Difesa dei lupi contro le pecore – Hans Magnus Enzensberger

Foto di Clarissa Bonet

 

Deve mangiare viole del pensiero l’avvoltoio?
Dallo sciacallo, che cosa pretendete?
Che muti pelo? E dal lupo? Deve
da sé cavarsi i denti?
Che cosa non vi garba
nei commissari politici e nei pontefici?
Che cosa idioti vi incanta, perdendo biancheria
sullo schermo bugiardo?

Chi cuce al generale
la striscia di sangue sui pantaloni? Chi
trancia il cappone all’usuraio? Chi
fieramente si appende la croce di latta
sull’ombelico brontolante? Chi intasca
la mancia, la moneta d’argento, l’obolo
del silenzio? Son molti
i derubati, pochi i ladri; chi
li applaude allora, chi
li decora e distingue, chi è avido
di menzogna?

Nello specchio guardatevi: vigliacchi
che scansate la pena della verità,
avversi ad imparare e che il pensiero
ai lupi rimettete,
l’anello al naso è il vostro gioiello piú caro,
nessun inganno è abbastanza cretino, nessuna
consolazione abbastanza a buon prezzo, ogni ricatto
troppo blando è per voi.

Pecore, a voi sorelle
son le cornacchie,
se a voi le confronto.
Voi vi accecate a vicenda.
Regna invece tra i lupi
fraternità. Vanno essi
in branchi.

Siano lodati i banditi. Alla violenza
voi li invitate, vi buttate sopra
il pigro letto
dell’ubbidienza. Tra i guaiti ancora
mentite. Sbranati
volete essere. Voi
non lo mutate il mondo.

Hans Magnus Enzensberger

1963

(Traduzione di Franco Fortini e Ruth Leiser)

da “Poesie per chi non legge poesia”, “Le Comete” Feltrinelli, 1964

∗∗∗

verteidigung der wölfe gegen die lämmer

soll der geier vergißmeinnicht fressen?
was verlangt ihr vom schakal,
daß er sich häute, vom wolf? soll
er sich selber ziehen die zähne?
was gefällt euch nicht
an politruks  und päpsten,
was guckt ihr blöd aus der wäsche
auf den verlogenen bildschirm?

wer näht dem general
den blutstreif  an seine hose? wer
zerlegt vor dem wucherer den kapaun?
wer hängt sich stolz das blechkreuz
vor den knurrenden nabel? wer
nimmt das trinkgeld, den silberling,
den schweigepfennig? es gibt
viel bestohlene, wenig diebe; wer
steckt die abzeichen an, wer
lechzt nach der lüge?

seht in den spiegel: feig,
scheuend die mühsal der wahrheit,
dem lernen abgeneigt, das denken
überantwortend den wölfen,
der nasenring euer teuerster schmuck,
keine täuschung zu dumm, kein trost
zu billig, jede erpressung
ist für euch noch zu milde.

ihr lämmer, schwestern sind,
mit euch verglichen, die krähen:
ihr blendet einer den andern.
brüderlichkeit herrscht
unter den wölfen:
sie gehen in rudeln.

gelobt sein die räuber: ihr,
einladend zur vergewaltigung,
werft euch aufs faule bett
des gehorsams, winselnd noch
lügt ihr, zerrissen
wollt ihr werden, ihr
ändert die welt nicht.

Hans Magnus Enzensberger

da “Verteidigung Der Wölfe”, Suhrkamp Verlag, Frankfurt a. M., 1957

Gli scomparsi – Hans Magnus Enzensberger

Nelly Sachs, 1910

per Nelly Sachs

Non li ha inghiottiti la terra. Era l’aria?
Come le arene del mare innumerevoli; non in arena
però conversi ma in nulla. A schiere
dimenticati. Spesso e di mano in mano,
come i minuti. Piú fitti di noi
ma senza ricordo. Non registrati,
non decifrabili nella polvere ma scomparsi
i loro nomi, i cucchiai, le suole.

