
Jiří Orten
Quaderno azzurro, mi congedo da te. Per tanto tempo. E forse per sempre. È la notte del tredici marzo millenovecentotrentanove… Sono un Arthur Rimbaud, che non è diventato tale. Sono un Arthur Rimbaud, che ha avuto un diverso coraggio…
Jiří Orten
17.3.1939
(Traduzione di Giovanni Giudici e Vladimír Mikeš)
da “La cosa chiamata poesia”, Einaudi, Torino, 1969
***
«Modrá knížko, já se s tebou loučím.»
Modrá knížko, já se s tebou loučím. Na dlouho. A možná na vždycky. Je noc třináctého března třicet devět. Je take zbytečné říkat cokoli o «bylo mi řečeno». Jsem Artur Rimbaud, který se jím nestal. Jsem Artur Rimbaud, jemuž odvaha stala se jinou.
Jiří Orten
da “Deníky Jiřího Ortena”, Československý spisovatel, Praha, 1958
Confinata nel breve arco di ventidue anni e di poco piú di un triennio di vera attività, la vita di Jiří Orten (Ohrenstein, al secolo) ha lasciato a sua propria testimonianza un’opera poetica che, nella storia della letteratura cèca, è fondamentale e che resta comunque significativa. Orten aveva la coscienza del proprio valore e forse anche di quella che sarebbe stata la sua possibile grandezza: «Sono un Arthur Rimbaud che non è diventato tale. Sono un Arthur Rimbaud che ha avuto un diverso coraggio…», scriveva il 13 marzo 1939 nel suo diario di non ancora ventenne. Che cosa potrebbe essere questo diverso coraggio? Essere andato verso il centro e verso il fondo, anziché (e nell’impossibilità di) viaggiare anche lui verso una sua propria Abissinia? Avere risposto alla sfida della realtà – «changer la vie» è un compito universale, non soltanto riservato ai poeti – esorcizzandola, ibernandola viva nella scrittura?
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Giovanni Giudici e Vladimír Mikeš, dall’introduzione di “Jiří Orten, La cosa chiamata poesia”, Einaudi, Torino, 1969
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