
Vincent van Gogh, Wheatfield with crows, 1890
I
Bisognava sciare con gli occhi evitare cadenze tremanti e oscure
riguardarsi annichilendosi per riparo. Io ho cercato un rifugio nel cinema [più vicino,
la colonna sonora era un balbettìo furioso, quella musica mi additava, [sconosciuta,
ergendosi a giudice del mio stato mentale, guarniva le orecchie di sentenze [finali.
Ho dovuto spegnere gli occhi, voltare pagina, dichiararmi esule.
II
Dove sono i corvi che dipinse Vincent, forse in quel cielo striato di bruma
imperfetto come un pollice macchiato d’inchiostro?
La luce grigia si spegneva sul mio volto come brace specchiata nel camino.
Non c’era un pagliaccio familiare, lo scherzo qui fa paura, sono straniero, [tutto me lo ricorda.
III
Den Haag era una pronuncia vuota sulla mia bocca impastata di farmaci
non scivolava né si inghiottiva, refrattaria al palato e al sistema nervoso.
IV
Algido luogo, algido me, algida materia anguillosa scappava dall’orgoglio [ogni forma di decenza
l’orgoglio è indecenza indecenza lo scrivi lo impali sul tuo cervello per [piacere?
V
Il violinista dagli occhi calmi, aria ingenua, di un’ Europa che crede e spera, [diligente si mise
a illustrarmi il suo amore musicale. Non c’era emozione nel mio cuore, [nell’aria nessuna nota
sublimava alcunché, il laghetto d’anatre nel parco era una cartolina vuota [non c’era orizzonte in
quei verdi metri quadrati.
VI
La gioia è una brezza incostante dal mare capriccioso del nostro umore [annotava,
in filigrana si arrendeva alle parole, ulteriore schiavitù, ebbrezza puerile, [libido adsentandi.
VII
To the wonder, wunderkammer, sibilante altalena che fendi l’aria [trasportando una sagoma
immaginaria di cui mi faccio autore, ti spingo, ti metto in moto, ti do la [funzione per cui sei
nata. L’infanzia è un disegno stracciato ritrovato per strada.
VIII
Dove sono i bambini di questo asilo così composto? Dove ride lo slancio dei [loro sguardi,
la fionda suprema dei loro pianti? Ora farebbero tremare l’erba e i gatti, ci [insegnerebbero a
inseguire farfalle col solo scopo di stancarci. Come fa la meraviglia a [renderci di nuovo
esausti?
IX
La luce qui non è certo mediterranea, tenue come quella dei neon, adatta al [torpore del limbo.
Sognavo un’altra prigione, volevo tornare in Italia.
X
Due polacchi dal riso affamato di vita mi offrirono vodka quella mattina, [rifiutai gentile in
inglese stentato e tornai a cercare un brusìo nuovo.
XI
L’uomo più che un puntino è un neo nell’universo
l’uomo è l’assassino di se stesso che ha occultato le prove e nasconde fino alla [fine il suo cadavere.
XII
Una musica dura storpiava l’aria, donne in cappotti pesanti dai visi ruvidi, [mascolini, marciavano
assenti dal paesaggio.
XIII
Il lettore cd non stride come il giradischi i rischi si attenuano in questa [stanzanima insonorizzata.
XIV
Glossare dal libro dei simboli di Jung. Sono alberi ignoti, geroglifici di un [bosco ancora da inaugurare.
XV
Distanti le forme consuete, gli alberi indifesi, le vertigini controllate di giorni [ben imballati.
XVI
Amavi i suoi trucchi, hai pagato per illuderti, il farmaco scade, volevi parlarle con il cuore in mano ma te l’aveva già portato via.
XVII
A mani vuote non puoi che pregare, in attesa di raccogliere qualcosa rendile cave.
XVIII
Conto i corvi che non vedo, conto i corvi nella testa, conto tante martellate di [silenzi.
Conto e assolvo liturgie avvolte dal nastro isolante.
XIX
Nel verbo immanente giocano tutti a nascondino. Impagliando le idee come [cervi da collezione.
XX
Lo so che vorresti sparire. Non ne parli con nessuno, dovresti. Sparire di [scatto, come nel sonno,
scivolare remoto nell’ignoto. Lo so che immagini di oziose indagini a [posteriori, il rapporto familiare, la
soluzione è nell’instabilità dei legami. Sono sparite tutte le categorie [affettive,
gli psicologi si limitano a registrare eventi, prescrivere farmaci, la malattia [è la cura.
XXI
Le radure sono installazioni abusive nel mondo mercato di scambio, tutti [i limiti geografici
sono stati esplorati, tracciati i confini, occultati per bene i fini.
Luigi Carotenuto
Taccuino olandese, Gradiva n° 48, 2015 (rubrica “Sguardi” a cura di Mario Fresa)