
Foto di Anna Pavlova
A José Alvarado
Mejor será no regresar al pueblo,
al edén subvertido que se calla
en la mutilación de la metralla.
Ramón López Velarde
Voci girando l’angolo
voci
tra le dita del sole
ombra e luce
quasi liquide
Fischia il falegname
fischia il gelatiere
fischiano
tre frassini nella piazzetta
Cresce
si alza l’invisibile
fogliame dei suoni
Tempo
steso ad asciugare sui terrazzi
Sono a Mixcoac
Nelle buche
marciscono le lettere
Sulla calce del muro
la macchia della bouganvillea
schiacciata dal sole
scritta dal sole
violetta calligrafia passionale
Cammino all’indietro
verso ciò che lasciai
o mi lasciò
Memoria
imminenza d’abisso
balcone
sul vuoto
Cammino senza avanzare
circondato da città
Mi manca l’aria
mi manca il corpo
mi mancano
la pietra che è cuscino e sepolcro
l’erba che è nube e acqua
Si spegne l’anima
Mezzogiorno
pugno di luce che picchia e picchia
Cadere in un ufficio
o sull’asfalto
finire in ospedale
la pena di morir così
non val la pena
Guardo indietro
quel passante
non è che nebbia ormai
Germinazione d’incubi
infestazione d’immagini lebbrose
nel ventre il cervello i polmoni
nel sesso del tempio e della scuola
nei cinema
impalpabili abitanti del desiderio
nei luoghi in cui convergono qui e là
questo e quello
nei telai del linguaggio
nella memoria e le sue dimore
pullulare d’idee con unghie e zanne
moltiplicarsi di ragioni in forma di coltelli
in piazza e nella catacomba
nel pozzo del solitario
nel letto di specchi e nel letto di rasoi
nelle fogne sonnambule
negli oggetti in vetrina
seduti su un trono di sguardi
Matura nel sottosuolo
la vegetazione dei disastri
Bruciano
milioni e milioni di vecchie banconote
al Banco de México
In angoli e piazze
sopra ampi zoccoli di luoghi comuni
i Padri della civica Chiesa
conclave taciturno di Giganti e Capoccioni
né aquile né giaguari
gli avvoltoi legulei
le cavallette
ali d’inchiostro mascelle di sierra
i coyotes ventriloqui
trafficanti d’ombra
i benemeriti
la donnola ladra di galline
il monumento ai Sonagli e al loro serpente
gli altari al mauser e al machete
il mausoleo del caimano con le mostrine
retorica scolpita di frasi di cemento
Architetture paralitiche
rioni incagliati
giardini in putrefazione
dune di salnitro
terre incolte
accampamento di nomadi urbani
formicaio vermicaio
città nella città
cuciture di cicatrici
viuzze in carne viva
Davanti alla vetrina delle bare
Pompe Funebri
puttane
colonne nella notte vana
All’alba
nel bar alla deriva
il disgelo dell’enorme specchio
in cui i bevitori solitari
contemplano il dissolversi delle proprie sembianze
Il sole si alza dal suo letto d’ossa
L’aria non è aria
affoga senza braccia né mani
L’alba strappa la tenda
Città
cumulo di parole infrante
Il vento
in angoli polverosi
sfoglia i giornali
Notizie di ieri
più remote
d’una tavoletta cuneiforme fatta a pezzi
Scritture lacerate
linguaggi distrutti
si sono rotti i segni
atl tlachinolli
si spezzò
acqua bruciata
Manca un centro
piazza di adunanza e consacrazione
manca un asse
dispersione degli anni
fuga degli orizzonti
Marcarono la città
su ogni porta
ogni fronte
il segno $
Siamo accerchiati
Sono tornato al punto di partenza
Ho vinto? ho perso?
(Chiedi
a quali leggi obbediscono “successo” ed “insuccesso”?
I canti dei pescatori galleggiano
davanti alla riva immobile
Wang Wei al Prefetto Chang
dalla sua capanna sul lago
Però io non voglio
un santuario intellettuale
a San Àngel o a Coyoacán)
Tutto è vincita
se tutto è perdita
Vado verso me stesso
verso la piazzetta
Lo spazio è dentro
non è un eden sovvertito
è un battito di tempo
I luoghi sono confluenze
aleggiare di presenze
in uno spazio istantaneo
Il vento sibila
tra i frassini
zampilli
ombra e luce quasi liquide
voci d’acqua
brillano scorrono si perdono
mi lasciano nelle mani
un fascio di riflessi
Cammino senza avanzare
Non arriviamo mai
Non siamo mai dove siamo
Non il passato
il presente è intoccabile
Octavio Paz
(Traduzione di Franco Mogni)
da “Ritorno” (1969-1975), in “Octavio Paz, Vento Cardinale e altre poesie”, “Lo Specchio” Mondadori, 1984
I versi 25-26 (p. 271) sono ripresi da un haiku di Masaoka Shiki (1867 – 1902). Cfr. Octavio Paz, Versiones y diversiones, México 1974, pag. 248.
