
Salvatore Fiume, Pomeriggio col toro, 1958
La casa di campagna dalle mille finestre spalancate
come occhi misteriosi sulla mia memoria
scintilla nell’alba d’una fredda
primavera tra le colline e il mare.
Le stanze vuote si riempiono nella notte
dei muggiti dei tori da macello che salgono dal buio
delle stalle come i lamenti di ciclopi ciechi.
Con i martelli sordi degli zoccoli
battono contro le mie tempie
calpestano il sonno che custodisce i volti amati
quelli misteriosi delle sconosciute che m’incrociano
giorno dopo giorno con i loro sguardi.
Lungo il cortile sfilano angosciati
raschiano il selciato con il ferro rugginoso
dei ricordi e nello sguardo che trema di paura
una lacrima brilla consapevole
che nulla di me e di loro andrà perduto.
Vedo con gli occhi misteriosi della casa
seppellire i morti nell’autunno e senza sosta
scendere la pioggia sulle ombre della mia memoria.
Dall’ultima aiuola al sole del cortile
colgo di soppiatto qualche fiore
lo depongo in silenzio sul selciato
fuggo come un colpevole dalla casa deserta.
Una macchia passa lontana dai miei occhi
come una nuvola senza carne né sangue
che disegna il pallore della mia fanciullezza.
Varco la soglia degli innumerevoli casali
comparsi nel tempo per tutta la campagna
come bocche colorate.
Nei bagliori della mia memoria ostile
ritrovo l’angolo assolato del cortile
non i fiori deposti sul selciato
né i visi seppelliti all’ombra della quercia
credendo di sottrarli alla lama del tempo.
Marcello Comitini
da “Quarto Giorno: poesie”, Edizioni Caffè Tergeste, 2018