Il lago di Ballynahinch – Seamus Heaney

Foto di Gerard Laurenceau

Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Leopardi, Il sabato del villaggio
a Eamon Grennan

Così ci fermammo e parcheggiammo nella rinnovante luce primaverile
del Connemara in una domenica mattina
mentre una luminosità accattivante reggeva e si apriva
e la montagna assoluta rispecchiata nel lago
entrava in noi come un cuneo spinto dolcemente a fondo
nel durame.
                      Non troppo lontano
ma abbastanza perché il chiasso non si sentisse,
una coppia di uccelli d’acqua zampettava su e giù
senza sosta. D’un tratto quel loro bianco flettersi
che avrebbe potuto essere eccitazione o spasmi di morte
si trasformò in decollo, curve e discese profonde e sicure
sopra l’acqua – non anime che sfiorano le travi del tetto
traducendosi dentro e fuori la casa della vita
bensì sollevatori d’aria, molto più pesanti dell’aria.

Eppure qualcosa in noi si era liberato dall’ingombro
a quella vista, così quando lei si piegò
per girare la chiave la girò solo a metà
e parlò, per così dire, direttamente al parabrezza,
di profilo e pensierosa, con le braccia tese sul volante,
affermando che questa volta, sì, era stato veramente
utile fermarsi; poi corrucciò le sopracciglia da guidatrice
che tremarono un poco quando il motore si accese.

Seamus Heaney

(Traduzione di Luca Guerneri)

da “Seamus Heaney, Poesie”, “I Meridiani” Mondadori, 2016

Pentametri giambici non rimati.
Or volge l’anno: An Anthology of lrish Poets Responding to Leopardi, ed. by Marco Sonzogni, Dedalus Press, Dublin 1998, pp. 146-7.
   Questa poesia fu commissionata per un volume commemorativo del bicentenario della nascita di Giacomo Leopardi. Lo scenario geografico e psicologico ricorda quello di The Peninsula (in Door into the Dark), di Squarings XLVIII (in Seeing Things) e di Postscript (in The Spirit Level): un viaggio in macchina (il lago di Ballynahinch è nel Connemara) è ancora occasione epifanica generata dalla sovrapposizione del paesaggio naturale e di quello interiore. A differenza di Postscript, dove era stato ritenuto «inutile pensare di parcheggiare e catturare tutto / più interamente», ora «sì, era stato veramente / utile fermarsi». Ballynahinch Lake ha una “trazione terrena”: la realizzazione che «il mondo mortale» può «bastare» ( Stepping Stones, p.366). Il particolare del cuneo piantato nel legno e quello degli uccelli più pesanti dell’aria che si levano da terra a fatica («non anime che sfiorano le travi del tetto / traducendosi dentro e fuori la casa della vita» allude all’apologo narrato da Beda, per cui si veda il commento a Bone Dreams, in North) trasmettono l’idea di terrestrità della scena. La loro vista, tuttavia, infonde nei due spettatori un senso di leggerezza.
Eamonn Grennan (1941), dedicatario della poesia, è un poeta irlandese e traduttore di Leopardi. (Marco Sonzogni)

∗∗∗

Ballynahinch Lake

Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Leopardi, Il sabato del villaggio
for Eamon Grennan

So we stopped and parked in the spring-cleaning light
Of Connemara on a Sunday morning
As a captivating brightness held and opened
And the utter mountain mirrored in the lake
Entered us like a wedge knocked sweetly home
Into core timber.
                            Not too far away
But far enough for their rumpus not to carry,
A pair of waterbirds splashed up and down
And on and on. Next thing their strong white flex
That could have been excitement or the death-throes
Turned into lift-off, big sure sweeps and dips
Above the water – no rafter-skimming souls
Translating in and out of the house of life
But air-heavers, far heavier than the air.

Yet something in us had unhoused itself
At the sight of them, so that when she bent
To turn the key she only half-turned it
And spoke, as it were, directly to the windscreen,
In profile and in thought, the wheel at arm’s length,
Averring that this time, yes, it had indeed
Been useful to stop; then inclined her driver’s brow
Which shook a little as the ignition fired.

