
Oskar Schlemmer
39.
Nella mia tristezza entravano masnade
di pierrots, di pagliacci, di stracci sgargianti,
ma soprattutto ragazze dal muso di topo,
argentee donnine di pasta lunare,
gentiluzze con occhi come bragia di fuoco,
desiderabili, desiderabili.
«Fedeltà» è una parola che trasciniamo a fatica,
bruciata come il legno di una chitarra zigana:
senza la mia unica donna mi mancava la vita,
ma le altre, tuffolotte, premevano con sguardi succhiosi
e con popolline mature, bramose di darsi buon tempo.
Ecco Violante tra i capelli di rame di un fràssino
in un caffè di Kufstein, ma frenetiche turbe
di claudicanti vecchiacce sbucate da tane di tassi,
con ricciolini e cappelli a cloche, Dio ci salvi,
dimenando un nodoso Alpenstock, mi garrivano:
«Stop, torna subito dalla tua unica! ». E le Alpi
azzurre ripetevano: «Fedeltà! », come corvi.
E se Aquilia Zborowska dai guanti glacés fino al gomito
e dal collo lungo lunghissimo mi accarezzava le mani,
chiamandomi: «Dolce mia fiamma», «Idol mio»,
di colpo la gaglioffesca fanfara di pece dei corvi:
«Non si può. Non si deve.
Dove vai? Dove corri?
Parlane prima con Modigliani».
Dicono che la vita sia breve
e che il poeta sia un impostore,
ma è bello che mille occhi di donne
come semi di mele scintillino
dai margini verdi della città del tuo cuore.
Angelo Maria Ripellino
da “Das letze Varieté”, in “Lo splendido violino verde”, Einaudi, Torino, 1976