Le parole – Anne Sexton

 

State attenti alle parole,
anche a quelle miracolose.
Per le miracolose diamo il meglio,
brulicano alle volte come insetti
lasciando non un pizzico ma un bacio.
Possono essere buone come le dita.
Possono essere affidabili come le rocce
su cui mettiamo il sedere.
Ma possono essere sia margherite che ferite.

Eppure io le amo.
Sono colombe cadute dal soffitto.
Sono sei arance sacre appoggiate in grembo.
Sono gli alberi, le gambe dell’estate,
e il sole, con il suo volto appassionato.

Eppure spesso mi deludono.
Ho così tanto da dire,
così tante storie, immagini, proverbi, ecc.
Ma le parole non ce la fanno,
mi baciano quelle sbagliate.
A volte volo come un’aquila
ma con le ali dello scricciolo.

Provo comunque a prendermene cura
e ad essere gentile.
Uova e parole vanno maneggiate con cura.
Una volta rotte non si possono
riparare.

Anne Sexton

(Traduzione di Cristina Gamberi)

da “La zavorra dell’eterno”, Crocetti Editore, 2016

∗∗∗

Words

Be careful of words,
even the miraculous ones.
For the miraculous we do our best,
sometimes they swarm like insects
and leave not a sting but a kiss.
They can be as good as fingers.
They can be as trusty as the rock
you stick your bottom on.
But they can be both daisies and bruises.

Yet I am in love with words.
They are doves falling out of the ceiling.
They are six holy oranges sitting in my lap.
They are the trees, the legs of summer,
and the sun, its passionate face.

Yet often they fail me.
I have so much I want to say,
so many stories, images, proverbs, etc.
But the words aren’t good enough,
the wrong ones kiss me.
Sometimes I fly like an eagle
but with the wings of a wren.

But I try to take care
and be gentle to them.
Words and eggs must be handled with care.
Once broken they are impossible
things to repair.

Anne Sexton

da “Anne Sexton, The Complete Poems”, Houghton Mifflin, 1981 

Dare acqua alla pianta del sognare – Elisa Biagini

(dialogo con Paul Celan)
Esperimento di dialogo attivo con un poeta amato: testi costruiti intorno a singoli versi del poeta tedesco, allontanati dal contesto originario e usati come micce per scatenare una nuova deflagrazione poetica.

 

Mi si chiudono
le notti dentro
il palmo,
                ti tocco
e sei d’inchiostro.

Troppe cose già dette,
troppo già respirato,

nel palmo
solo una pietra risputata,
piccola come
una mandorla

(il dolce è troppo
nascosto e troppo
duro il guscio).

Contami tra le mandorle 1

     Zähle mich zu den Mandeln

La lingua vola ovunque, rotola,
gettala via, gettala via,
e cosí la riavrai 2:
sarà un frullare d’orecchio,
un’ala che s’apre a misurare il cielo.

     2 wirf sie weg, wirf sie weg, | dann hast du sie wieder

Quando la bocca
sputa la parola,
c’è un tempo, un
tra «me e te»,
che è una zolla
affettata dalla lama,
verme che poi
ritrova vita.

Questo torcersi di
piedi, come il cammino
in sogno, come
il racconto in
un orecchio
già di vetro.

Con gli occhi-
forbici 3 ti ritaglio
il profilo, ti fermo
con la lama di tempo
che mai fa ruggine.

     3 mit den Augen | -schere

– Quanto divelto torna di nuovo insieme –
il nome, il nome, la mano, la mano 4:

sulla mia mano
poggia la foglia
che a questa luce
non cresce:

mettile un guanto
che il vento la sbuccia,
mettila in tasca
che da qui non rinasca.

     4 was abriß, wächst wieder zusammen | … den Namen, den Namen, die Hand, die Hand

Scolami via,
scagliati fuori 5,
qui è solo specchio
che brucia, sole nero
dove rotolano lettere.

     5 Sink mir weg… wirf dich | aus

La scapola è già l’ascia
tavoletta di leggi non scritte:
affatica l’abbraccio
impiglia l’indicare
torce il crescere.

È tutto diverso, da come tu pensi, da come io penso 6,
eppure sotto la pelle c’è luce
intermittente, s’attiva alla
tua unghia-consonante, al dito
allungato della voce.

     6 Es ist alles anders, als du es dir denkst, als ich es mir denke

Piena è la borsa dell’occhio
di monete di tempo:
la tasca è cosí aperta
in queste ore che
sento il tintinnare.

Le mie, le tue
labbra, sono
le feritoie
dove cadono
monete, chiavi
di porte che
si aprono altrove.

Contaci me
tra quelli a
cui è venuta
meno la
parola, per
troppa luce,

fra quelli
che si contano
le dita
all’incontrario.