Noi non li compiangiamo. Non può nessuno
rammentarsi di loro: sono nati,
fuggiti, morti? Dissolti
no. È senza lacune
il mondo ma lo tiene insieme solo
quel che non l’abita piú,
coloro che sono scomparsi. Essi sono dovunque.

Senza gli assenti, nulla ci sarebbe.
Senza gli esiliati, nulla sarebbe saldo.
Senza gli incommensurabili, nulla di commensurabile.
Senza i dimenticati, nulla di certo.

Gli scomparsi sono giusti.
Cosí anche noi in un’eco.

Hans Magnus Enzensberger

1963

(Traduzione di Franco Fortini e Ruth Leiser)

da “Poesie per chi non legge poesia”, “Le Comete” Feltrinelli, 1964

∗∗∗

Die verschwundenen

für Nelly Sachs

nicht die erde hat sie verschluckt. war es die luft?
wie der sand sind sie zahlreich, doch nicht zu sand
sind sie geworden, sondern zu nichte. in scharen
sind sie vergessen. häufig und hand in hand,
wie die minuten. mehr als wir,
doch ohne andenken. nicht verzeichnet,
nicht abzulesen im staub, sondern verschwunden
sind ihre namen, löffel und sohlen.

sie reuen uns nicht. es kann sich niemand
auf sie besinnen: sind sie geboren,
geflohen, gestorben? vermisst
sind sie nicht worden. lückenlos
ist die welt, doch zusammengehalten
von dem was sie nicht behaust,
von den verschwundenen. sie sind überall.

ohne die abwesenden wäre nichts da.
ohne die flüchtigen wäre nichts fest.
ohne die unermesslichen nichts ermesslich.
ohne die vergessenen nichts gewiss.

die verschwundenen sind gerecht.
so verschallen wir auch.

Hans Magnus Enzensberger

da “Die Gediche”, Frankfurt and Main: Suhrkamp, 1983

Nel libro di lettura per classi superiori – Hans Magnus Enzensberger

Michael Kenna, Double Fence, Natzweiler-Struthof, France, 1993

 

Non leggere odi, figlio mio, leggi gli orari.
Son piú esatti. Svolgi le carte di navigazione
prima che sia tardi. Vigila, non cantare.
Viene il giorno che torneranno a inchiodar liste
sulla porta e a chi dice di no dipinger sul petto
qualcosa di uncinato. Impara ad andare
senza esser conosciuto, impara piú di me:
a cambiar quartiere, passaporto, faccia.
Fai pratica di tradimento al minuto,
di sporca quotidiana salvezza. Le encicliche
sono utili per accendere il fuoco
e i manifesti per incartare burro e sale
a chi è senza difesa. Rabbia e pazienza ci vogliono
per soffiare nei polmoni del potere
la fine polvere mortale, macinata
da chi ha molto imparato,
da chi è esatto, da te.

Hans Magnus Enzensberger

1963

(Traduzione di Franco Fortini e Ruth Leiser)

da “Poesie per chi non legge poesia”, “Le Comete” Feltrinelli, 1964

∗∗∗

ins lesebuch für die oberstufe

lies keine oden, mein sohn, lies die fahrpläne:
sie sind genauer. roll die seekarten auf,
eh es zu spät ist. sei wachsam, sing nicht.
der tag kommt, wo sie wieder listen ans tor
schlagen und malen den neinsagern auf die brust
zinken. lern unerkannt gehn, lern mehr als ich:
das viertel wechseln, den paß, das gesicht.
versteh dich auf den kleinen verrat,
die tägliche schmutzige rettung. nützlich
sind die enzykliken zum feueranzünden,
die manifeste: butter einzuwickeln und salz
für die wehrlosen. wut und geduld sind nötig,
in die lungen der macht zu blasen
den feinen tödlichen staub, gemahlen
von denen, die viel gelernt haben,
die genau sind, von dir.

