Lettera d’amore – John Williams

Gotthard Schuh, Lovers, 1950

 

Da un tale tra la folla,
illustre sconosciuto,
citare casualmente
il nome tuo ho sentito:
parola come tante
docile per chiunque
parlasse quel dialetto
d’ossa e di sangue inquieto.
E poi ho veduto, a quasi
vent’anni che ti ho persa,
la tua figura disegnata d’aria
bruciare in ogni dove.
Cadere i nostri corpi oltre
fluenti anni di luce,
nel caos romito della notte,
fino all’amore che si espande ingordo.
Mi è giunto il grido antico
della mortalità d’amore,
che un suono è diventato
per cui non c’è parola,
per quanto ripetuto,
e nato dalla terra
dei nervi e del segreto sangue.
Cosa ne è stato di quei corpi,
amore mio? In quale luogo,
in quale falla del tempo,
si stringono i poveri arti smaniosi?
Saranno diventati molli e laschi,
dimentichi di tanta inerzia,
la carne una sterpaglia vana
al luccichio del sangue?
O risvegliati dal ritorno,
tornano svelti ad ardere
un istante, in quella mente
che ormai li confina?
Amore lontanissimo,
che vaghi in una casa ignota,
ci vedo persi nelle tenebre
in balia delle correnti
oltre il mortale costo dell’amore;
e penso, perché devo,
a Helen, al sangue agro
come melato fiele,
che invitava senza più rimedio
le luci di Parigi alla piena
di antiche conseguenze.

John Williams

(Traduzione di Stefano Tummolini)

da “John Williams, Stoner e La necessaria menzogna (Poesie)”, Mondadori, 2020

∗∗∗

Love Letter

This man I overheard,
This stranger in the crowd,
Most casually said
Your long remembered name,
As if it were a word
That any man could tame
To fit a language made
Of bone and restless blood.
And then I saw, across
Some twenty years of loss,
Your self shaped of the air
And burning everywhere.
I watched our bodies fall
Through streaming years of light,
The lone chaos of night,
Into love’s wanton sprawl.
I heard the ancient cry
Of love’s mortality,
The ry become a sound
For which there is no word,
Though it be heard and heard,
Raised from the underground
Of the nerve and secret blood.
Where are those bodies now,
My darling? In what pIace,
What fault of time, do those
Poor seeking limbs embrace?
Have they gone slack and loose,
Casual to their sloth,
The flesh an undergrowth
The bright blood cannot use?
Or warming to this return,
Do our swift bodies burn
Momently in the mind
By which they are confined?
Ah, my most distant dear,
Who dwell in a strange house,
I see us darkly tossed
Upon a billowing air
Beyond love’s mortal cost;
And think, because I must,
Of Helen, of the blood
Bitter as honeyed gall,
Who lured beyond recall
Bright Paris to the flood
or ancient consequence.

John Williams

da “John Williams, Necessary Lie”, Verb Publications, Denver, 1965

«Abito nella tua voce» – Chandra Livia Candiani

Willy Ronis, Night at the Chalet, 1935

 

Abito nella tua voce
e quando tace
il silenzio è alato
abito sotto la violenza
delle tue ali
e quando il silenzio
è sommerso dai rumori
essi sono il cuore del mondo
abito nel mondo
e le piume del mondo
sanno che la bellezza esiste:
«Quando arriverà il tuo passo
metterò una conchiglia sopra la soglia
e nell’aprirla
i frantumi volando
reciteranno il tuo nome».

Chandra Livia Candiani

da “Bevendo il tè con i morti”, Interlinea, Novara, 2015

Ricerca della poesia – Carlos Drummond de Andrade

Minor White

 

Non fare versi sugli avvenimenti.
Non c’è creazione né morte di fronte alla poesia.
Di fronte a lei, la vita è un sole estatico,
non riscalda né illumina.
Le affinità, gli anniversari, gli incidenti personali non contano.
Non fare poesia con il corpo,
eccellente, completo e confortevole corpo, così avverso all’effusione lirica.

La tua goccia di bile, la tua smorfia di piacere o di dolore nel buio
sono indifferenti.
Non rivelarmi i tuoi sentimenti,
che si avvalgono dell’equivoco e tentano il lungo viaggio.
Quel che pensi e senti, non è ancora poesia.
Non cantare la tua città, lasciala in pace.
Il canto non è il movimento delle macchine né il segreto delle case.
Non è la musica udita di passaggio; rumore del mare nelle strade lungo la linea di schiuma.

