Ti ho nascosto – Miklós Radnóti

Foto di Harvey Turtz

 

Ti ho nascosto a lungo,
come il ramo tra le foglie
il frutto che tarda a maturare,
e ora fiorisci ai miei occhi
come sullo specchio della finestra d’inverno
il fiore giudizioso del ghiaccio.
E so già cosa significa
quando posi la mano sui capelli,
e custodisco già nel cuore
il movimento della caviglia,
e il bell’arco delle costole
che ammiro con distacco,
come chi s’è riposato
su tali meraviglie che respirano.
Eppure nei miei sogni
spesso ho cento braccia
e come un dio in sogno
ti stringo nelle mie cento braccia.

Miklós Radnóti

1942

(Traduzione di Edith Bruck)

da “Mi capirebbero le scimmie”, Donzelli Poesia, 2009

∗∗∗

Rejtettelek

Rejtettelek sokáig,
mint lassan ért gyümölcsét
levél közt rejti ága,
s mint téli ablak tükrén
a józan jég virága
virúlsz ki most eszemben.
S tudom már mit jelent ha
kezed hajadra lebben,
bokád kis billenését
is őrzöm már szivemben,
s bordáid szép ivét is
oly hűvösen csodálom,
mint aki megpihent már
ily lélekző csodákon.

És mégis álmaimban
gyakorta száz karom van
s mint álombéli isten
szondák száz karomban.

Miklós Radnóti

da “Összes versei”, Magyar Helikon, 1963

Mi hai preso intero… – Ghiannis Ritsos

Man Ray, Lee Miller, Nude with Sunray Lamp, 1929

7

Mi hai preso intero. Non avrà più niente da prendere la morte.
Respiro nel tuo corpo. Ho gettato il seme di mille ragazzi nel tuo sudato campo;
mille cavalli galoppano sul monte, trascinando con sé abeti sradicati,
scendono fino alle porte della città, sollevano la testa,
guardano con gli occhi neri a mandorla l’Acropoli, gli alti lampioni,
battendo le ciglia corte. I segnali verdi e rossi gli procurano
uno spiacevole imbarazzo. E quel vigile
muove le mani come per cogliere un invisibile frutto dalla notte
o afferrare una stella per la coda. Girano il dorso
come sconfitti in una battaglia che non c’è stata. E d’improvviso
scuotono ancora la criniera e galoppano verso il mare. Sul più bianco
cavalchi nuda tu. Ti chiamo. Sui tuoi seni
due rami d’edera incrociati. Una chiocciola
immobile sui tuoi capelli. Ti chiamo, amore. Tre giocatori di carte, dopo una notte insonne,
entrano nella latteria qui accanto. Albeggia.
Si spengono le luci della città. Si versa liscio il gran pallore
sulla tua pelle. Sono dentro di te. Chiamo da dentro. Ti chiamo
qui dove convergono rombando i fiumi e rotola giù il cielo
nel corpo umano, sollevando con sé
creature mortali e cose — anatre selvatiche, bufali, finestre,
i tuoi sandali estivi, un tuo braccialetto, un riccio di mare, due colombi,
nel recinto aperto di un’inspiegabile, non richiesta immortalità.

Ghiannis Ritsos

(Traduzione di Nicola Crocetti)

da “Parola carnale”, 1981, in “Ghiannis Ritsos, Erotica”, Crocetti Editore, 2002

Donna che apre riviere – Giorgio Caproni

Édouard Boubat, Lella, Bretagne, 1847

 

Sei donna di marine,
donna che apre riviere.
L’aria delle mattine
bianche è la tua aria
di sale — e sono vele
al vento, sono bandiere
spiegate a bordo l’ampie
vesti tue così chiare.

Giorgio Caproni

da “Finzioni”, Roma, Istituto Grafico Tiberino, 1941 

È l’amore – Piero Bigongiari

Foto di Remo Daut

 

Sono il mittente, il latore, o chi,
ricevuto il messaggio, non sa aprirlo
o non osa, e rigira tra le mani
il plico oscuro, (forse il suo domani?).
Ho viaggiato seguendo anch’io la rotta
del sole nella immaginaria grotta
del cielo, non foss’altro per udire
lo sciacquío del Pacifico su coste
friabili…

                            E forse ho creduto
che dinanzi ai miei occhi quasi inabili
lo stesso e il diverso coincidessero.
Dovevo trovare qualcuno, e
non ho fatto che una serie di frecce
indicanti che più in là, forse più in là…

Forse più in là ritroverai la dimora,
la sconosciuta per eccellenza,
la tua di cui non puoi fare senza,
anima, che se qualcuno la sorveglia,
se il tuo essere non è ancora un’essenza.

Smuovi ancora una volta la nidiata
dei fanciulli assiepati sulla soglia.
Entra. O chi entra con te, per te?
Lì troverai chi non può rispondere
a te, forse all’altro. Lì vedrai
l’inutile messaggio necessario
volatilizzarsi nelle tue mani.

Se devi essere dove non puoi essere.
Ma il raggiro è lento, compensato.
Se uno è stato dove non è stato.
È l’amore che ronza come un’ape
vicino al fiore. Il polline è incantato.

Ma il salvatore non si è salvato.

