«O azzurro della terra» – Paul Celan

Foto di Katia Chausheva

 

O azzurro della terra, o azzurro che tu m’hai recitato!
Io rivesto il mio cuore di specchi. Un popolo di carte stagnole
sta al servizio delle tue labbra: tu parli, tu guardi, tu regni.
Il tuo impero sta aperto, illuminato di te.

Se però si fa scuro in te, se cede l’azzurra
sorella terra dal centro delle tue parole,
metti il battente alla porta dell’immenso:
voglio nascondere i frantumi alla parete del cuore –
Rimane in questa camera il tuo andare un venire.

Paul Celan

(1950 circa)

(Traduzione di Michele Ranchetti e Jutta Leskin)

da “Conseguito silenzio”, Einaudi, Torino, 1998

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«O Blau der Welt»

O Blau der Welt, o Blau, das du mir vorsprachst!
Ich leg mein Herz mit Spiegeln aus. Ein Volk von Folien
steht deinen Lippen zu Gebot: du sprichst, du schaust, du herrschest.
Dein Reich liegt offen, überglänzt von dir.

Doch dunkelts dir, doch weicht die blaue,
die Schwester Welt aus deiner Worte Mitte,
so leg den Riegel vor das Tor der Weite:
verhülln will ich die Scherben an der Herzwand –
In dieser Kammer bleibt dein Gehn ein Kommen.

Paul Celan

da “Die Gedichte aus dem Nachlaß”, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1997

Poema – Nichita Stănescu

 

Dimmi, se un giorno ti prendessi
e ti baciassi la pianta del piede,
non è vero che dopo zoppicheresti un po’,
per paura di schiacciare il mio bacio?…

Nichita Stănescu

(Traduzione di Fulvio del Fabbro e Alessia Tondini)

da “Una visione di sentimenti”, 1964, in “La guerra delle parole”, Le Lettere, Firenze, 1999

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Poem

Spune-mi, dacă te-aş prinde-ntr-o zi
şi ţi-aş săruta talpa piciorului,
nu-i aşa că ai şchiopăta puţin, după aceea,
de teamă să nu-mi striveşti sărutul?…

Nichita Stănescu

da “O viziune a sentimentelor”, Editura pentru Literatură, 1964

Mandorla – Paul Celan

 

Nella mandorla – cosa c’è nella mandorla?
Il Nulla.
C’è il Nulla nella mandorla.
Lì sta e ristà.

Nel Nulla – chi vi sta? Il Re.
Lì sta il Re, il Re.
Lì sta e ristà.

                  Ricciolo ebreo, tu grigio non diventi.

E il tuo occhio – dove sta il tuo occhio?
Il tuo occhio sta incontro alla mandorla.
Il tuo occhio, al Nulla sta incontro.
Sta per il Re.
Così sta e ristà.

                  Ricciolo d’uomo, tu grigio non diventi.
                  Vuota mandorla, blu regale.

Paul Celan

(Traduzione di Giuseppe Bevilacqua)

da “La rosa di nessuno”, in “Paul Celan, Poesie”, “I Meridiani” Mondadori, 1998

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Mandorla

In der Mandel – was steht in der Mandel?
Das Nichts.
Es steht das Nichts in der Mandel.
Da steht es und steht.

Im Nichts – wer steht da? Der König.
Da steht der König, der König.
Da steht er und steht.

               Judenlocke, wirst nicht grau.

Und dein Aug – wohin steht dein Auge?
Dein Aug steht der Mandel entgegen.
Dein Aug, dem Nichts stehts entgegen.
Es steht zum König.
So steht es und steht.

                Menschenlocke, wirst nicht grau.
                Leere Mandel, königsblau.

Paul Celan

da “Die Niemandsrose”, S. Fischer Verlag, 1963

Corona – Paul Celan

 

L’autunno mi bruca dalla mano la sua foglia: siamo amici.
Noi sgusciamo il tempo dalle noci e gli apprendiamo a camminare:
lui ritorna nel guscio.

Nello specchio è domenica,
nel sogno si dorme,
la bocca fa profezia.

Il mio occhio scende al sesso dell’amata:
noi ci guardiamo,
noi ci diciamo cose oscure,
noi ci amiamo come papavero e memoria,
noi dormiamo come vino nelle conchiglie,
come il mare nel raggio sanguigno della luna.

Noi stiamo allacciati alla finestra, dalla strada ci guardano:
è tempo che si sappia!
È tempo che la pietra accetti di fiorire,
che l’affanno abbia un cuore che batte.
È tempo che sia tempo.

È tempo.