Giganti e Capoccioni: in Spagna, alcune processioni presentano figure grottesche, giganti e nani dalla testa enorme. I padri della chiesa, o civica chiesa, sono in pratica un conclave di giganti e nani grotteschi. Non si tratta di aquile e nemmeno di giaguari – ordini, questi, militari e religiosi del Messico precolombiano − bensì di licenciados zopilotes.
Zopilote (dal nahua tzopilotl, da tzotl, sudiciume e piloa, appendere): aura o gallinaza, uccello rapace diurno dalle piume nere, grande come una gallina, che si nutre di carogne.
Tapachiche: specie di grossa cavalletta dalle ali rosse.
Coyote (dal nahua coyotl, adivo): specie di lupo, grande come un mastino, dal colore grigio giallognolo. In senso figurato, si riferisce a coloro che trafficano con la giustizia e le conoscenze in aree governative.
Benemeriti: in Messico, benemerito per eccellenza è Benito Juárez ( 1806 − 1872), trasformato in una figura di cemento, patrono di politici e politicanti.
Cocomixtle o basáride: mammifero carnivoro simile a una grossa donnola − bersagli suoi sono le galline e i campi di mais − che gli indios tengono, disseccato, come un trofeo. Tutti questi animali e altri che non menziono, dal cardellino demagogo all’aquila oppressora, ecc. fanno ormai parte della zoopolitica popolare messicana.
Il serpente a sonagli: tipico del continente americano. In questo caso, monumento al rumore, al vociare, al chiacchierio e quindi anche al serpente che lo produce.
I versi 12−13 (pag. 275) corrispondono all’ultimo endecasillabo del sonetto II del ciclo Crepúsculos de la Ciudad, in Octavio Paz, Poemas (1935 − 1975), Barcelona 1979, p. 73.
Nel verso 1 (pag. 277), l’espressione nahua atl tlachinolli significa «acqua/ (qualcosa) bruciato ». Secondo Alfonso Caso, acqua indica anche sangue, mentre (qualcosa) bruciato allude a incendio. Cfr. El teocalli de la guerra sagrada, México 1927 ed El ombligo de la luna, México 1952. L’opposizione tra l’acqua e il fuoco, le loro lotte, i loro abbracci, erano una metafora della guerra cosmica, modello a sua volta della guerra tra gli uomini. Il geroglifico atl tlachinolli appare spesso nei monumenti aztechi. (Teocalli o teocali, da teotl, dio e calli, casa: tempio degli antichi messicani. N.d.T.) Città e civiltà poggiano su un’immagine; l’unione dei contrari, acqua e fuoco, divenne la metafora della fondazione di città dei Messico. L’immagine appare in altre civiltà − non occorre ricordare Novalis e la sua « fiamma bagnata » − ma in nessun’altra ha ispirato in modo così pieno e compiuto una società come nel caso degli aztechi. Anche se atl tlachinolli ebbe un senso religioso e guerriero, la visione che la metafora dispiega davanti a noi va ben oltre l’idea imperialistica a cui si è voluto ridurla. È un’immagine del cosmo e degli uomini come vasta unità contraddittoria. Visione tragica: il cosmo è movimento, e l’asse di sangue di quei movimento è l’uomo. Dopo un pellegrinaggio di parecchi secoli, i mexica fondarono México Tenochtitlán proprio nel luogo indicato dall’augurio del loro dio Huitzilopochtli: il macigno nella laguna; sul macigno, il fico d’India, i cui frutti simboleggiano i cuori umani; sopra il fico, l’aquila, uccello solare che divora i frutti rossi; il serpente; acque bianche; alberi e piantagioni, anch’essi bianchi… Atl tlachinolli: « molto chiara e bella, quel giorno l’acqua della fonte sgorgava assai rossiccia, quasi come il sangue, biforcandosi in due ruscelli, e nel solco del secondo l’acqua usciva così azzurra, occasione di spavento […] » (Códice Ramirez: Relación del origen de los indios que habitan esta Nueva España, según sus historias, sedicesimo secolo, México 1944).
I versi 16 − 19 (pag. 277) corrispondono agli ultimi due di una poesia di otto, Al prefecto Chang, del poeta, musicista e pittore cinese Wang Wei (701 – 761). Cfr. Octavio Paz, Versiones y diversiones, cit., pag. 205. (Franco Mogni)
∗∗∗
Vuelta
A José Alvarado
Mejor será no regresar al pueblo,
al edén subvertido que se calla
en la mutilación de la metralla.
