
Germaine Krull, Etude (Wanda Hubbel), 1931
Il pettirosso lasciato stare nel suo piccolo sangue
è immortale, nessuno l’ha ferito, o Dio lo ferì pensandolo,
ma la piccola morte non è del pettirosso, egli consegna
un messaggio azzurro scritto col sangue, e non lo sa,
forse cinguettando ha ucciso l’universo
e le briciole sono sul suo petto. Forse per meno
chi ha ucciso uccide e seguita a uccidere
ma il sangue non si raggruma sul suo tovagliolo,
la tagliola non cava sangue dalla zampa stritolata della donnola
che grida nella notte, e non v’è donna, amore,
che come te riesca a tacere nell’altra tagliola.
Ma forse l’ha salvato asciugandone l’ultimo escreato,
la boccata di sangue della vittima non è la sua,
il suo zampettare fermo nel cielo non lascia tracce
che mirino al covile, le uova possono dormire tranquille
del sonno che le risveglierà coperte da uno spazio curvo,
dal guscio che s’incrina se il becco s’è fatto audace,
ma non v’è pace più cruenta della tua, o minuscolo,
che vai cancellando col tuo avanzare ogni traccia della prima
ebbra pennellata che il Signore aveva segnato a caso su un cosmo
che già somigliava a questo e non lo era. Ora un’era diversa
se ti mostri a chi non ti ha ucciso può cigolare sui cardini discontinui delle tue note.
Piero Bigongiari
26 novembre ’74
da “Io sono in casa? Non so”, in “Moses, Frammenti del poema”, “Lo Specchio” Mondadori, 1979