Canone IV – Cristina Campo

 

Il Tremendo, conoscendone l’animo
pieghevole come il salice al vento dell’idolatria,
trasfuso ch’ebbe nella divina icone
il suo indicibile sguardo sugli uomini,
volle talora sottilmente provarne
l’antico occhio di carne,
un lampo trasfondendo della suprema Maschera
in un volto di carne:
centro celato nel cerchio, essenza nella presenza,
lido inafferrabilmente coperto e riscoperto
della Somiglianza, fermo orizzonte dell’Immagine,
all’incrocio del tempo e dell’eterno,
là dove la Bellezza,
la Bellezza a doppia lama, la delicata,
la micidiale, è posta
tra l’altero dolore e la santa umiliazione,
il barbaglio salvifico e
l’ustione,
per la vivente, efficace separazione
di spirito e anima, di midolla e giuntura,
di passione e parola…
                                          O quanto ci sei duro
Maestro e Signore! Con quanti denti il tuo amore
ci morde! Ciò che dal tuo temibile
pollice luminoso è segnato
– spazio ducale tra due sopraccigli, emisferi
cristallini di tempie, sguardi senza patria quaggiù,
silenzi più remoti dell’uranico vento –
ancora e ancora, scoperta e riscoperta
la tua Cifra per ogni angolo della terra, per ogni angolo
dell’anima da te è gettata, da te è scagliata:
a testimoniare, a ferire,
a insolubilmente saldare
a inguaribilmente separare.

Cristina Campo

da “Poesie Sparse”, in “Cristina Campo, La Tigre Assenza”, Adelphi Edizioni, 1991

Diario bizantino – Cristina Campo

I

Due mondi – e io vengo dall’altro.

Dietro e dentro
le strade inzuppate
dietro e dentro
nebbia e lacerazione
oltre caos e ragione
porte minuscole e dure tende di cuoio,
mondo celato al mondo, compenetrato nel mondo,
inenarrabilmente ignoto al mondo,
dal soffio divino
un attimo suscitato,
dal soffio divino
subito cancellato,
attende il Lume coperto, il sepolto Sole,
il portentoso Fiore.

Due mondi – e io vengo dall’altro.

La soglia, qui, non è tra mondo e mondo
né tra anima e corpo,
è il taglio vivente ed efficace
più affilato della duplice lama
che affonda
sino alla separazione
dell’anima veemente dallo spirito delicato
– finché il nocciolo ben spiccato ruoti dentro la polpa –
e delle giunture dagli ossi
e dei tendini dalle midolla:
la lama che discerne del cuore
le tremende intenzioni
le rapinose esitazioni.

Due mondi – e io vengo dall’altro.

O chiave che apri e non chiudi,
chiudi e non apri e conduci
teneramente il vinto fuor della casa del carcere
e fuor dell’ombra della morte
e il senzatetto negli atrî luminosi
dei mille occhi impassibili
di chi ha compiutamente patito
e delle mani contro la notte levate
nel santo ideogramma della benedizione –
disegnati
ridisegnati
secondo gli otto toni che separano gli otto cieli
con l’erotico incenso e il ferale myron,
al centro del petto, al centro del Sole, là dove il Nome
myron effuso è il Tuo Nome!
rapisce in vortice immoto alla vita del mondo,
zampilla nuovi sensi dal mondo della morte.

II

Uno a uno vengono accesi i volti
alle radici millenarie
della selva d’icone,
per fare di giorno notte,
neve e stelle,
per far della tenebra rose
– più che rugiada trasparenti rose.
E la fiamma sboccia come il bacio all’icona
e il bacio sboccia come la rosa all’icona,
culmini della linfa della terra,
culmini del respiro dell’amore.
Ma la Luna qui
sboccia nel Sole,
la Luna partorisce il Sole.

Alla pesante pioggia
dell’altro mondo s’intesse
il soave scrosciare delle dalmatiche di questo mondo,
l’altero volo dei veli di questo mondo
inenarrabilmente ignoto al mondo.
Estatici allarmi ed appelli
d’angeli ministranti:
Le porte! Le porte!
escano i catecumeni!
Tre volte beato l’inno,
tre volte divina la folgore
teologica dei Cherubini,
ingiunge di deporre, disperdere dimenticare
ogni sollecitudine mondana.
Nessun catecumeno rimanga!

O imperiale fragranza,
olio di rosa bulgara che misteriosamente dischiudi
tra ciglia umettate l’occhio
della fronte, l’occhio del cuore, l’occhio del Nome
myron effuso è il Tuo Nome!
Macerato con sessanta aromi
su un fuoco di vecchie icone
estinte da baci da fiamme e da lacrime
per gli eoni degli eoni
ruotate tre notti
tre giorni
sulle spirali del Verbo,
stilli ora luminosa intorno al trono
del Basileo morto
dell’immortale Archiereo:
che tragicamente s’arma, aquila librata
sopra la gnostica aquila della città inviolata
dal capo alla mano alla gamba
per la terrificante operazione.
Tempo è di cominciare, Despota santo…
Nessun catecumeno rimanga!
Ruota
lentissima intorno e folgorante
siderale e selvaggia
danza d’angeli e di ghepardi…

Pànico centrifugo
e centripeto rapimento
dei cinque sensi nel turbine incandescente:
spezzato, aperto di forza l’orecchio dell’intendimento
dalla ritmata percossa delle catene d’argento;
poi, nel cosmico manto
dei tre fiumi e dei quattro quadranti
dalla lenta inaudibile benedizione:
poiché qui Dio non parla nel vento,
Dio non parla nel tuono:
parla in un piccolo alito
e ci si vela il capo per il terrore.

