Cose nascoste – Costantino Kavafis

Konstantinos Kavafis, 1900

 

Dalle cose che feci o dissi
non cerchino d’indovinare chi fui.
C’era un impedimento a trasformare
il mio modo di vivere e di agire.
C’era un impedimento, e mi fermava
molte volte che stavo per parlare.
Dalle mie azioni meno appariscenti
e dai miei scritti più velati –
da questo solo mi conosceranno.
Anche se forse non varrà la pena
che faccian tanti sforzi per capirmi.
Più avanti – in una società perfetta –
apparirà di certo qualcun altro
che mi somigli e agisca da uomo libero.

Costantino Kavafis

(Traduzione di Nicola Crocetti)

da “Costantino Kavafis, Poesie scelte”, Crocetti Editore, 2020

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Segreti

Da quanto ho fatto e da quanto ho detto
non cerchino di capire chi ero.
Erano un ostacolo e modificavano
il mio modo di agire e di vivere.
Erano un ostacolo che spesso mi bloccava
quando stavo per parlare.
Dalle mie azioni meno evidenti
e dai miei scritti più segreti –
da questi soltanto riusciranno a capirmi.
Ma forse tanti sforzi e tante cure
per conoscermi non valgono la pena.
In futuro – in una società migliore –
qualcun altro fatto come me
certo ci sarà e agirà liberamente.

Konstandinos P. Kavafis

(Traduzione di Paola Maria Minucci)

da “Konstandinos P. Kavafis, Tutte le poesie” a cura di Paola Maria Minucci, Donzelli Editore, 2019

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Κρυμμένα

Ἀπ’ ὅσα ἔϰαμα ϰι ἀπ’ ὅσα εἶπα
νά μή ζητήσουνε νά βροῦν ποιός ἤμουν.
Ἐμπόδιο στέϰονταν ϰαί μεταμόρφωνε
τές πράξεις ϰαί τόν τρόπο τῆς ζωῆς μου.
Ἐμπόδιο στέϰονταν ϰαί σταματοῦσε με
πολλές φορές πού πήγαινα νά πῶ.
Οἱ πιό ἀπαρατήρητές μου πράξεις
ϰαί τά γραψίματά μου τά πιό σϰεπασμένα —
ἀπό ἐϰεῖ μονάχα θά μέ νιώσουν.
Ἀλλά ἴσως δέν ἀξίζει νά ϰαταβληθεῖ
τόση φροντίς ϰαί τόσος ϰόπος νά μέ μάθουν.
Κατόπι — στήν τελειοτέρα ϰοινωνία —
ϰανένας ἄλλος ϰαμωμένος σάν ἐμένα
βέβαια θά φανεῖ ϰ’ ἐλεύθερα θά ϰάμει.

Κωνσταντίνος Καβάφης

[1908]

da “Κρυμμένα ποιήματα 1877?-1923”, [Poesie segrete 1877?-1923], a cura di I. P. Savvidis, Ikaros, Atene, 1993

Fauna e flora del fiume – Julio Cortázar

 

Questo fiume nasce dal cielo e si dispone a durare,
tira le lenzuola fino al collo, e dorme
davanti a noi che andiamo e veniamo.
Il Río de la Plata è questo che di giorno
ci inzuppa di vento e gelatina, ed è
la rinuncia del levante, perché il mondo
finisce con i lampioni del lungomare.

Non discutere oltre, leggi queste cose
possibilmente al bar, cielo di monete,
rifugiato dal fuori, dall’altro giorno feriale,
circondato dai sogni, dalla bava del fiume.
Non rimane quasi nulla; sì, l’amore che si vergogna
ed entra nelle buche delle lettere per piangere, o che va

solo da un angolo all’altro (ma lo vedono lo stesso),
conservando i suoi oggetti dolci, le sue foto e catenelle
e fazzolettini,
conservandoli nella regione della vergogna,
la zona della tasca in cui una piccola notte mormora
fra peluzzi e monete.

Per alcuni è tutto uguale, ma io
non amo il Racing, non mi piace
l’aspirina, risento
del giro dei giorni, mi disfo in attese,
a volte impreco, e mi dicono
che ti succede amico mio,
è il vento del nord, cazzo.

Julio Cortázar

(Traduzione di Eleonora Mogavero)

da “Il giro del giorno in ottanta mondi”, Alet, 2006

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Fauna y flora del río

Este río sale del cielo y se acomoda para durar,
estira las sábanas hasta el pescuezo y duerme
delante de nosotros que vamos y venimos.
El río de la plata es esto que de día
nos empapa de viento gelatina, y es
la renuncia al levante, porque el mundo
acaba con los farolitos de la costanera.
 
Más acá no discutas, lee estas cosas
preferentemente en el café, cielito de barajas,
refugiado del fuera, del otro día hábil,
rondado por los sueños, por la baba del río.
Casi no queda nada; sí, el amor vergonzoso
entrando en los buzones para llorar, o andando
solo por las esquinas (pero lo ven igual),
guardando sus objetos dulces, sus fotos y leontinas
y pañuelitos
guardándolos en la región de la vergüenza,
la zona de bolsillo donde una pequeña noche murmura
entre pelusas y monedas. 
 