Il canto non è la natura
né gli uomini in società.
Per lui, pioggia e notte, fatica e speranza nulla significano.
La poesia (non trarre poesia dalle cose)
elide soggetto e oggetto.

Non drammatizzare, non invocare,
non indagare. Non perdere tempo a mentire.
Non annoiarti.
Il tuo veliero d’avorio, le tue scarpe di diamante,
le vostre mazurche e illusioni, i vostri scheletri di famiglia
scompaiono nella curva del tempo, inutili.

Non ricomporre
la tua sepolta e melanconica infanzia.
Non oscillare tra lo specchio e la
memoria in dissipazione.
Se si è dissipata, non era poesia,
se si è frantumato, non era cristallo.

Penetra sordamente nel regno delle parole.
Là sono le poesie che aspettano di essere scritte.
Sono paralizzate, ma non c’è disperazione,
c’è calma e freschezza sulla superficie intatta.
Eccole sole e mute, in stato di dizionario.
Convivi con le tue poesie, prima di scriverle.
Abbi pazienza, se oscure. Calma, se ti provocano.

Aspetta che ciascuna si realizzi e consumi
con il suo potere di parola
e il suo potere di silenzio.
Non forzare la poesia a staccarsi dal limbo. 
Non raccogliere la poesia che si è persa.
Non adulare la poesia. Accettala
come lei accetterà la sua forma definitiva e concentrata
nello spazio.

Avvicinati e contempla le parole.
Ciascuna
ha mille facce segrete sotto la faccia neutra
e ti chiede, senza interesse per la risposta,
povera o terribile, che le darai:
Hai portato la chiave?

Sta’ attento:
erme di melodia e concetto,
si rifugiano nella notte, le parole.
Ancora umide e impregnate di sonno,
rotolano in un fiume difficile e si trasformano in disprezzo.

Carlos Drummond de Andrade

(Traduzione di Giulia Lanciani)

dalla rivista “Poesia”, Anno XVIII, Dicembre 2005, N. 200, Crocetti Editore

∗∗∗

Procura da poesia

Não faças versos sobre acontecimentos.
Não há criação nem morte perante a poesia.
Diante dela, a vida é um sol estático,
não aquece nem ilumina.
As afinidades, os aniversários, os incidentes pessoais não contam.
Não faças poesia com o corpo,
esse excelente, completo e confortável corpo, tão infenso à efusão lírica.

Tua gota de bile, tua careta de gozo ou de dor no escuro
são indiferentes.
Nem me reveles teus sentimentos,
que se prevalecem do equívoco e tentam a longa viagem.
O que pensas e sentes, isso ainda não é poesia.

Não cantes tua cidade, deixa-a em paz.
O canto não é o movimento das máquinas nem o segredo das casas.
Não é música ouvida de passagem, rumor do mar nas ruas junto à linha de espuma.

O canto não é a natureza
nem os homens em sociedade.
Para ele, chuva e noite, fadiga e esperança nada significam.
A poesia (não tires poesia das coisas)
elide sujeito e objeto.

Não dramatizes, não invoques,
não indagues. Não percas tempo em mentir.
Não te aborreças.
Teu iate de marfim, teu sapato de diamante,
vossas mazurcas e abusões, vossos esqueletos de família
desaparecem na curva do tempo, é algo imprestável.

Não recomponhas
tua sepultada e merencória infância.
Não osciles entre o espelho e a
memória em dissipação.
Que se dissipou, não era poesia.
Que se partiu, cristal não era.

Penetra surdamente no reino das palavras.
Lá estão os poemas que esperam ser escritos.
Estão paralisados, mas não há desespero,
há calma e frescura na superfície intata.
Ei-los sós e mudos, em estado de dicionário.
Convive com teus poemas, antes de escrevê-los.
Tem paciência se obscuros. Calma, se te provocam.

Espera que cada um se realize e consume
com seu poder de palavra
e seu poder de silêncio.
Não forces o poema a desprender-se do limbo.
Não colhas no chão o poema que se perdeu.
Não adules o poema. Aceita-o
como ele aceitará sua forma definitiva e concentrada
no espaço.