Seamus Heaney

da “Electric Light”, Faber & Faber, 2010

Un aquilone per Aibhín – Seamus Heaney

Maura Sullivan, Alexandra in the garden

da “L’aquilone” di Giovanni Pascoli  (1855–1912)

Aria d’altra vita e tempo e luogo,
aria celestina, sostiene
un’ala bianca che batte alta contro la brezza,

e sì, è un aquilone! Come quando un pomeriggio
ci muovemmo in gruppi tutti noi
tra siepi di rovo e la nuda albaspina,

di nuovo in posizione, mi fermo di fronte
alla collina di Anahorish per scrutare il turchino,
torno in quel campo per lanciare la nostra caudata cometa.

E ora sbalza, vira, affonda di sbieco, pencola,
si rialza, segue il vento sino a quando
s’innalza tra le nostre grida da sotto.

S’innalza e la mia mano è come un fuso
che si svolge, l’aquilone un fiore dallo stelo sottile
in ascesa, e porta lontano, più e più lontano, più in alto

il petto anelo e i piedi piantati
e la pupilla che guarda e il cuore di chi lo fa volare
sinché il filo si spezza e – separato, giubilante –

l’aquilone spicca il volo, solo, aperto colpo d’ala.

Seamus Heaney

(Traduzione di Luca Guerneri)

da “Catena umana”, “Lo Specchio” Mondadori, 2011

∗∗∗

A Kite for Aibhín

after ‘L’Aquilone’ by Giovanni Pascoli (1855–1912)

Air from another life and time and place,
Pale blue heavenly air is supporting
A white wing beating high against the breeze,

And yes, it is a kite! As when one afternoon
All of us there trooped out
Among the briar hedges and stripped thorn,

I take my stand again, halt opposite
Anahorish Hill to scan the blue,
Back in that field to launch our long-tailed comet.

And now it hovers, tugs, veers, dives askew,
Lifts itself, goes with the wind until
It rises to loud cheers from us below.

Rises, and my hand is like a spindle
Unspooling, the kite a thin-stemmed flower
Climbing and carrying, carrying farther, higher

The longing in the breast and planted feet
And gazing face and heart of the kite flier
Until string breaks and – separate, elate –

The kite takes off, itself alone, a windfall.

Seamus Heaney

da “Human Chain”, Faber and Faber Ltd, 2010

Là nei giardini dei salici – William Butler Yeats

Amedeo Bocchi, Ritratto di Bianca, 1924

 

Fu là nei giardini dei salici che io e la mia amata ci incontrammo;
Ella passava là per i giardini con i suoi piccoli piedi di neve.
M’invitò a prendere amore così come veniva, come le foglie crescono sull’albero;
Ma io, giovane e sciocco, non volli ubbidire al suo invito.
Fu in un campo sui bordi del fiume che io e la mia amata ci arrestammo,
E lei posò la sua mano di neve sulla mia spalla inclinata.
M’invitò a prendere la vita così come veniva, come l’erba cresce sugli argini;
Ma io ero giovane e sciocco, e ora son pieno di lacrime.

William Butler Yeats

(Traduzione di Roberto Sanesi)

da “W. B. Yeats, Poesie”, Mondadori, Milano, 1974

***

Down by the Salley Gardens

Down by the salley gardens my love and I did meet;
She passed the salley gardens with little snow-white feet.
She bid me take love easy, as the leaves grow on the tree;
But I, being young and foolish, with her would not agree.
In a field by the river my love and I did stand,
And on my leaning shoulder she laid her snow-white hand.
She bid me take life easy, as the grass grows on the weirs;
But I was young and foolish, and now am full of tears.