Le dita tutt’occhi
per sentirti nuotare,
annegare,
pensieri miei
tinti dal rumore d’api,

la voce tua
sale dall’acqua:
ha buccia di spillo.

Sullo spigolo del
congedo 7 mi sbuccio
il respirare.
Il fiato
rammendato col
filo piú scuro:
d’abbandono.

    7 am Abschieds- | grat

Se l’occhio
minerale t’avvicina,
ti attorcigli,
fossile nella montagna.

«Mi è, presso estranei, difficile il sonno».

qui cadono uova
di sonno, dai
bianchi che non
montano
                  (perché io
insisto le mani
in tasche di pietra?)

Io so da dove,
io dimentico, da dove 8

parliamoci
come tolte
le calze, prima che
la lingua collassi
e ci s’inciampi:
il disegno del
suono è tra le
dita.

     8 weiß ich, woher | vergeß ich, woher

Un fiammifero usato
ti solleva la palpebra,
ti cerca lo specchio di
retina, la rete coi
pesci-memorie.

Si parla buio
che appiccica il
respiro, si parla
vetro che buca
la carta:
ascolta
con la bocca 9,
guardati nel tuo specchio
con l’orecchio.

    9 hör dich ein | mit dem Mund

È la pausa dell’orologio
scarico, il cuore dentato 10
a cui il bavero
resta impigliato,

tu, bottone infilzato.

    10 Herzzähnen

Appoggio la fronte
sul vetro, guardo nella
notte delle tue parole 11,
la voce s’imbianca di
silenzio, le ombre
s’infittiscono tra i denti:
io sono te, quando io io sono 12.

     11 Nacht deiner Worte
     12 ich bin du, wenn ich ich bin

Ho le orecchie
confuse come api
per tutto il tuo
liquido silenzio, i lobi
fazzoletti annodati:
poggio il capo
sul cuscino piú nero 13.

      13 nach schwarzerem Pfühl

Ho sedie nel petto,
vuote, per ospitare
respiri piú pesi di
libri, bolle d’aria
risucchiate d’ombra,
un guscio nero
(dice il vero chi dice ombra) 14.

      14 wahr spricht, wer Schatten spricht

Respiro di mandorla,
guscio-botola alla gola:

respiro d’amaro
che tossisci,
t’ingolfi, ti lacrima
a tratti

l’ombelico.

Mettigli questa parola sulla palpebra 15:

le lettere scivoleranno nella

ruga di luce, daranno acqua

alla pianta del sognare.

     15 Leg ihm dies Wort auf die Lider

Questo tuo sbadigliare
è rumoroso alle orecchie
dei morti.

                   Vogliono
il tondo dell’ossigeno
per rimpastare il respiro,

vogliono parlarti
col rosso di labbro.

Cammino per
sottrazione
ed il respiro inciampa,
gli vengono guance
color del sale.

E la carta crepita
vicino all’osso,
segna di bianco
il dito.

La saliva non usata prima

chiude le fessure tra i
denti, poi mura la

lingua al palato.

C’è uno che ha i miei occhi 16
li strizza come spugna dopo
i piatti, li tira come lenzuoli,
li incastra a fermare le porte

e da qui ogni passaggio
è amaro, come di un vento
che ti soffia dritto in bocca.

     16 Es ist einer, der hat meine Augen

Finché c’è pietra
ci sarà materia
per un’altra di mano,
che trattenga la pagina
in questo vento di
lame annebbiate.

A questa luce
il tuo viso
è tazza dove
converge
il latte di brivido,
dove si leggono
saturno e luna.

Ci sfioriamo
le rotule, bottoni
che aprono la
tasca del piede,
vicini e inafferrabili.

E intanto
l’altro sole
scende e
per metà
è già notte.
dormi?
dormi 17.

     17 schläfst du? | schlaf

È una voce
che scricchiola
la mia, come
tavola troppo
apparecchiata,
come persiana
da lungo tempo
chiusa.

Quando ti parlo
sale la terra
in bocca:
                 muta
ma non silenziosa,
mi attraverso di
suono, faccio
cassa al
fruscio nella
testa.

Mi entri il
sonno e
scivoli come
gruccia nella
manica
              che poi
non si piega il
polmone, poi
la mano piú
non tocca il
foglio.

Ci sarà un occhio ancora,
uno 18, da cui scende
il filo d’acciaio dell’
attesa, lega per
pentole d’infinito
bollire, per orli
che sempre
s’impigliano.

     18 Es wird noch ein Aug sein, | ein fremdes

Cresce il tuo
piede che
non cede

e l’unghia
si tinge color
del rimanere.

La crepa che da te
parte, segna
il passo al
vicino.