Hans Magnus Enzensberger

da “Verteidigung der Wölfe”, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1957

Dell’algebra dei sentimenti – Hans Magnus Enzensberger

Philippe Ramette, Irrational contemplation, 2009

 

Sovente ho la sensazione (bruciante,
oscura, indefinibile ecc.)
che l’Io non sia un dato di fatto
bensì una sensazione
di cui non mi libero.

La coltivo, le do spazio,
la corrispondo, di caso in caso.
Ma è solo una delle tante.

Le sensazioni si possono contare all’infinito,
cioè si lasciano sostanzialmente numerare,
fino alla noia.

Il numero della gelosia
è manifestamente il sette.
Anche la paura è un numero primo.
E ho la vaga sensazione
che l’umiliazione
rechi sulla fronte il 188 −
un numero senza qualità.
Anche la sensazione di essere numerato
suppongo sia da un pezzo numerata,
però: a che pro e da chi?

La sublime sensazione dell’ira
abita nel Grand Hotel di Hilbert
una stanza diversa
dalla sensazione
di essere superiori all’ira.

E solo chi è capace di darsi
alla sensazione astratta
dell’astratto sa
che questa in certe notti particolarmente chiare
suole assumere il valore di √− 1.

Poi mi corrono di nuovo i brividi
per la schiena, la sensazione
di essere un pacco,
quella non sensibile sensazione di intorpidimento
che sembra faccia scoppiare la lingua
dopo un’iniezione
quando va a saggiare un dente,
o il disagio
col suo penetrante sapore di piombo,
la potente sensazione d’impotenza
che tira irresistibilmente verso lo zero,
e la falsa sensazione
della vera emozione
con la sua orribile frazione continua.

Poi mi riempie
un’intersezione di sentimenti confusi,
colpa, estraneità, benessere, perdita,
tutte in una volta.

Soltanto alla suprema della sensazioni
l’Io sarebbe impari.
Invece di cercare di trascendere
con limite ∞,
preferisce lasciarsi sopraffare
per un minuto
dalla scossa dell’acqua gelido-bollente
sotto la doccia, il cui numero
nessuno ha ancora decifrato.

Hans Magnus Enzensberger

(Traduzione di Anna Maria Carpi)

da “Chiosco”, Einaudi, Torino, 2013

∗∗∗

Von der Algebra der Gefühle

Ich habe oft das Gefühl (brennend,
dunkel, undefinierbar usw.),
daß das Ich keine Tatsache ist,
sondern ein Gefühl,
das ich nicht loswerde.

Ich hege es, lasse ihm freien Lauf,
erwidere es, von Fall zu Fall.
Aber es ist nur eins unter vielen.

Die Menge der Gefühle ist abzahlbar unendlich,
d. h. sie lassen sich im Prinzip numerieren,
bis ins Aschgraue.

Die Nummer der Eifersucht
ist offensichtlich die Sieben.
Auch die Angst ist prim.
Und ich habe das dumpfe Gefühl,
daß die Demütigung
die 188 auf ihrer Stirn trägt –
eine Zahl ohne Eigenschaften.
Auch das Gefühl, numeriert zu sein,
ist vermutlich längst numeriert,
nur wozu und von wem?

Das erhabne Gefühl des Zorns
bewohnt ein anderes Zimmer
in Hilberts Hotel
als das Gefühl,
über den Zorn erhaben zu sein.

Und nur wer sich hingeben kann
dem abstrakten Gefühl
für die Abstraktion, der weiß,
daß es in manchen sehr hellen Nächten
den Wert √− 1 anzunehmen pflegt.

Dann wieder läuft es mir kalt
über den Rücken, das Gefühl,
ein Paket zu sein,
das gefühllose, pelzige Gefühl,
von dem die Zunge zu bersten droht
nach der Injektion,
wenn sie dem Zahn auf den Zahn fühlt,
oder die Peinlichkeit
mit ihrem durchdringenden Bleigeschmack,
das mächtige Gefühl der Ohnmacht,
das unaufhaltsam der Null zustrebt,
und das falsche Gefühl
der wahren Empfindung
mit seinem abscheulichen Kettenbruch.