William Butler Yeats

da “Crosswayas” (1889), in “The Collected Poems of W. B. Yeats”, Macmillan, 1933

Ephemera – William Butler Yeats

Florence Henri, Portrait Composition, 1931

 

“ Gli occhi tuoi insaziati un giorno ai miei
sotto palpebre pendule dolenti
piegano, ché l’amore nostro muore ”.
Ed ella: “ Se anche muore il nostro amore,
sulla riva del lago solitaria
nell’ora di soavità che stanca

indugiamo una volta ancora insieme
la povera fanciulla Passione
cade nel sonno: ormai quanto lontane
mi sembrano le stelle e il primo bacio
quanto lontano e vecchio ormai il mio cuore! ”
Camminavano sulle foglie morte,
pensosi; ed egli tardi rispondeva
tra le sue trattenendo quelle mani:
“ Ha devastato già la Passione
sovente i nostri cuori vagabondi .”
Intorno si stendevano le selve
e cadevano foglie gialle come
appassite meteore nel buio;
d’improvviso un coniglio vecchio e storpio
discese zoppicando pel sentiero:
l’invadeva l’autunno: e un’altra volta
sulla riva del lago solitaria
indugiarono: egli, volto, vide ch’ella
aveva insinuato foglie morte,
in silenzio raccolte, umide come
i suoi occhi, nel petto e tra i capelli.
“ Ah, non ti rattristare ” egli diceva
“ che siamo stanchi, poi che nuovi amori
ci attendono; nell’odio e nell’amore
trascorri l’ore tue senza lamento.
È avanti a noi l’eternità; le nostre
anime sono amore e addio perenne ”.

William Butler Yeats

(Traduzione di Leone Traverso)

da “Poesie”, Vallecchi, Firenze, 1973

***

Ephemera

‘Your eyes that once were never weary of mine
Are bowed in sorrow under pendulous lids,
Because our love is waning’
                                                   And then she:
‘Although our love is waning, let us stand
By the lone border of the lake once more,
Together in that hour of gentleness
When the poor tired child, Passion, falls asleep:
How far away the stars seem, and how far
Is our first kiss, and ah, how old my heart!’

Pensive they paced along the faded leaves,
While slowly he whose hand held hers replied:
‘Passion has often worn our wandering hearts.’

The woods were round them, and the yellow leaves
Fell like faint meteors in the gloom, and once
A rabbit old and lame limped down the path;
Autumn was over him: and now they stood
On the lone border of the lake once more:
Turning, he saw that she had thrust dead leaves
Gathered in silence, dewy as her eyes,
In bosom and hair.
                                   ‘Ah, do not mourn,’ he said,
‘That we are tired, for other loves await us;
Hate on and love through unrepining hours.
Before us lies eternity; our souls
Are love, and a continual farewell.’

William Butler Yeats

da “Crosswayas” (1889), in “The Collected Poems of W. B. Yeats”, Macmillan, 1933

Album – Seamus Heaney

Foto di Henri Cartier-Bresson

I

La caldaia a gasolio si ridesta adesso
brusca, sonnolenta come il crollo puntuale
di un albero segato, mi pare di vederli

d’estate, deve essere stata quella la stagione,
e il luogo, ora mi ritorna in mente,
forse Grove Hill prima del taglio delle querce,

stavo spesso là con loro certe domeniche ariose
affondato tra le campanule in cima alla collina, gli occhi
verso i quattro campanili di Magherafelt, in distanza.

Troppo tardi, ahimè, ora per la citazione adatta
a un amore comprovato da uno sguardo saldo
non l’uno verso l’altra bensì nella stessa direzione.

II

Quercus, la quercia. E Quaerite, Cercate,
tra foglie verdi e ghiande a mosaico
(l’insegna della nostra scuola sormontata da columba,

colomba della chiesa, del sacro boschetto di Derry)
il motto strusciato di passi resisteva indelebile:
Cercate anzitutto il regno di Dio… Retto

me ne stavo nell’atrio dei locali per matricole
un grigio occhio si volgerà indietro
scorgendo in loro una coppia, lo vedo ora,

per la prima volta, ancora di più insieme
perché costretti a voltarsi, andare via, tanto vicini
nel partire (o più vicini) quanto nel giungere.

III

Inverno e sono andati al mare
per il pranzo nuziale. Io siedo al tavolo
non invitato, ineluttabile.