Chega mais perto e contempla as palavras.
Cada uma
tem mil faces secretas sob a face neutra
e te pergunta, sem interesse pela resposta,
pobre ou terrível, que lhe deres:
Trouxeste a chave?

Repara:
ermas de melodia e conceito
elas se refugiaram na noite, as palavras.
Ainda úmidas e impregnadas de sono,
rolam num rio difícil e se transformam em desprezo.

Carlos Drummond de Andrade

da “A Rosa do Povo”, Livraria José Olympio, 1945

Le bianche vele – Adam Zagajewski

Adam Zagajewski

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eugène Delacroix osservava
le navi a vapore nel Canale della Manica,
che in modo lento, sistematico avevano iniziato
a rimpiazzare le fregate dalle gonfie bianche vele
e scriveva con tristezza nel diario:
tutto intorno a noi è soggetto a degrado,
la bellezza del mondo ci lascia per sempre;
di continuo compaiono nuove
invenzioni, forse utili,
ma quanto mai banali
(per esempio le linee ferroviarie,
le locomotive pesanti come la mano di un boia).
Lui stesso dipingeva splendidi cavalli e minacciosi leoni
e i loro muscoli tesi sotto il pelo corto,
e le uniformi degli Spahis, tanto rosso,
per il sangue o per tessuti esotici,
e la luce danzante sulla lama della spada
– e poi rimasero ormai solo le macchine,
vecchie macchine e macchie d’olio
sulla sabbia, sulla segatura (e anche il sangue).
C’è tanta nuova realtà
e ciò che è meraviglia è diventato timido,
difficile da ritrovare, fissare nella memoria,
immortalarlo, eppure le alte
bianche nubi a più piani,
gli arroganti, fieri cumuli, trascorrono
sulla Francia e sulla Germania e sulla Polonia,
trascorrono su di noi e in essi si nascondono
fedeli uccelli migratori, gru e ciuffolotti,
vi dimorano rondini, rigogoli, rondoni,
e anche le ferrate aeronavi,
che ci uccidono o ci salvano.
Continuamente roteano su di noi
la morte e la salvezza.

Adam Zagajewski

(Traduzione di Marco Bruno)

da “Asimmetria, 2014”, in “Guarire dal silenzio, Nuovi versi e poesie scelte”, “Lo Specchio” Mondadori, 2020

∗∗∗

Białe żagle

Eugène Delacroix przyglądał się
statkom parowym na Kanale La Manche,
które powoli, systematycznie zaczęły
wypierać fregaty o wydętych białych żaglach
i pisał ze smutkiem w swoim dzienniku:
wszystko wokół nas ulega degradacji,
piękno świata odchodzi na zawsze;
nieprzerwanie pojawiają się nowe
wynalazki, być może użyteczne,
lecz nieskończenie banalne
(na przykład koleje żelazne,
lokomotywy ciężkie jak ręka kata).
On sam malował dorodne konie i groźne lwy
i ich muskuły napięte pod krótką sierścią,
i mundury spahisów, dużo czerwieni, którą
może dać krew albo egzotyczne tkaniny,
i światło tańczące na klindze szabli
– a potem zostały już tylko maszyny,
szare maszyny i plamy oleju
na piasku, na trocinach (i także krew).
Jest dużo nowej rzeczywistości
i to, co cudowne stało się nieśmiałe,
trudno je odnaleźć, zapamiętać,
utrwalić, a jednak wysokie,
białe, wielopiętrowe chmury,
aroganckie, dumne cumulusy, płyną
nad Francją i nad Niemcami i nad Polską,
płyną nad nami i kryją się w nich
wierne ptaki wędrowne, żurawie i gile,
mieszkają w nich jaskółki, wilgi, jerzyki,
i także żelazne statki powietrzne,
które nas zabijają lub ratują.
Wciąż krążą nad nami
śmierć i ocalenie.

Adam Zagajewski

da “Asymetria”, Wydawnictwo a5, Kraków, 2014

Tre conversazioni sulla civiltà – Czesław Miłosz

Czesław Miłosz, foto di Marek Śmieja

I

Sullo scuro rossore della collera
la risposta scortese
l’avversione per gli stranieri
si regge lo stato.

Sui ruggiti del goal
le catapecchie intorno ai porti
l’alcol dei poveracci
si regge lo stato.

