Ogni caso – Wisława Szymborska

 

Poteva accadere.
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.

Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.

Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.

In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.

Dunque ci sei? Dritto dall’attimo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?
Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.

Wisława Szymborska

(Traduzione di Pietro Marchesani)

da “Ogni caso”, Libri Scheiwiller, 2009

∗∗∗

Wszelki wypadek

Zdarzyć się mogło.
Zdarzyć się musiało.
Zdarzyło się wcześniej. Później.
Bliżej. Dalej.
Zdarzyło się nie tobie.

Ocalałeś, bo byłeś pierwszy.
Ocalałeś, bo byłeś ostatni.
Bo sam. Bo ludzie.
Bo w lewo. Bo w prawo.
Bo padał deszcz. Bo padał cień.
Bo panowała słoneczna pogoda.

Na szczęście był tam las.
Na szczęście nie było drzew.
Na szczęście szyna, hak, belka, hamulec,
framuga, zakręt, milimetr, sekunda.
Na szczęście brzytwa pływała po wodzie.

Wskutek, ponieważ, a jednak, pomimo.
Co by to było, gdyby ręka, noga,
o krok, o włos
od zbiegu okoliczności.

Więc jesteś? Prosto z uchylonej jeszcze chwili?
Sieć była jednooka, a ty przez to oko?
Nie umiem się nadziwić, namilczeć się temu.
Posłuchaj,
jak mi prędko bije twoje serce.

Wisława Szymborska

da “Wszelki wypadek”, Czytelnik, 1972

The night you slept – Cesare Pavese

Edward Steichen, Helen Menken, January 1926

 

Anche la notte ti somiglia,
la notte remota che piange
muta, dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche.
Una guancia tocca una guancia
è un brivido freddo, qualcuno
si dibatte e t’implora, solo,
sperduto in te, nella tua febbre.

La notte soffre e anela l’alba,
povero cuore che sussulti.
O viso chiuso, buia angoscia,
febbre che rattristi le stelle,
c’è chi come te attende l’alba
scrutando il tuo viso in silenzio.
Sei distesa sotto la notte
come un chiuso orizzonte morto.
Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri l’alba.

Cesare Pavese

4 aprile 1950.

da “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, Einaudi, Torino, 1951

Il nostro amore è come Bisanzio – Henrik Nordbrandt

Foto di Philippe Pache

 

Il nostro amore è come Bisanzio
dev’essere stata
l’ultima sera. Dev’esserci stato
immagino
un alone sui volti
di chi si affollava nelle vie
o sostava in piccoli gruppi
agli angoli delle strade e nelle piazze
e parlava a bassa voce
un alone che doveva ricordare
quello che ha il tuo volto
quando ne scosti i capelli
e mi guardi.

Immagino che non parlassero
molto, e di cose
piuttosto indifferenti,
che cercassero di parlare
e si bloccassero
senza aver detto quanto volevano
e cercassero ancora
e rinunciassero ancora
e si guardassero
e abbassassero gli occhi.

Le antichissime icone per esempio
hanno in sé quell’alone
come il bagliore di una città in fiamme
o l’alone che la morte imminente
trasmette alle foto dei morti precoci
nella memoria dei superstiti.

Quando mi volto verso di te
nel letto, ho la sensazione
di entrare in una chiesa
distrutta dalle fiamme
molto tempo fa
in cui solo il buio negli occhi delle icone
è rimasto
piene delle fiamme che le hanno cancellate.

Henrik Nordbrandt

(Traduzione di Bruno Berni)

da “Ode alla piovra e altre poesie d’amore”, in “Il nostro amore è come Bisanzio”, Donzelli Poesia, 2000

***

Vores kærlighed er som Byzantium

Vores kærlighed er som Byzantium
må have været
den sidste aften. Der må have været
forestiller jeg mig
et skær over ansigterne
på dem der flokkedes i gaderne
eller stod i små grupper
på gadehjørner og torve
og talte lavmælt sammen
der må have mindet
om det skær dit ansigt har
når du stryger håret tilbage fra det
og ser på mig.

Jeg forestiller mig de ikke har talt
ret meget, og om ret
ligegyldige ting,
at de har forsøgt at tale
og er gået i stå
uden at have fået sagt hvad de ville
og har forsøgt igen
og opgivet det igen
og set på hinanden
og slået øjnene ned.

