«Si è sollevato un incendio azzurro» – Sergej Aleksandrovič Esenin

 

Si è sollevato un incendio azzurro,
Le lontananze natie offuscando.
Ho cantato d’amore, ho rinunciato
A far scandali: per la prima volta.

Non ero che un giardino abbandonato,
Ero avido d’alcool e di donne.
Non amo più bere, ballare e perdere,
Senza voltarmi indietro, la mia vita.

Vorrei solo guardarti, contemplando
L’oro-castano abisso dei tuoi occhi,
E, rinnegando il passato, far sì
Che con un altro tu non te ne vada.

Dolce andatura ed elegante vita:
Tu, dal cuore inflessibile, sapessi
Come è capace un teppista d’amare,
Come è capace d’esser sottomesso.

Le bettole per sempre scorderei,
Smettendo anche di scrivere versi:
Soltanto per sfiorare la tua mano
E come un fiore autunnale i capelli.

E vorrei sempre seguirti da presso,
Sia in patria che in paesi forestieri…
Ho cantato d’amore e ho rinunziato
A far scandali: per la prima volta.

Sergej Aleksandrovič Esenin

[1923]

(Traduzione di G. P. Samonà)

da “Sergej Aleksandrovič Esenin, Poesie”, Garzanti, 1981

***

«Заметался пожар голубой,»

Заметался пожар голубой,
Позабылись родимые дали.
В первый раз я запел про любовь,
В первый раз отрекаюсь скандалить.

Был я весь как запущенный сад,
Был на женщин и зелие падкий.
Разонравилось пить и плясать
И терять свою жизнь без оглядки.

Мне бы только смотреть на тебя,
Видеть глаз златокарий омут,
И чтоб, прошлое не любя,
Ты уйти не смогла к другому.

Поступь нежная, легкий стан,
Если б знала ты сердцем упорным,
Как умеет любить хулиган,
Как умеет он быть покорным.

Я б навеки забыл кабаки
И стихи бы писать забросил,
Только б тонко касаться руки
И волос твоих цветом в осень.

Я б навеки пошел за тобой
Хоть в свои, хоть в чужие дали…
В первый раз я запел про любовь,
В первый раз отрекаюсь скандалить.

Сергей Александрович Есенин

1923

da “Полное собрание сочинений в семи томах, Том 1.: Стихотворения”, Наука: Голос, 1995

«Gli altri sono troppi, per me» – Mariangela Gualtieri

Foto di Mimmo Jodice

 

Gli altri sono troppi, per me.
Ho un cuore eremita. Sono
impastata di silenzio e di vento.
Sono antica.
Mi pento ogni volta che vado
lontano dal mio stare lento
nelle velocità della sera, nelle auto schizzate
di pianto. Col loro buio abitacolo.
E se sfreccio a volte
sulla modesta moto, è per cantare
a gola stesa l’ultimo del paradiso
fare il mio guizzo pericoloso
con tutto quel vento nel petto
seminare parole beate
nel panorama nervoso.

Mariangela Gualtieri

da “Acqua rotta”, in “Senza polvere senza peso”, Einaudi, Torino, 2006

Sera – Pierluigi Cappello

Foto di Danilo De Marco

 

Le nove, la sera, e un poco il nero che ti sporca le mani
è tutta la terra passata di qui
a che ora le api vanno a dormire, pensi, ti chiedi,
premi il cavo del palmo sull’orlo del ginocchio
nel dirti senti come sono nuove le foglie
da quale maniera di essere solo sono volate
adesso guardi le cose come sono venute
come si sono fissate, quando nella tua persona
e appena pieghi la testa nel vuoto,
nella domanda a che ora le api vanno a dormire
quando sono passati il sapore di terra e le nuvole
davanti ai miei anni, insieme.