— Hermancja, se io rigirassi l’anello
e sparissero quei quartieri che il nostro corteo
percorre in fretta, per non vedere gli occhi fissi nel vuoto,

se invece della costrizione quotidiana, o, per dirla così,
degli svaghi pelosi attinenti alla carnalità,
fingendo, tirata a lucido, di non puzzare affatto,

la gente a teatro rosicchiasse cioccolatini
e si commuovesse per l’amore del pastore Aminta
e di giorno leggesse la Summa, per fortuna troppo difficile,

nessuno sarebbe adatto alle caserme. Lo stato crollerebbe.

II

Si, è vero, il paesaggio è un po’ cambiato.
Dove c’erano boschi, ora ci sono pere di fabbriche e cisterne.
Avvicinandoci ai ponti alla foce d’un fiume ci tappiamo il naso,
la sua corrente trasporta nafta e cloro e composti di metile,
senza parlare delle secrezioni dei Libri delle Astrazioni:
escrementi, urina e sperma morto.
Una grande macchia di colore sintetico avvelena i pesci nel mare.
Là dove il giunco e la canna coprivano il bordo della baia,
ora c’è la ruggine di macchine fracassate, di ceneri e mattoni.
Nei poeti antichi leggevamo del profumo della terra
e delle cavallette. Oggi scansiamo i campi.
Attraversa il più in fretta possibile l’area chimica degli agricoltori.
Sono estinti l’insetto e l’uccello. Lontano un uomo annoiato
trascina polvere dietro al trattore, ha aperto l’ombrello da sole.
Che stiamo rimpiangendo? chiedo. La tigre? Il leone? Lo squalo?
Abbiamo creato una seconda natura a somiglianza della prima,
perché non ci sembrasse per caso di vivere in paradiso.
Forse quando Adamo si risvegliava nel giardino
gli animali si leccavano il muso, sbadigliando amichevoli
e le loro zanne nonché la coda sferzante i fianchi
erano figurativi e l’averla piccola
più tardi, molto più tardi, chiamata Lanius Colludo
non conficcava i bruchi nelle spine del pruno.
Tuttavia, ad eccezione di quel momento, ciò che sappiamo
sulla Natura
non depone a suo vantaggio. La nostra non è peggiore.
Perciò, vi prego, facciamola finita con questi lamenti.

III

Potessi sapere una cosa sola, nient’altro che questo:
in che il pentimento si differenzia dall’ambizione offesa?

Si aprono corridoi di legno trascorso,
la pantofola di raso batte sul caldo piano inclinato,
il caro collo, il suo profumo dura in eterno,
e già accorrono gli sgherri con le prove del delitto:
essudazione di sangue in periferia, un coltello dimenticato.

E quando mi inseguono fino al mattino per le scale,
non capisco, cadendo, attaccandomi alle tende,
se la mia disperazione sia un pentimento perfetto
o soltanto la vergogna di morire senz’onore.
Poi davanti allo specchio esamino le mie palpebre enfie.

Ed è per questo, penso, che ho scritto ad Alessandro
consigliandogli di reprimere le associazioni dei giovani
(Troverai ciò, Hermancja, sotto l’anno 1820).
Detestavo quegli scolari dello sciocco Jean-Jacques,
invidiando loro di credere nella propria nobiltà d’animo.

Sono contrario alle note d’autore, in questo caso tuttavia non è purtroppo possibile evitare un commento. Il nome Hermancja è scelto ad arbitrio e non indica nessuna figura storica. Invece nella parte III è certamente Metternich che racconta i suoi sogni come pessimistico difensore dell’ordine ai tempi della Santa Alleanza, dato che proprio lui nel 1820 scrisse allo zar Alessandro una lettera contenente una analisi precisa delle conseguenze politiche del romanticismo (pur senza usare questo termine). Mi viene anche in mente che il contenuto della mia poesia ricorda un po’ le conversazioni sull’inglese strangolata fra lo zar Michele e il Gran Duca Costantino in Słowacki.*

Czesław Miłosz

1963, Berkeley

(Traduzione di Pietro Marchesani

da “Pippo incantato, 1965”, in “Czesław Miłosz, Il castigo della speranza”, All’insegna del pesce d’oro, 1981

Mille copie numerate – Copia N. 39
* Nel dramma Kordian (1834), atto III scena IX (Trad. ital. a cura di Clotilde Garosci, Utet, Torino 1932, ivi 1956²) (N.d.T.).