Elisa Biagini

da “Da una crepa”, Einaudi, Torino, 2014

Nel parco – Georg Trakl

 

Vagando ancora nel vecchio parco,
Oh, silenzio di fiori gialli e rossi!
Anche voi in lutto, divinità miti,
E l’oro autunnale dell’olmo.
Immobile svetta sullo stagno azzurrino
La canna, a sera ammutolisce il tordo.
Oh, china anche tu la fronte
Al marmo consunto degli avi.

Georg Trakl

(Traduzione di Ida Porena)

da “Georg Trakl, Poesie”, Einaudi, Torino, 1979

∗∗∗

Im Park

Wieder wandelnd im alten Park,
O! Stille gelb und roter Blumen.
Ihr auch trauert, ihr sanften Götter,
Und das herbstliche Gold der Ulme.
Reglos ragt am bläulichen Weiher
Das Rohr, verstummt am Abend die Drossel.
O! dann neige auch du die Stirne
Vor der Ahnen verfallenem Marmor.

Georg Trakl

da “Der Herbst des Einsamen”, Kurt Wolff, München, 1920

Ringraziamento – Wisława Szymborska

 

Devo molto
a quelli che non amo.

Il sollievo con cui accetto
che siano più vicini a un altro.

La gioia di non essere io
il lupo dei loro agnelli.

Mi sento in pace con loro
e in libertà con loro,
e questo l’amore non può darlo,
né riesce a toglierlo.

Non li aspetto
dalla porta alla finestra.
Paziente
quasi come una meridiana,
capisco
ciò che l’amore non capisce,
perdono
ciò che l’amore mai perdonerebbe.

Da un incontro a una lettera
passa non un’eternità,
ma solo qualche giorno o settimana.

I viaggi con loro vanno sempre bene,
i concerti sono ascoltati fino in fondo,
le cattedrali visitate,
i paesaggi nitidi.

E quando ci separano
sette monti e fiumi,
sono monti e fiumi
che trovi su ogni atlante.

È merito loro
se vivo in tre dimensioni,
in uno spazio non lirico e non retorico,
con un orizzonte vero, perché mobile.

Loro stessi non sanno
quanto portano nelle mani vuote.

«Non devo loro nulla» –
direbbe l’amore
sulla questione aperta.

Wisława Szymborska

(Traduzone di Pietro Marchesani)

da “Grande numero”, Libri Scheiwiller, 2006

∗∗∗

Podziękowanie

Wiele zawdzięczam
tym, których nie kocham.

Ulgę, z jaką się godzę,
że bliżsi są komu innemu.

Radość, że nie ja jestem
wilkiem ich owieczek.

Pokój mi z nimi
i wolność mi z nimi,
a tego miłość ani dać nie może,
ani brać nie potrafi.

Nie czekam na nich
od okna do drzwi.
Cierpliwa
prawie jak słoneczny zegar,
wybaczam,
miłość nie wybaczyłaby nigdy.

Od spotkania do listu
nie wieczność upływa,
ale po prostu kilka dni albo tygodni.

Podróże z nimi zawsze są udane,
koncerty wysłuchane,
katedry zwiedzone,
krajobrazy wyraźne.

A kiedy nas rozdziela
siedem gór i rzek,
są to góry i rzeki
dobrze znane z mapy.

Ich zasługą,
jeżeli żyję w trzech wymiarach,
w przestrzeni nielirycznej i nieretorycznej
z prawdziwym, bo ruchomym horyzontem.

Sami nie wiedzą,
ile niosą w rękach pustych.

„ Nic im nie jestem winna ” –
powiedziałaby miłość
na ten otwarty temat.

Wisława Szymborska

da “Wielka liczba”, Czytelnik, 1976

Delta – Eugenio Montale

Foto di Gerard Laurenceau

 

La vita che si rompe nei travasi
secreti a te ho legata:
quella che si dibatte in sé e par quasi
non ti sappia, presenza soffocata.

Quando il tempo s’ingorga alle sue dighe
la tua vicenda accordi alla sua immensa,
ed affiori, memoria, più palese
dall’oscura regione ove scendevi,
come ora, al dopopioggia, si riaddensa
il verde ai rami, ai muri il cinabrese.

Tutto ignoro di te fuor del messaggio
muto che mi sostenta sulla via:
se forma esisti o ubbia nella fumea
d’un sogno t’alimenta
la riviera che infebbra, torba, e scroscia
incontro alla marea.

Nulla di te nel vacillar dell’ore
bige o squarciate da un vampo di solfo
fuori che il fischio del rimorchiatore
che dalle brume approda al golfo.

Eugenio Montale

da “Meriggi e ombre”, in “Ossi di seppia”, Piero Gobetti Editore, Torino, 1925