Paul Celan

1948

(Traduzione di Giuseppe Bevilacqua)

da “Paul Celan, Poesie”, “I Meridiani” Mondadori, 1998

È da questa poesia che Celan desume il binomio Mohn und Gedächtnis. Corona è una lirica d’amore, scritta nel 1948, probabilmente già a Parigi, che si differenzia da quelle scritte precedentemente, a Bucarest: ora infatti la relazione amorosa sembra volersi proclamare ufficialmente. Gli amanti si fanno alla finestra, si mostrano: perché «è tempo che si sappia». Con apparente paradosso essi si amano come Mohn und Gedächtnis, ossia come possono amarsi due contrari: l’oblio e la memoria. L’amore si perfeziona e si esalta nella difficile conciliazione degli opposti. Assumendolo come titolo dell’intera raccolta, Celan ne ha esteso enormemente l’alone simbolico. Dobbiamo supporre che con esso il poeta abbia voluto indicare l’opposizione in cui si trovava a vivere e sentire in quei primi anni del dopoguerra; e la speranza di poterla conciliare nel cerchio magico di una relazione, che a differenza di quelle attestate in quasi tutte le restanti poesie amorose della raccolta, in Corona si presenta tanto poco occasionale e precaria da voler essere riconosciuta ufficialmente e quindi farsi supporto di una condizione duratura. L’opposizione, quasi non occorre precisarlo, è quella tra l’inevitabile e del resto voluto ricordo delle tragiche esperienze attraversate in patria e la legittima aspirazione a non farsene sopraffare, a lasciarsi aperta la strada per una nuova esistenza.
Nel contesto di Corona il termine Mohn indica bensì, nella sua prima accezione, il rosso fiore di campo, ma l’accoppiamento con Gedächtnis lo carica in modo evidente del significato traslato, che del resto è anche letterariamente attestato («Oh Mohn der Dichtung…», invoca il poeta Ludwig Uhland) come oblio, dolce rimedio alla pressione dei ricordi o di una realtà opprimente. Ed esplicitamente il Mohn des Vergessens (alla lettera: “papavero del dimenticare”) è nominato in Die Ewigkeit. Traducendo con papavero si rimane fedeli alla lettera, ma si perde il traslato; inoltre la forma italiana ha una connotazione vistosa, popolaresca, si tratta insomma dell’allegro rosolaccio che ravviva i prati e i campi estivi. Siamo, in tutti i sensi, molto lontani dal tedesco Mohn, che non a caso conosce anche la forma Klatschmohn, per indicare specificamente il fiore in quello che ha di più sgargiante (Klatsch). (Giuseppe Bevilacqua)

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Corona

Aus der Hand frißt der Herbst mir sein Blatt: wir sind Freunde.
Wir schälen die Zeit aus den Nüssen und lehren sie gehn:
die Zeit kehrt zurück in die Schale.

Im Spiegel ist Sonntag,
im Traum wird geschlafen,
der Mund redet wahr.

Mein Aug steigt hinab zum Geschlecht der Geliebten:
wir sehen uns an,
wir sagen uns Dunkles,
wir lieben einander wie Mohn und Gedächtnis,
wir schlafen wie Wein in den Muscheln,
wie das Meer im Blutstrahl des Mondes.

Wir stehen umschlungen im Fenster, sie sehen uns zu von der Straße:
es ist Zeit, daß man weiß!
Es ist Zeit, daß der Stein sich zu blühen bequemt,
daß der Unrast ein Herz schlägt.
Es ist Zeit, daß es Zeit wird.

Es ist Zeit.

Paul Celan

da “Mohn und Gedächtnis”, Deutsche Verlags–Anstalt GmbH, Stuttgart, 1952

In-cantonante – Paul Celan

 

IN-CANTONANTE: Rembrandt, a tu per tu
con la luce arrotante,
deriflessa dalla stella
come ricciolo di barba,
sulla tempia,

linee come d’una mano traversano
la fronte, fra desertici detriti, sulle
rupi del tavolo
ti manda un bagliore attorno
all’angolo destro della bocca il
sedicesimo salmo.

Paul Celan

(Traduzione di Giuseppe Bevilacqua)

da “Parte di neve IV”, in “Paul Celan, Poesie”, “I Meridiani” Mondadori, 1998

Il lemma che funge da titolo è quasi sicuramente un neologismo, di senso alquanto astruso; per conseguenza la traduzione è semplicemente un calco. Il sedicesimo salmo, attribuito a Davide, esprime la speranza che il Signore non abbandoni l’anima del suo fedele alla totale distruzione (Sheol), e non ne permetta la putrefazione. Celan, solo un paio di settimane prima del suicidio, avrebbe dichiarato che in quel momento Einkanter era la poesia cui si sentiva più vicino (cfr. Weber 1970, p. 202). Forse anche per avere avuto presenti i fondamentali e ben noti studi su Rembrandt di Georg Simmel, si può supporre che Celan nella tarda ritrattistica del grande artista abbia letto la consapevolezza di un incombente destino di morte, unita però – quanto meno all’angolo destro della bocca – a un raggio di speranza quale è proclamata dal salmista, un’attesa di perennità oltre la distruzione fisica. Non poche poesie dell’ultimo Celan possono essere lette come autoritratti, scandagli in profondità; e non è da escludere che con Einkanter il poeta abbia anche inteso sovrapporre la propria immagine a quella dell’artista. La vasta ricerca di Reuß 1989 (50 pagine e quasi 200 note) nonostante l’impegno e l’utile messa a punto di vari dettagli non approda a perspicui risultati interpretativi. (Giuseppe Bevilacqua)

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Einkanter

EINKANTER: Rembrandt,
auf du und du mit dem Lichtschliff,
abgesonnen dem Stern
als Bartlocke, schläfig,

Handlinien queren die Stirn,
im Wüstengeschiebe, auf
den Tischfelsen
schimmert dir um den
rechten Mundwinkel der
sechzehnte Psalm.

Paul Celan

da “Schneepart”, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1971