Nubi – Jorge Louis Borges

Foto di Tommy Ingberg

                             

I

Non vi sarà mai cosa che non sia
una nube. Lo son le cattedrali
di vasta pietra e bibliche vetrate
che il tempo spianerà. Lo è l’Odissea,
che cambia come il mare. Se la riapri
sempre cambia qualcosa. Anche il riflesso
del tuo viso è già un altro nello specchio
ed il giorno è un dubbioso labirinto.
Siamo chi se ne va. La numerosa
nuvola che si disfa all’occidente
è nostra effigie. Incessantamente
la rosa si tramuta in altra rosa.
Sei nuvola, sei mare, sei l’oblio.
Sei anche tutto quello che hai smarrito.

                                         

                                         II

Vanno per l’aria placide montagne
oppure cordigliere d’ombre tragiche
che oscurano il giorno. Le chiamiamo
nuvole. Hanno sempre forme strane.
Shakespeare ne osservò una. Somigliava
a un drago. Quella nube di una sera
risplende e brucia nella sua parola
e ancora seguitiamo a rivederla.
Le nuvole che sono? Architettura
del caso? Forse Dio ne necessita
per eseguire l’opera infinita:
sono i fili della Sua trama oscura.
Forse la nube non è meno vana
dell’uomo che la guarda nel mattino.

Jorge Louis Borges

(Traduzione di Domenico Porzio e Hado Lyria)

da “I congiurati”, “Lo Specchio” Mondadori, 1986

***

Nubes

                                           I

No habrá una sola cosa que no sea
una nube. Lo son las catedrales
de vasta piedra y bíblicos cristales
que el tiempo allanará. Lo es la Odisea,
que cambia como el mar. Algo hay distinto
cada vez que la abrimos. El reflejo
de tu cara ya es otro en el espejo
y el día es un dudoso laberinto.
Somos los que se van. La numerosa
nube que se deshace en el poniente
es nuestra imagen. Incesantemente
la rosa se convierte en otra rosa.
Eres nube, eres mar, eres olvido.
Eres también aquello que has perdido.

                                           II

Por el aire andan plácidas montañas
o cordilleras trágicas de sombra
que oscurecen el día. Se las nombra
nubes. Las formas suelen ser extrañas.
Shakespeare observó una. Parecía
un dragón. Esa nube de una tarde
en su palabra resplandece y arde
y la seguimos viendo todavía.
¿Qué son las nubes? ¿Una arquitectura
del azar? Quizá Dios las necesita
para la ejecución de Su infinita
obra y son hilos de la trama oscura.
Quizá la nube sea no menos vana
que el hombre que la mira en la mañana.

Jorge Louis Borges

da “Los conjurados”, Alianza, Madrid, 1985

I giusti – Jorge Luis Borges

Ferdinando Scianna, Jorge Luis Borges, Palermo, Sicilia, 1984

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere un’etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sur giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che premedita un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.

Jorge Luis Borges

(Traduzione di Domenico Porzio)

da “La cifra”, “Lo Specchio” Mondadori, 1981

∗∗∗

Los Justos

Un hombre que cultiva un jardín, como quería Voltaire.
El que agradece que en la tierra haya música.
El que descubre con placer una etimología.
Dos empleados que en un café del Sur juegan un silencioso ajedrez.
El ceramista que premedita un color y una forma.
Un tipógrafo que compone bien esta página, que tal vez no le agrada
Una mujer y un hombre que leen los tercetos finales de cierto canto.
El que acaricia a un animal dormido.
El que justifica o quiere justificar un mal que le han hecho.
El que agradece que en la tierra haya Stevenson.
El que prefiere que los otros tengan razón.
Esas personas, que se ignoran, están salvando el mundo.