Dann erfüllt mich
eine Schnittmenge aus gemischten Gefühlen,
schuldig, fremd, wohl, verloren,
alles auf einmal.

Nur dem höchsten der Gefühle
wäre das Ich nicht gewachsen.
Statt Aufwallungen zu suchen
mit dem Limes ∞,
läßt es sich lieber
eine Minute lang übermannen
vom Schauder des eisig heißen Wassers
unter der Dusche, dessen Nummer
noch keiner entziffert hat.

Hans Magnus Enzensberger

da “Kiosk”, Suhrkamp Verlag GmbH, Berlin, 1995

F. C. – Hans Magnus Enzensberger

 

Un bambino allegro: questo ci consta. In provincia a quei tempi i castelli
erano ancora tutti di legno. Nella capitale
l’acciottolato tutto intoppi e inciampi. Le sere erano quiete.
Torce, fiaccole e lanterne.

Mi rimpinzano come fossi un cavallo. Lo zar gli regala
pur sempre un diamante. Scarseggiano per altro i ricordi
di quegli anni: qualche biglietto, fiocco e violetta pressata
contro il cristallo della vetrina, souvenir di Varsavia.

Il viaggio in Occidente tira per le lunghe. Copiate sono
le mie partiture, orlati i miei fazzoletti. Parigi
ha ciottoli a sufficienza per quattromila barricate.
Le diligenze non sono puntuali. È un anno di sangue.

Eppure tutto esaurito nei teatri. Corone d’alloro, banchetti.
Tutto ciò che sinora ho veduto mi pare insopportabilmente antiquato.
Ricevimenti dai Rothschild e dai Radziwiłł. Il suo tocco discreto
sino all’estinguimento: i martelletti sfiorano appena le corde, dice Berlioz.

Nel Passage des Panoramas crepitano le lucerne a gas. È lí
che s’incontrano due emigranti. Al grande Salone d’Autunno
nella capitale del secolo decimonono fa la sua apparizione
un filosofo di Berlino. Si discute di moda. Come siamo grandi

e poetici nelle nostre scarpe di vernice e nelle nostre cravatte.
È forse una citazione? Colazione al Café Anglais. Le redingote di Dautremont:
color malva. La biancheria puro batista. L’incarnato quasi trasparente.
Congedandosi B. dice: La forza decisiva

è quella della mano sinistra ¹. Ma cos’è una forza decisiva?
Le ammiratrici: ochette colte, alta nobiltà. Sulla sua vita privata
sarebbe eccessivo ogni commento. Sono disadatto ai concerti. L’alito
del pubblico mi soffoca. Lavoratore minuzioso. Legittimista. Dandy.

Diffida d’ogni lode. Si paragona a un cipresso. Il pianoforte
è un secondo me stesso. I critici vedono «progressi».
Si atteggia a timido e scontroso, parla di mera tecnica.
Eppure per la barcarola prescrive voce sfogato: libero e spregiudicato.

Le duchesse dicono: è incantevole quel suo tossire. Una spossatezza
che difficilmente si spiega. Bagni a Enghien. Irritabilità.
Nella laringe la morte agguata. La prima emorragia,
la rivoluzione di febbraio: il mio concerto venne cancellato.

In sua vece un viaggio in Inghilterra. Suona per la regina.
Il prato è gradevole, ma quell’olezzo di carbone!
(Manca d’impegno). L’economia dei suoi lavori:
cannoni sommersi dai fiori – sommersi, o seppelliti?

Sente dolore, chiede il medico. (Vista sulla Place Vendôme).
Risposta: Non piú. Di una cattiva coscienza
non era dotato. La mano sinistra era buona.
L’implacabile foga con cui, vita natural durante,

parteggiò per il superfluo, difficilmente si spiega.

