le mandorle anche me.

Paul Celan

(Traduzione di Giuseppe Bevilacqua)

da “Papavero e memoria”, in “Paul Celan, Poesie”, “I Meridiani” Mondadori, 1998

In Zähle die Mandeln, la poesia che chiude Mohn und Gedächtnis,  la madre di Celan è solennemente evocata nel momento della sua morte ignota. Il poeta ha cercato, nell’immaginazione, l’estremo sguardo rimasto senza riscontro nell’anonima solitudine e nell’abbandono della deportazione. Solo assurgendo a esponente di infinite altre morti consimili, di tante “urne”, la persona evocata trova una sua identità e una funzione: ed è proprio in quanto tale che il poeta la prega di annoverare anche lui tra le vittime che essa rappresenta.
“Mandorla”, altrove più esplicitamente “occhio a mandorla” (Mandelaug), è evidente sineddoche per “ebreo”. (Giuseppe Bevilacqua)
∗∗∗

Zähle die Mandeln

ZÄHLE die Mandeln,
zähle, was bitter war und dich wachhielt,
zähl mich dazu:

Ich suchte dein Aug, als du’s aufschlugst und niemand dich ansah,
ich spann jenen heimlichen Faden,
an dem der Tau, den du dachtest,
hinunterglitt zu den Krügen,
die ein Spruch, der zu niemandes Herz fand, behütet.

Dort erst tratest du ganz in den Namen, der dein ist, 
schrittest du sicheren Fußes zu dir,
schwangen die Hämmer frei im Glockenstuhl deines Schweigen,
stieß das Erlauschte zu dir,
legte das Tote den Arm auch um dich,
und ihr ginget selbdritt durch den Abend.

Mache mich bitter.
Zähle mich zu den Mandeln.

Paul Celan

da “Mohn und Gedächtnis”, Deutsche Verlags-Anstalt GmbH, Stuttgart, 1952

Fruscio d’ali – Paul Celan

Pierre Jahan, Envol Colombe, 1948

 

Ma la colomba indugia ad Avalon.
Cosí sui tuoi fianchi deve annottare un uccello
che per metà è cuore e per metà corazza.
Non gli cale il tuo occhio bagnato.
Invero sa il dolore e lo coglie alle ginestre,
eppure la sua ala non è qui, invisibilmente issata.

Ma la colomba indugia ad Avalon.

Il ramo d’olivo fu rapito da becchi d’aquila
e sfogliato dove si azzurra il tuo giaciglio nella tenda nera.
Ma in cerchio adunai un esercito con scarpe di velluto
e lo feci sciabolare muto per la corona del cielo.
Finché assopendo ti sei piegata sulla pozza di sangue.

Cioè: mentre si battevano accaniti, alzai
l’orcio sopra loro, lasciai cadere tutte le rose
e, allorché alcuni le intrecciarono ai capelli,
chiamai l’uccello a fare opera di consolazione.
Ti dipinge nell’occhio le unghie d’ombra.

Ma vedo giungere la colomba, bianca, da Avalon.

Paul Celan

(Traduzione di Dario Borso)

da “La sabbia delle urne”, Einaudi, Torino, 2016

Flügelrauschen [Fruscio d’ali]    Composta a Czernowitz nel settembre 1944, inserita poi in Celan, Gedichte. Eine Auswahl, Fischer Verlag, Frankfurt am Main 1965. Celan la collegava a Matière de Bretagne in Sprachgitter [Grata di parole, 1959].
v. 1 Avalon. Isola delle fate, sede dei morti nel ciclo di Re Artú.
v. 2 Cfr. Genesi, 32, 25.
v. 4 bagnato. Variante: «feuchtes [umido]».
v. 8 Per il ramo d’olivo cfr. Genesi, 8, 10; per i becchi d’aquila cfr. il Prometeo incatenato di Eschilo e il v. 9 di Um dein Gesicht [Attorno al viso tuo] in Eingedunkelt: «Die Geierschnäbel brechen [I becchi di rapace strappano]».
v. 9 Cfr. Esodo, 26, 14.   (Dario Borso)

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Flügelrauschen

Die Taube aber säumt in Avalun.
So muß ein Vogel über deine Hüften finstern,
der halb ein Herz und halb ein Harnisch ist.
Ihm ist es um dein nasses Auge nicht zu tun.
Zwar kennt er Schmerz und holt ihn bei den Ginstern,
doch seine Schwinge ist nicht hier und unsichtbar gehißt.

Die Taube aber säumt in Avalun.

Der Ölzweig ward geraubt von Adlerschnäbeln
und wo dein Lager blaut im schwarzen Zelt zerpflückt.
Rings aber bot ich auf ein Heer auf Sammetschuhn
und laß es schweigsam um den Kranz des Himmels säbeln.
Bis du dich schlummernd nach der Lache Bluts gebückt.

Das ist: ich hob, als sie gewaltig fochten,
den Scherben über sie, ließ alle Rosen fallen
und rief, als mancher sie ins Haar geflochten,
den Vogel an, ein Werk des Trosts zu tun.
Er malt dir in das Aug die Schattenkrallen.

Ich aber seh die Taube kommen, weiß, aus Avalun.

Paul Celan

da “Der Sand aus den Urnen”, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 2003