∗∗∗

Trzy rozmowy o cywilizacji

I

Ściemnieniem od gniewu
niegrzeczną odpowiedzią
wstrętem do cudzoziemców
stoi państwo.

Rykami goala
portową ruderą
alkoholem nędzarzy
stoi państwo.

Hermancjo, gdybym obrócił pierścień
i znikły te dzielnice którymi nasz orszak
prędko pomyka, żeby nie widzieć oczu zapatrzonych w nic,

gdyby zamiast codziennego musu, oraz, że tak powiem,
włochatych rozrywek należnych cielesności,
zbyt umyci, udając, że wcale nie śmierdzą,

ludzie w teatrum gryźli czekoladki
i wzruszali się miłością pasterza Amyntasa
a w dzień czytali Summę, na szczęście za trudną,

nikt nie nadawałby się do koszar. Państwo by upadło.

II

Tak, to prawda, że krajobraz trochę się zmienił.
Gdzie były lasy, teraz gruszki fabryk i cysterny.
Zbliżając się do mostów przy ujściu rzeki zatykamy nosy,
w jej nurcie ropa i chlor i związki metylu,
nie mówiąc o wydzielinach z Ksiąg Abstrakcji:
ekskrementach, moczu i martwej spermie.
Wielka plama sztucznej barwy truje w morzu ryby.
Gdzie brzeg zatoki porastała trzcina i sitowie
tam rdza pogruchotanych maszyn, popiołów i cegły.
Czytaliśmy u dawnych poetów o zapachu ziemi
i o konikach polnych. Dziś omijamy pola.
Przejedź najszybciej jak można chemiczną strefę rolników.
Wytępiony jest owad i ptak. Daleko znudzony człowiek
wlecze pył za traktorem, parasol rozpiął od słońca.
Czego tu żal, zapytam? Tygrysa? Lwa? Rekina?
Stworzyliśmy drugą Naturę na podobieństwo pierwszej,
żeby nie wydawało się nam czasem, że żyjemy w raju.
Być może kiedy Adam obudził się w ogrodzie
zwierzęta oblizywały pyski ziewając przyjaźnie
a kły ich tudzież ogon smagający boki
były figuratywne i dzierzba-gąsiorek
później, o wiele później Lanius Collurio nazwana
nie wbijała gąsienic na kolce tarniny.
Jednakże, poza tą chwilą, co wiemy o Naturze
Nie świadczy na jej korzyść. Nasza nie jest gorsza.
I tylko, bardzo proszę, bez tych ubolewań.

III

Gdybym wiedział to jedno, nic, tylko to jedno:
czym różni się żal za grzechy od urażonej ambicji.

Otwierają się korytarze z minionego drzewa,
atłasowy pantofelek stuka na ciepłej pochylni,
szyja droga, zapach jej trwa na wieki,
a już biegną siepacze z dowodami zbrodni:
wysiękiem krwi na przedmieściu, zapomnianym nożem.

I kiedy mnie ścigają do rana po schodach,
nie rozumiem, padając, czepiając się kotar
czy moja rozpacz to żal doskonały
czy tylko wstyd, że ginę bez honoru.
Potem przed lustrem badam obrzękłe powieki.

I dlatego, jak myślę, pisałem do Aleksandra
doradzając mu, żeby ukrócił związki młodzieży
(znajdziesz to, Hermancjo, pod datą 1820 roku).
Nie znosiłem tych uczniów głupiego Jana Jakuba,
zazdroszcząc im, bo wierzyli we własną szlachetność.

Jestem przeciwny notom autorskim, niestety jednak nie da się tutaj uniknąć komentarza. Imię Hermancja jest wybrane dowolnie i nie oznacza żadnej postaci historycznej. Natomiast w części III opowiada swoje sny jakby pesymistyczny obrońca porządku z czasów Świętego Przymierza, zapewne Metternich, skoro on to właśnie napisał w 1820 roku list do cara Aleksandra I zawierający trafną analizę politycznych następstw romantyzmu (choć nie używał tego terminu). Przychodzi mi też na myśl, że treść mego wiersza przypomina trochę rozmowy o uduszonej Angielce pomiędzy carem Mikołajem i W. Ks. Konstantym u Słowackiego.

Czesław Miłosz

da “Gucio zaczarowany”, 1965in “Czesław Miłosz, Utwory poetyckie. Poems”, Michigan Slavic Publications, Ann Arbor, 1976