Hans Magnus Enzensberger

(Traduzione di Vittoria Alliata)

da “Mausoleum, Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso”, Einaudi, Torino, 2017

¹. «Tutti i colpi decisivi saranno assestati con la mano sinistra», osservó Walter Benjamin (indicato nel testo come B.) nel suo scritto Strada a senso unico (in W. Benjamin, Opere complete, vol. II, p. 413). Il duplice significato della parola Schlag (colpo/tocco) non puó essere reso in italiano.

∗∗∗

F. C. (1810—1849)

Ein heiteres Kind: soviel wissen wir. Die Schlösser in der Provinz
waren damals noch ganz aus Holz. In der Hauptstadt
haperte es mit dem Pflaster. Die Abende waren still.
Kienspäne, Handlaternen und Fackeln.

Sie mästen mich, als ob ich ein Pferd wäre. Immerhin,
der Zar schenkt ihm einen Diamanten. Sonst erinnert nicht viel
an diese Jahre: ein paar Billets, Schleifen, gepreßte Veilchen
unterm Glas der Vitrine, Warschauer Souvenirs.

Die Abreise nach dem Westen hat sich verzögert. Meine Partituren
sind kopiert, meine Taschentücher gesäumt. Paris
hat Pflastersteine genug für viertausend Barrikaden.
Die Kutschen sind unpünktlich. Es ist ein blutiges Jahr.

Doch die Säle sind ausverkauft. Lorbeerkränze, Bankette. Alles,
was ich bisher gesehen habe, scheint mir unerträglich veraltet.
Empfänge bei Rothschilds und Radziwiłłs. Sein Anschlag diskret
bis zum Erlöschen: Die Hämmer berühren kaum die Saiten, sagt Berlioz.

In der Passage des Panoramas zischen die Gasflammen. Dort
begegnen einander zwei Emigranten. Zum Großen Herbstsalon
in der Hauptstadt des neunzehnten Jahrhunderts erscheint
ein Philosoph aus Berlin. Man spricht über Mode. Wie groß

und poetisch wir sind in unsern Lackschuhen und Kravatten.
Ist das ein Zitat? Frühstück im Café Anglais. Die Gehröcke von Dautremont:
malvenfarben. Die Wäsche Batist. Die Gesichtsfarbe fast durchsichtig.
Zum Abschied sagt B.: Die entscheidenden Schläge

werden mit der linken Hand geführt. Aber was sind die entscheidenden Schläge?
Die Anbeterinnen: gebildete Amseln, Hochadel. Über sein Privatleben
wäre jedes Wort zuviel. Ich bin für Konzerte ungeeignet. Der Atem
der Leute erstickt mich. Minutiöser Arbeiter. Legitimist. Dandy.

Mißtraut jedem Lob. Vergleicht sich mit einer Zypresse. Das Klavier
ist mein zweites Ich. Die Kritiker sehen »Fortschritte«.
Er gibt sich abweisend, nüchtern, spricht von reiner Technik.
Doch für die Barcarole schreibt er voce sfogato vor: frei und rücksichtslos.

Die Gräfinnen sagen: Er hustet sehr anmutig. Diese Müdigkeit
ist schwer erklärlich. Bäder in Enghien. Reizbarkeit.
Im Kehlkopf sitzt etwas Tödliches. Der erste Blutsturz,
die Februar-Revolution: Mein Konzert mußte ausfallen.

Stattdessen eine Reise nach England. Er spielt vor der Queen.
Der Rasen ist angenehm, aber der Kohlengeruch!
(Mangel an Engagement). Die Ökonomie seiner Arbeiten:
unter Blumen eingesenkte Kanonen – eingesenkt, oder verschüttet?

Haben Sie Schmerzen, fragt der Arzt. (Blick auf die Place Vendôme).
Antwort: Nicht mehr. Über ein schlechtes Gewissen
verfügte er nicht. Seine linke Hand war gut.
Die Unerbittlichkeit, mit der er, Zeit seines Lebens,

für das Überflüssigste eintrat, ist schwer zu erklären.

Hans Magnus Enzensberger

da “Mausoleum. Siebenunddreißig Balladen aus der Geschichte des Fortschritts”, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1975