
Édouard Boubat, Lella, Bretagne, 1847
Ho amato addolcire l’amarezza
quando era più profonda
come una brezza non sa quel che sfiora,
ho amato dire no, dire sì
davanti all’incertezza come se
ne sapessi qualcosa, come l’onda
ne sapesse qualcosa della sponda.
Era in te
che cresceva il profumo di una rosa
rapito dall’odorare del vento,
in te che l’orrore e la dolcezza
rendevano immedicabile, impossibile.
Ho amato con quel goccio di angostura,
nella tua lacrima più pura,
amareggiare il tuo sguardo che dura
al di là di ogni pianto, cristallino
a versare natura nell’enigma.
Sei la speranza e la disperazione.
La lezione non è finita, il kérigma
trema più a fondo quanto più a fondo
incide e fruga dentro la ferita.
La passione più alta dell’amore
ne è al di là: è la sua compassione
il fragile tremare di un filo
d’erba nel vento. Forse l’agitarsi
di ogni atto è nel cuore dell’evento
l’occulta felicità del dolore.
Ti ho atteso dove sapevo
che non saresti passata
per dirti, mia fata, quanto ti amo.
Non misuravo la distanza, l’essere
non ha distanza, ma solo dolore
mentre lavora l’esistenza e mira
a ferire il non essere che è
il suo più oscuro essere nel cuore.
Piero Bigongiari
28-29 agosto 1991
da “Radure”, in “Dove finiscono le tracce” (1984-1996), Le Lettere, Firenze, 1996
Magnifica!!!
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Splendida! Grazie Titti 🌺
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