III

O despota ferito
che col bisturi d’oro
ad ogni sole tagli nel tondo Sole
l’Agnello immedicabile,
tagli la Luna sovrana, tagli le Stelle fisse
e le opposte galassie
(cibo di salute, cibo di pace!)
dei vivi sui due versanti della morte!
Tremendo è che nei nostri sguardi affondi
l’impassibile sguardo
di Chi ha compiutamente patito,
di Chi con la stessa mano imparte ed è impartito,
e spezzando è spezzato,
immolando immolato,
mangiato e mai consumato

(con desiderio ho desiderato…)
Tremendo che a ciascuno
sia di nuovo irrevocabilmente assegnato
per gli eoni degli eoni
come nell’Eden il suo nome e il suo cibo.

Faccia a terra le incorporee Legioni,
gli Arcistrateghi di luce,
i nostri denti affondano nelle carni dei cieli…
Ma le nostre bocche mai svezzate,
in eterno grondanti la purpurea
gloria ciecamente donata
e ciecamente ricevuta,
si ostinano a impetrare
(con desiderio ho desiderato)
per te, per te, signore,
la pace che sovrasta ogni ragione,
ogni intendimento, ogni tradimento: la pace
che non ti possiamo dare…

Lungo l’intero giorno,
lungo l’intera via che porta a questo mondo
e cancella ogni via che porti a questo mondo,
lungo la dura tenda
di pioggia e lacerazione
di caos e di ragione,
lungo i due fili della duplice lama
di intenzioni e di esitazioni
come te, come te, signore,
noi siamo consegnati a quella morte
che con più denti dell’amore morde
e separa la rosa
dal bacio e dalla fiamma e dalle stelle le nevi
e l’emozione dall’intellezione
e il mondo ricompone
ma atrocemente, ma come attraverso il fuoco,
per chi, Despota puro, dal puro Nome sarà salvato
e dal sepolto Sole e
dal tremendo
Dono.

IV

Nell’oro e nell’azzurro
di questo minimo cosmo
loculo d’antichissimo colombario,
gyrum coeli circuisti sola,
neonata parola
du kleine, waffenlose Dichterin! Per un’ora
nei padiglioni del tuo Creatore
gyrum coeli giocando ti fu ridato
l’anello bianco di San Vitale
la costellazione sovranamente immota,
sovranamente ordinata
intorno al sole del temporale signore
e del signore spirituale:
i cento occhi cherubinici non fissi su di te
ma sugli augusti deserti che dovrai traversare
che ti dovranno traversare.
Dai cigli sconfinati
sopra il latteo pallio di Massimiliano
alla stola color foglia del fanciullo di frange nere
che, rosa
– più che neve trasparente rosa –
lascia tremar sul cero la fiamma come un bacio,
lascia tremar l’aër, neve leggera,
e lo sciàmito purpureo sul Calice che non è dato
durante cinquanta giorni
nemmeno contemplare…

O Coppa dei Misteri che bolle e non trabocca,
come il tuo sangue, specchio del tuo Sole!
o tacere dei canti, polverizzato il cuore!
Cocente, celestiale,
cadenzato dolore
che, neonata, giocando dinanzi al tuo Creatore,
circuisti sola.

Cristina Campo

da “La Tigre Assenza”, Adelphi Edizioni, 1991

Oltre il tempo, oltre un angolo – Cristina Campo

 

What sorrow
beside your sadness
and what beauty
W.C. Williams

Troppe cose hanno accolto le tue palpebre
l’attenzione t’ha consumato le ciglia.
Troppe vie t’hanno ripetuta,
stretta, inseguita.

La città da secoli ti divora
ma per te travede, sogno e sfacelo,
di luci e piogge, lacrime senili
sulla ragazza che passa
febbrile, indomabile, oltre il tempo, oltre un angolo.

Ritorna! Gridano i vecchi di Santa Maria del Pianto,
la ronda della piscina di Siloè
con i cani, gl’ibridi, gli spettri
che non si sanno e tu sai
radicati con te
nel glutine blu dell’asfalto
e credono al tuo fiore che avvampa, bianco −

poiché tutti viviamo di stelle spente.

Cristina Campo

da “Poesie Sparse”, in “Cristina Campo, La Tigre Assenza”, Adelphi, 1991

«Devota come ramo» – Cristina Campo

 

Devota come ramo
curvato da molte nevi
allegra come falò
per colline d’oblio,

su acutissime làmine
in bianca maglia d’ortiche,
ti insegnerò, mia anima,
questo passo d’addio…

Cristina Campo

da “Passo d’addio”, “All’Insegna del pesce d’oro”, Scheiwiller, Milano, 1956

«Si ripiegano i bianchi abiti estivi» – Cristina Campo

Foto di Nina Leen

 

Si ripiegano i bianchi abiti estivi
e tu discendi sulla meridiana,
dolce Ottobre, e sui nidi.

Trema l’ultimo canto nelle altane
dove sole era l’ombra ed ombra il sole,
tra gli affanni sopiti.

E mentre indugia tiepida la rosa
l’amara bacca già stilla il sapore
dei sorridenti addii.

Cristina Campo

da “Passo d’addio”, “All’Insegna del pesce d’oro”, Scheiwiller, Milano, 1956