Jorge Luis Borges

da “La Cifra”, Alianza Editorial S.A. Madrid, 1981

Scorrere o essere – Jorge Luis Borges

Jorge Luis Borges

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scorre nel cielo il Reno? C’è una forma
universale del Reno, c’è un archetipo,
che invulnerabile all’altro Reno, il tempo,
dura e perdura in un eterno Adesso
ed è sorgente del Reno che in Germania
segue il suo corso mentre io detto il verso?
Così lo congetturano i platonici;
così non la pensò Guglielmo d’Occam.
Disse che il Reno (la cui etimologia
è rinan, scorrere) non è altra cosa
che un arbitrario nome che gli uomini
danno alla fuga secolar dell’acqua
giù dai ghiacciai fino all’estrema spiaggia.
Può essere. Che altri lo decidano.
Esisto appena? ripeto la serie
di bianchi giorni e di buie notti
che amarono e cantarono, che lessero
e partirono paura e speranza,
o altro vi sarà, quell’io segreto
la cui forma oggi svanita
ho interrogato nell’ansioso specchio?
Forse dall’altro lato della morte
saprò se fui parola o fui qualcuno.

Jorge Luis Borges

(Traduzione di Domenico Porzio)

da “La cifra”, “Lo Specchio” Mondadori, 1982

∗∗∗

Correr o ser

¿Fluye en el cielo el Rhin? ¿Hay una forma
universal del Rhin, un arquetipo,
que invulnerable a ese otro Rhin, el tiempo,
dura y perdura en un eterno Ahora
y es raíz de aquel Rhin, que en Alemania
sigue su curso mientras dicto el verso?
Así lo conjeturan los platónicos;
así no lo aprobó Guillermo de Occam.
Dijo que Rhin (cuya etimología
es rinan o «correr») no es otra cosa
que un arbitrario apodo que los hombres
dan a la fuga secular del agua
desde los hielos a la arena última.
Bien puede ser. Que lo decidan otros.
¿Seré apenas, repito, aquella serie
de blancos días y de negras noches
que amaron, que cantaron, que leyeron
y padecieron miedo y esperanza
o también habrá otro, el yo secreto
cuya ilusoria imagen, hoy borrada,
he interrogado en el ansioso espejo?
Quizá del otro lado de la muerte
sabré si he sido una palabra o alguien.

Jorge Luis Borges

da “La Cifra”, Alianza Editorial S.A. Madrid, 1981

L’apice – Jorge Luis Borges

José María Fernández, Jorge Luis Borges, Hôtel des Beaux Arts, Paris, 1969

 

Non ti potrà salvare ciò che scrissero
Coloro che la tua paura implora;
Tu non sei gli altri e ti vedi ora
Centro del labirinto che tramarono
I tuoi passi. Non ti salva l’agonia
Di Gesù o di Socrate né il forte
Aureo Siddharta che accettò la morte
In un giardino, al declinar del giorno.
Polvere è pure la parola scritta
Dalla tua mano o il verbo pronunciato
Dalla tua bocca. Non perdona il Fato
E la notte di Dio è infinita.
Tu sei fatto di tempo, di incessante
Tempo. Sei ogni solitario istante.

Jorge Luis Borges

(Traduzione di Domenico Porzio)

da “La cifra”, “Lo Specchio” Mondadori, 1982

***

El ápice

No te habrá de salvar lo que dejaron
Escrito aquellos que tu miedo implora;
No eres los otros y te ves ahora
Centro del laberinto que tramaron
Tus pasos. No te salva la agonía
De Jesús o de Sócrates ni el fuerte
Siddharta de oro que aceptó la muerte
En un jardín, al declinar el día.
Polvo también es la palabra escrita
Por tu mano o el verbo pronunciado
Por tu boca. No hay lástima en el Hado
Y la noche de Dios es infinita.
Tu materia es el tiempo, el incesante Tiempo.
Eres cada solitario instante.