Meget gamle ikoner f.eks.
har det skær over sig
som ildskæret fra en brændende by
eller det skær kommende død
efterlader på fotografier af tidligt døde
i de efterladtes erindring.

Når jeg vender mig mod dig
i sengen, har jeg en følelse
af at træde ind i en kirke
der er blevet brændt ned
for længe siden
og hvor kun mørket i ikonernes øjne
er blevet tilbage
fulde af de flammer, der udslettede dem.

Henrik Nordbrandt

da “Ode til blæksprutten og andre kærlighedsdigte”, Copenhagen, Gyldendal, 1975

«Che tu sia vivo o morto» – Donatella Bisutti

Foto di Katia Chausheva

 

Che tu sia vivo o morto
non vedo cambiare
in nulla – per questo –
il mio amore.
Non dipende dal fatto di vederti
già non ti vedevo.
Non dipende dal fatto di sentirti
da quanto tempo mai non ti parlavo.
E quanto al fare l’amore
lo facevo già da sola
solo pensando a te.

Non cambia nulla la tua morte
come il sole
quando è tramontato
splende
in altro luogo della terra
come la luna è nascosta
dalla luce del giorno eppure
presente
presente eternamente.

Donatella Bisutti

da “Rosa alchemica”, Crocetti Editore, 2011

Dichiarazione – Boris Leonidovič Pasternak

Charcoal sketch by Casey Baugh

 

La vita è tornata, cosí, senza motivo,
come allora che s’era stranamente interrotta.
E sempre in quella stessa strada antica,
sempre quello stesso giorno d’estate e a quell’ora.

La stessa gente e le ansie, le stesse,
e l’incendio del tramonto ancora acceso:
come allora, contro il muro del Maneggio
la sera di morte l’aveva in fretta inchiodato.

Donne in vesti da poco prezzo, come allora,
a notte strascicano le scarpe.
E poi sul tetto di lamiera,
come allora, le crocifiggono le soffitte.

Ecco lei che a passi stanchi
lentamente si fa sulla soglia,
e, risalendo dall’interrato,
taglia di traverso il cortile.

Di nuovo io mi preparo pretesti,
e di nuovo mi è tutto indifferente.
E la vicina, svoltando all’angolo,
ci lascia l’un l’altro di fronte.

Non piangere, non increspare le labbra tumefatte,
non gremirle di rughe.
Riaprirai le croste già secche
dello sfogo di primavera.

Togli il palmo della mano dal mio petto,
noi siamo cavi sotto tensione.
Attenta, l’uno verso l’altra, ancora
saremo spinti inavvertitamente.

Passeranno gli anni, ti sposerai,
dimenticherai i disordini.
Essere una donna è un grande passo,
fare impazzire è un’eroica impresa.

Pure, io, di fronte al prodigio delle mani di donna,
del dorso e delle spalle e del collo,
con la devozione d’un servo
tutta la mia vita benedico.

Ma per quanto la notte m’incateni
con anelli d’angoscia,
piú forte al mondo è la spinta a fuggire
e la passione invita alle rotture.

Boris Leonidovič Pasternak

(Traduzione di Mario Socrate)

da “Il dottor Živàgo”, Feltrinelli, 1957

∗∗∗

Объяснение

Жизнь вернулась так же беспричинно,
Как когда-то странно прервалась.
Я на той же улице старинной,
Как тогда, в тот летний день и час.

Те же люди и заботы те же,
И пожар заката не остыл,
Как его тогда к стене Манежа
Вечер смерти наспех пригвоздил.

Женщины в дешевом затрапезе
Так же ночью топчут башмаки.
Их потом на кровельном железе
Так же распинают чердаки.

Вот одна походкою усталой
Медленно выходит на порог
И, поднявшись из полуподвала,
Переходит двор наискосок.

Я опять готовлю отговорки,
И опять всё безразлично мне.
И соседка, обогнув задворки,
Оставляет нас наедине.

Не плачь, не морщь опухших губ,
Не собирай их в складки.
Разбередишь присохший струп
Весенней лихорадки.

Сними ладонь с моей груди,
Мы провода под током.
Друг к другу вновь, того гляди,
Нас бросит ненароком.

Пройдут года, ты вступишь в брак,
Забудешь неустройства.
Быть женщиной — великий шаг,
Сводить с ума — геройство.

А я пред чудом женских рук,
Спины, и плеч, и шеи
И так с привязанностью слуг
Весь век благоговею.

Борис Леонидович Пастернак

da “Доктор Живаго”, 1957