Para algunos todo es igual, mas yo
no quiero a Racing, no me gusta
la aspirina, resiento
la vuelta de los días, me deshago en esperas,
puteo algunas veces, y me dicen
qué le pasa, amigo,
viento norte, carajo.

Julio Cortázar

da “La vuelta al día en ochenta mundos”, Siglo Veintiuno, 2005

Oltre il dopo XI -Eugenio De Signoribus

Foto di Édouard Boubat

 

 

 

 

 

 

 

 

I bambini hanno in mano niente altro che piccoli ritratti domestici: messi a terra, segnano spazi
di oracoli muti.
– Tutto il buono che ho ricevuto è dentro di me.
È il seme, incancellabile –
Un siffatto pensiero traversa la mente di tutti. È almeno
questa la sensazione che ciascuno ricava dallo sguardo
dell’altro. E un attimo dopo, si chinano e scavano buche
nella neve e ancora sotto, nella terra umida e grigia:
dove ognuno deposita con cura, dopo averla carezzata,
l’immagine di sé.
In breve, è ricomposta anche la neve e chiusa
la contemplazione dei precedenti.
Essi conservano in tasca un grano di selce. Più nulla,
nessuna condizione.
Anche il bianco ora è più compatto, come il moto delle
teste rialzate…

Eugenio De Signoribus

da “Cruna filiale”, in “Trinità dell’esodo”, Garzanti, 2011

Mattino – Roberto Bolaño

Roberto Bolaño

 

Credimi, sono al centro della mia stanza
in attesa che piova. Sono solo. Non m’importa
di finire o meno la mia poesia. Aspetto la pioggia,
bevendo il caffè e guardando dalla finestra un bel paesaggio
di cortili interni, con panni stesi e immobili,
silenziosi panni di marmo nella città, dove non esiste
il vento e in lontananza si sente solo il ronzio
di una televisione a colori, guardata da una famiglia
che a quest’ora, come me, beve il caffè riunita intorno
a un tavolo: credimi: i tavoli di plastica gialla
si moltiplicano fino alla linea dell’orizzonte e oltre:
verso le periferie dove si costruiscono palazzi
di appartamenti, e un ragazzo di 16 anni seduto su
mattoni rossi osserva il movimento dei macchinari.
Il cielo nell’ora del ragazzo è un’enorme
vite cava con cui gioca la brezza. E il ragazzo
gioca con le idee. Con le idee e con scene bloccate.
L’immobilità è una nebbia trasparente e dura
che gli spunta dagli occhi.
Credimi: non sarà l’amore ad arrivare,
ma la bellezza con la sua stola di albe morte.

Roberto Bolaño

(Traduzione di Ilide Carmignani)

da “L’Università Sconosciuta”, SUR, 2020

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Amenecer

Créeme, estoy en el centro de mi habitación
esperando que llueva. Estoy solo. No me importa
terminar o no mi poema. Espero la lluvia,
tomando café y mirando por la ventana un bello paisaje
de patios interiores, con ropas colgadas y quietas,
silenciosas ropas de mármol en la ciudad, donde no existe
el viento y a lo lejos sólo se escucha el zumbido
de una televisión en colores, observada por una familia
que también, a esta hora, toma café reunida alrededor
de una mesa: créeme: las mesas de plástico amarillo
se desdoblan hasta la línea del horizonte y más allá:
hacia los suburbios donde construyen edificios
de departamentos, y un muchacho de 16 sentado sobre
ladrillos rojos contempla el movimiento de las máquinas.
El cielo en la hora del muchacho es un enorme
tornillo hueco con el que la brisa juega. Y el muchacho
juega con ideas. Con ideas y escenas detenidas.
La inmovilidad es una neblina transparente y dura
que sale de sus ojos.
Créeme: no es el amor el que va a venir,
sino la belleza con su estola de albas muertas.

Roberto Bolaño

da “La Universidad Desconocida”, Editorial Anagrama, 2007

The cats will know – Cesare Pavese

 

Ancora cadrà la pioggia
sui tuoi dolci selciati,
una pioggia leggera
come un alito o un passo.
Ancora la brezza e l’alba
fioriranno leggere
come sotto il tuo passo,
quando tu rientrerai.
Tra fiori e davanzali
i gatti lo sapranno.

Ci saranno altri giorni,
ci saranno altre voci.
Sorriderai da sola.
I gatti lo sapranno.
Udrai parole antiche,
parole stanche e vane
come i costumi smessi
delle feste di ieri.

Farai gesti anche tu.
Risponderai parole −
viso di primavera,
farai gesti anche tu.

I gatti lo sapranno,
viso di primavera;
e la pioggia leggera,
l’alba color giacinto,
che dilaniano il cuore
di chi piú non ti spera,
sono il triste sorriso
che sorridi da sola.
Ci saranno altri giorni,
altre voci e risvegli.
Soffriremo nell’alba,
viso di primavera.

Cesare Pavese

10 aprile 1950.

da “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, Einaudi, Torino, 1951