Stridio di gabbiani. Odore di pesce che cuoce.
Pingue argento dormiente. Silenzio spiaggiato. Lacrime.
La cameriera in pettorina scoperchia un piatto tintinnante

e a quello li lascia, sotto i lampadari
e a tutti gli anniversari di quel giorno
che mai celebreranno

o perfino nomineranno negli anni a venire.
E ora l’uomo che li ha condotti lì in auto
li riporterà indietro e per sera saremo a casa.

IV

Avessi dovuto abbracciarlo da qualche parte
sarebbe dovuto accadere sulla riva del fiume
l’estate prima della scuola, lui nel fiore degli anni,

io che allora non pensavo si sentisse in dovere
di venire con me perché presto sarei partito.
Avrebbe dovuto essere la prima, non accadde.

La seconda sì, a New Ferry una sera
che era ubriaco fradicio e gli servì una mano
per abbottonarsi i pantaloni. E la terza

sul pianerottolo, la sua ultima settimana
mentre lo portavo in bagno, il braccio destro
a farsi carico del palmato peso sottobraccio.

V

Un nipote, ci volle, che trovasse il modo giusto,
il balzo su di lui in poltrona
e un blitz d’attacco al collo

dimostrando così la sua vulnerabilità al piacere.
Prova che giunge come spesso per le grandi prove
con improvvisa eccezione seguita dal chiarirsi costante

di qualunque cosa erat demostrandum.
Proprio quando un istante prima, i tre tentativi di un figlio
di abbracciarlo in Elisio

risalirono sin nel vero delle braccia, dentro e fuori
dalla radice latina, il fantasmatico
verus sgusciato fuori da “vero”.

Seamus Heaney

(Traduzione di Luca Guerneri)

da “Catena umana”, “Lo Specchio” Mondadori, 2011

***

Album

I

Now the oil-fired heating boiler comes to life
Abruptly, drowsily, like the timed collapse
Of a sawn down tree, I imagine them

In summer season, as it must have been,
And the place, it dawns on me,
Could have been Grove Hill before the oaks were cut,

Where I’d often stand with them on airy Sundays
Shin-deep in hilltop bluebells, looking out
At Magherafelt’s four spires in the distance.

Too late, alas, now for the apt quotation
About a love that’s proved by steady gazing
Not at each other but in the same direction.

II

Quercus, the oak. And Quaerite, Seek ye.
Among green leaves and acorns in mosaic
(Our college arms surmounted by columba,

Dove of the church, of Derry’s sainted grove)
The footworn motto stayed indelible:
Seek ye first the Kingdom… Fair and square

I stood on in the Junior House hallway
A grey eye will look back
Seeing them as a couple, I now see,

For the first time, all the more together
For having had to turn and walk away, as close
In the leaving (or closer) as in the getting.

III

It’s winter at the seaside where they’ve gone
For the wedding meal. And I am at the table,
Uninvited, ineluctable.

A skirl of gulls. A smell of cooking fish.
Plump dormant silver. Stranded silence. Tears.
Their bibbed waitress unlids a clinking dish

And leaves them to it, under chandeliers.
And to all the anniversaries of this
They are not ever going to observe

Or mention even in the years to come.
And now the man who drove them here will drive
Them back, and by evening we’ll be home.

IV

Were I to have embraced him anywhere
It would have been on the riverbank
That summer before college, him in his prime,

Me at the time not thinking how he must
Keep coming with me because I’d soon be leaving.
That should have been the first, but it didn’t happen.

The second did, at New Ferry one night
When he was very drunk and needed help
To do up trouser buttons. And the third

Was on the landing during his last week,
Helping him to the bathroom, my right arm
Taking the webby weight of his underarm.

V

It took a grandson to do it properly,
To rush him in the armchair
With a snatch raid on his neck,

Proving him thus vulnerable to delight,
Coming as great proofs often come
Of a sudden, one-off, then the steady dawning

Of whatever erat demonstrandum.
Just as a moment back a son’s three tries
At an embrace in Elysium

Swam up into my very arms, and in and out
Of the Latin stem itself, the phantom
Verus that has slipped from ‘very’.

Seamus Heaney

da “Human Chain”, Faber and Faber Ltd, 2010