
Foto di Noell S. Oszvald
Basta un uccellino posato sopra un’altana
e silenzioso che ti guardi come un aerolito
picchiettando col capino
a dirti che il mondo è piú grande della tua immaginazione,
piú lontano, piú attento: piú vicino.
Esplora il vento, cede, vede terra
verde e acqua torbida la rondine
che s’avvita al suo volo.
Tu vicino
alla sua libertà ma qui con me
che pensi, che pensiero han queste pietre
nel tuo destino, gli ireos che nel vaso
sul tavolino sembrano volare
nella penombra?
La rondine è ferma,
erma della sua vita tra due venti,
e la rapina è in corso, nulla esplora
piú della sua fermezza questa ancóra
per un istante in equilibrio scelta
perduta, questo andarsene dei rami
a terra nella giravolta in volo…
Cosí si attacca il cuore a quel che ha visto
in sogno, in cielo, nel suo stesso sangue,
cosí, veduto, tutto è il suo contrario:
è vero, in terra, è l’arrossire primo
del figlio che correndo, da lontano
t’apre le braccia, sangue rattenuto
in pelle dalle lacrime.
Anche il sangue
raggiorna in una stilla dolorosa
offerta a tutto quello che l’attornia
e lo tramanda equanime, il dolore
è solo moto, e resistenza al moto,
di questa luce spinta tra colori
diversi, che tra le diverse cose
fruga attenta, incisiva, anche festante
d’essere già diversa da quel ch’era
come la cagna che non ha padrone
annusa l’uno o l’altro, entra ed esce
di bottega in bottega ed attraversa
scodinzolando in tralice la strada:
luce certa, immutabile, hanno detto
i poeti, io direi meglio raminga…
Quello ch’è stato, questo impallidire
lo rinnova, non lo ripete, rondine
mentre cadi avvitata sulla gabbia
che una povera via cittadina
rallegra del suo pettirosso arguto
a un tratto ora col muto passeggero.
Piero Bigongiari
maggio – 2 giugno ’61
da “Torre di Arnolfo”, “Lo Specchio” Mondadori, 1964