Jorge Luis Borges

da “La cifra”, Alianza Editorial, S. A. Madrid, 1981

Elogio dell’ombra – Jorge Luis Borges

Ferdinando Scianna, Jorge Luis Borges, Palermo, Sicilia, 1984

 

La vecchiaia (è questo il nome che gli altri le danno)
può essere il tempo della nostra felicità.
L’animale è morto o è quasi morto.
Rimangono l’uomo e la sua anima.
Vivo tra forme luminose e vaghe
che non sono ancora le tenebre.
Buenos Aires,
che prima si lacerava in suburbi
verso la pianura incessante,
è diventata di nuovo la Recoleta, il Retiro,
le sfocate case dell’Once
e le precarie e vecchie case
che chiamiamo ancora il Sur.
Nella mia vita sono sempre state troppe le cose;
Democrito di Abdera si strappò gli occhi per pensare;
il tempo è stato il mio Democrito.
Questa penombra è lenta e non fa male;
scorre per un mite pendio
e assomiglia all’eternità.
I miei amici non hanno volto,
le donne sono quel che erano molti anni fa,
gli incroci delle strade potrebbero essere altri,
non ci sono lettere sulle pagine dei libri.
Tutto questo dovrebbe intimorirmi,
ma è una dolcezza, un ritorno.
Delle generazioni di testi che ci sono sulla terra
ne avrò letti solo alcuni,
quelli che continuo a leggere nella memoria,
a leggere e a trasformare.
Dal Sud, dall’Est, dall’Ovest, dal Nord,
convergono i cammini che mi hanno portato
nel mio segreto centro.
Quei cammini furono echi e passi,
donne, uomini, agonie, resurrezioni,
giorni e notti,
dormiveglia e sogni,
ogni infimo istante dello ieri
e di tutti gli ieri del mondo,
la ferma spada del danese e la luna del persiano,
gli atti dei morti,
il condiviso amore, le parole,
Emerson e la neve e tante cose.
Adesso posso dimenticarle. Arrivo al mio centro,
alla mia algebra, alla mia chiave,
al mio specchio.
Presto saprò chi sono.

Jorge Luis Borges

(Traduzione di Livio Bacchi Wilcock)

da “Jorge Luis Borges, Poesie”, BUR, Milano, 2004 

***

Elogio de la sombra

La vejez (tal es el nombre que los otros le dan)
puede ser el tiempo de nuestra dicha.
El animal ha muerto o casi ha muerto.
Quedan el hombre y su alma.
Vivo entre formas luminosas y vagas
que no son aún la tiniebla.
Buenos Aires,
que antes se desgarraba en arrabales
hacia la llanura incesante,
ha vuelto a ser la Recoleta, el Retiro,
las borrosas calles del Once
y las precarias casas viejas
que aún llamamos el Sur.
Siempre en mi vida fueron demasiadas las cosas;
Demócrito de Abdera se arrancó los ojos para pensar;
el tiempo ha sido mi Demócrito.
Esta penumbra es lenta y no duele;
fluye por un manso declive
y se parece a la eternidad.
Mis amigos no tienen cara,
las mujeres son lo que fueron hace ya tantos años,
las esquinas pueden ser otras,
no hay letras en las páginas de los libros.
Todo esto debería atemorizarme,
pero es una dulzura, un regreso.
De las generaciones de los textos que hay en la tierra
sólo habré leído unos pocos,
los que sigo leyendo en la memoria,
leyendo y transformando.
Del Sur, del Este, del Oeste, del Norte,
convergen los caminos que me han traído
a mi secreto centro.
Esos caminos fueron ecos y pasos,
mujeres, hombres, agonías, resurrecciones,
días y noches,
entresueños y sueños,
cada ínfimo instante del ayer
y de los ayeres del mundo,
la firme espada del danés y la luna del persa,
los actos de los muertos,
el compartido amor, las palabras,
Emerson y la nieve y tantas cosas.
Ahora puedo olvidarlas. Llego a mi centro,
a mi álgebra y mi clave,
a mi espejo.
Pronto sabré quién soy.

Jorge Luis Borges

da “Elogio de la sombra”, Emecé Editores, Buenos Aires, 1969