Ramón López Velarde
Voces al doblar la esquina
voces
entre los dedos del sol
sombra y luz
casi líquidas
Silba el carpintero
silba el nevero
silban
tres fresnos en la plazuela
Crece
se eleva el invisible
follaje de los sonidos
Tiempo
tendido a secar en las azoteas
Estoy en Mixcoac
En los buzones
se pudren las cartas
Sobre la cal del muro
la mancha de la buganvilla
aplastada por el sol
escrita por el sol
morada caligrafía pasional
Camino hacia atrás
hacia lo que dejé
o me dejó
Memoria
inminencia de precipicio
balcón
sobre el vacío
Camino sin avanzar
estoy rodeado de ciudad
Me falta aire
me falta cuerpo
me faltan
la piedra que es almohada y losa
la yerba que es nube y agua
Se apaga el ánima
Mediodía
puño de luz que golpea y golpea
Caer en una oficina
o sobre el asfalto
ir a parar a un hospital
la pena de morir así
no vale la pena
Miro hacia atrás
ese pasante
ya no es sino bruma
Germinación de pesadillas
infestación de imágenes leprosas
en el vientre los sesos los pulmones
en el sexo del templo y del colegio
en los cines
impalpables poblaciones del deseo
en los sitios de convergencia del aquí y el allá
el esto y el aquello
en los telares del lenguaje
en la memoria y sus moradas
pululación de ideas con uñas y colmillos
multiplicación de razones en forma de cuchillos
en la plaza y en la catacumba
en el pozo del solitario
en la cama de espejos y en la cama de navajas
en los albañales sonámbulos
en los objetos del escaparate
sentados en un trono de miradas
Madura en el subsuelo
la vegetación de los desastres
Queman
millones y millones de billetes viejos
en el Banco de México
En esquinas y plazas
sobre anchos zócalos de lugares comunes
los Padres de la Iglesia cívica
cónclave taciturno de Gigantes y Cabezudos
ni águilas ni jaguares
los licenciados zopilotes
los tapachiches
alas de tinta mandíbulas de sierra
los coyotes ventrílocuos
traficantes de sombra
los beneméritos
el cacomixtle ladrón de gallinas
el monumento al Cascabel y a su víbora
los altares al máuser y al machete
el mausoleo del caimán con charreteras
esculpida retórica de frases de cemento
Arquitecturas paralíticas
barrios encallados
jardines en descomposición
médanos de salitre
baldíos
campamentos de nómadas urbanos
hormigueros gusaneras
ciudades de la ciudad
costurones de cicatrices
callejas en carne viva
Ante la vitrina de los ataúdes
Pompas Fúnebres
putas
pilares de la noche vana
Al amanecer
en el bar a la deriva
el deshielo del enorme espejo
donde los bebedores solitarios
contemplan la disolución de sus facciones
El sol se levanta de su lecho de huesos
El aire no es aire
ahoga sin brazos ni manos
El alba desgarra la cortina
Ciudad
montón de palabras rotas
El viento
en esquinas polvosas
hojea los periódicos
Noticias de ayer
más remotas
que una tablilla cuneiforme hecha pedazos
Escrituras hendidas
lenguajes en añicos
se quebraron los signos
atl tlachinolli
se rompió
agua quemada
No hay centro
plaza de congregación y consagración
no hay eje
dispersión de los años
desbandada de los horizontes
Marcaron a la ciudad
en cada puerta
en cada frente
el signo $
Estamos rodeados
He vuelto adonde empecé
¿Gané o perdí?
(Preguntas
¿qué leyes rigen “éxito” y “fracaso”?
Flotan los cantos de los pescadores
ante la orilla inmóvil
Wang Wei al Prefecto Chang
desde su cabaña en el lago
Pero yo no quiero
una ermita intelectual
en San Ángel o en Coyoacán)
Todo es ganancia
si todo es pérdida
Camino hacia mí mismo
hacia la plazuela
El espacio está adentro
no es un edén subvertido
es un latido de tiempo
Los lugares son confluencias
aleteo de presencias
es un espacio instantáneo
Silba el viento
entre los fresnos
surtidores
luz y sombra casi líquidas
voces de agua
brillan fluyen se pierden
me dejan en las manos
un manojo de reflejos
Camino sin avanzar
Nunca llegamos
Nunca estamos en donde estamos
No el pasado
el presente es intocable
Octavio Paz
da “Vuelta”, Seix Barral, Barcelona, 1976
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