Pierluigi Cappello

Marzo 2002

da “Assetto di volo. Poesie 1992-2005”, Crocetti Editore, 2006

Io abito un dolore – René Char

     

     Non lasciar la cura di governare il tuo cuore a quelle tenerezze parenti dell’autunno, da cui han preso il placido andare e l’affabile agonia. L’occhio è precoce nell’avvizzire. La sofferenza conosce poche parole. Preferisci coricarti senza fardello: sognerai il domani e ti sarà lieve il letto. Sognerai che la tua casa non ha piú vetri. Sei impaziente d’unirti al vento, al vento che percorre un anno in una notte. Altri canteranno la melodiosa incarnazione, le carni che personificano soltanto la stregoneria della clessidra. Condannerai la gratitudine che si ripete. Piú tardi, sarai identificato a qualche disgregato gigante, signore dell’impossibile.
     Eppure.
     Non hai fatto che aumentare il peso della tua notte. Sei tornato alla pesca di muraglie, alla canicola senza estate. Sei furibondo contro il tuo amore al centro d’un’intesa che perde il senno. Pensa alla casa perfetta che mai vedrai alzarsi. A quando il raccolto dell’abisso? Ma tu hai cavato gli occhi al leone. Credi di veder passare la bellezza sopra nere lavande…
     Cos’è che t’ha issato, ancora una volta, un poco piú in alto, senza convincerti?
     Non v’è seggio puro.

René Char

(Traduzione di Giorgio Caproni)

da “René Char, Poesie”, Einaudi, Torino, 2018

∗∗∗

J’habite une douleur

     Ne laisse pas le soin de gouverner ton cœur à ces tendresses parentes de l’automne auquel elles empruntent sa placide allure et son affable agonie. L’œil est précoce à se plisser. La souffrance connaît peu de mots. Préfère te coucher sans fardeau: tu rêveras du lendemain et ton lit te sera léger. Tu rêveras que ta maison n’a plus de vitres. Tu es impatient de t’unir au vent, au vent qui parcourt une année en une nuit. D’autres chanteront l’incorporation mélodieuse, les chairs qui ne personnifient plus que la sorcellerie du sablier. Tu condamneras la gratitude qui se répète. Plus tard, on t’identifiera à quelque géant désagrégé, seigneur de l’impossible.
     Pourtant.
     Tu n’as fait qu’augmenter le poids de ta nuit. Tu es retourné à la pêche aux murailles, à la canicule sans été. Tu es furieux contre ton amour au centre d’une entente qui s’affole. Songe à la maison parfaite que tu ne verras jamais monter. À quand la récolte de l’abîme? Mais tu as crevé les yeux du lion. Tu crois voir passer la beauté au-dessus des lavandes noires…
     Qu’est-ce qui t’a hissé, une fois encore, un peu plus haut, sans te convaincre?
     Il n’y a pas de siège pur.

René Char

da “Poèmes et prose choisis”, Éditions Gallimard, Paris, 1957

Risveglio – Cesare Pavese

Peter Marlow, Kingswear Castle, Devon, England, 1998

     

       Lo ripete anche l’aria che quel giorno non torna.
La finestra deserta s’imbeve di freddo
e di cielo. Non serve riaprire la gola
all’antico respiro, come chi si ritrovi
sbigottito ma vivo. È finita la notte
dei rimpianti e dei sogni. Ma quel giorno non torna.

     Torna a vivere l’aria, con vigore inaudito,
l’aria immobile e fredda. La massa di piante
infuocata nell’oro dell’estate trascorsa
sbigottisce alla giovane forza del cielo.
Si dissolve al respiro dell’aria ogni forma
dell’estate e l’orrore notturno è svanito.
Nel ricordo notturno l’estate era un giorno
dolorante. Quel giorno è svanito, per noi.

     Torna a vivere l’aria e la gola la beve
nella vaga ansietà di un sapore goduto
che non torna. E nemmeno non torna il rimpianto
ch’era nato stanotte. La breve finestra
beve il freddo sapore che ha dissolta l’estate.
Un vigore ci attende, sotto il cielo deserto.

Cesare Pavese

[7-8 novembre 1937]

da “Poesie del disamore”, Einaudi, Torino, 1951