Piero Bigongiari

15 aprile 1991

da “L’eruzione solare della notte”, in “Dove finiscono le tracce” (1984-1996), Le Lettere, Firenze, 1996

Ottave – Osip Ėmil’evič Mandel’štam

1

Amo l’apparizione del tessuto
quando una, due, più volte
manca il fiato e infine arriva
il sospiro che risana.

E tracciando verdi forme,
quasi archi di vele in regata
gioca lo spazio assonnato,
bambino ignaro della culla.

novembre 1933 – luglio 1935
2

Amo l’apparizione del tessuto
quando una, due, più volte
manca il fiato e infine arriva
il sospiro che risana.

Benessere e tortura nell’attesa
dell’attimo sempre più vicino,
e nei miei borbottii di colpo risuona
l’espansione ad arco.

novembre 1933
3

Farfalla, donna musulmana,
avvolta in un lacero sudario,
creatura di vita e di morte,
così grande – tu, vera!

Enormi baffi mordieri
e capo nascosto nel burnus.
Sudario svolto come vessillo,
ripiega le ali, ho paura!

novembre 1933
4

La minima appendice del sesto senso
o l’occhio parietale della lucertola,
i monasteri di lumache e conchiglie,
il parlottio di piccole ciglia scintillanti.

L’inaccessibile, com’è vicino!
E non puoi sciogliere il nodo, né guardare,
come un biglietto che ti infilano in mano
e devi rispondere all’istante…

maggio 1932
5

Superando la fissità della natura
il durazzurro occhio ne penetra la legge:
nella crosta terrestre impazzano le rocce,
dal petto sgorga un lamento-minerale.

E il sordo animalcolo si tende
come per una strada a corno ritorta,
per capire l’eccesso interno dello spazio,
del petalo pegno, e della cupola.

gennaio 1934
6

Quando, distrutto l’abbozzo, 
ti sforzi di trattenere nella mente 
il periodo senza pesanti glosse, 
unito e uno nella notte interiore, 

e, gli occhi socchiusi, la frase si regge 
unicamente sul suo slancio – 
sta, quel periodo, alla carta 
come la cupola ai cieli vuoti.

novembre 1933
7

E Schubert sull’acqua, e Mozart nel chiasso degli uccelli,
e Goethe che fischiettava lungo il sentiero serpeggiante,
e Amleto che pensava a timorosi passi – tutti
tastavano il polso della folla, in lei credendo.

Forse il sussurro nacque prima delle labbra,
e senza alberi mulinavano le foglie,
e coloro ai quali consacriamo l’esperienza
prima dell’esperienza avevano già i tratti.

1933
8

E la zampa dentata dell’acero
sguazza negli angoli tondi,
e con le ali delle farfalle
si possono decorare muri.

Esistono vive moschee,
e solo adesso ho capito:
siamo forse una Hagia Sophia
con occhi innumerevoli.

novembre 1933
9

Dimmi, disegnatore del deserto, 
geometra delle sabbie arabiche, 
la furia sfrenata delle linee 
ha davvero ragione del vento? 

– Non mi tocca la trepidazione 
dei suoi giudaici affanni;  
dal balbettio lui modella l’esperienza, 
dall’esperienza beve il balbettio.

novembre 1933
10

Da aghiformi calici appestati
beviamo l’ossessione delle cause,
con uncini tocchiamo grandezze
infime, quasi leggera morte.

E di fronte al groviglio delle asticelle
il bambino resta in silenzio –
dorme, l’universo, nella culla
della piccola eternità.

novembre 1933
11

E dallo spazio esco nel giardino
incolto delle grandezze,
strappo l’immaginaria costanza,
l’autoconsenso delle cause.

E il tuo manuale, infinità, io leggo
da solo, lontano dagli uomini:
selvaggio erbario senza foglie,
libro di problemi delle radici enormi.

novembre 1933

Osip Ėmil’evič Mandel’štam

(Traduzione di Serena Vitale)

“Quasi leggera morte, Ottave”, “Piccola Biblioteca” Adelphi , 2017

∗∗∗

ВОСЬМИСТИШИЯ
1

Люблю появление ткани,
Когда после двух или трех,
А то – четырех задыханий
Придет выпрямительный вздох.

И дугами парусных гонок
Зелeные формы чертя,
Играет пространство спросонок –
Не знавшее люльки дитя.

Ноябрь 1933- июль 1935
2

Люблю появление ткани,
Когда после двух или трех,
А то – четырех задыханий
Придет выпрямительный вздох.

И так хорошо мне и тяжко,
Когда приближается миг,
И вдруг дуговая растяжка
Звучит в бормотаньях моих.

Ноябрь 1933
3

О бабочка, о мусульманка,
В разрезанном саване вся –
Жизняночка и умиранка,
Такая большая – сия!

С большими усами кусава
Ушла с головою в бурнус.
О флагом развернутый саван, –
Сложи свои крылья – боюсь!

Ноябрь 1933
4

Шестого чувства крошечный придаток
Иль ящерицы теменной глазок,
Монастыри улиток и створчаток,
Мерцающих ресничек говорок.

Недостижимое, как это близко:
Ни развязать нельзя, ни посмотреть, –
Как будто в руку вложена записка
И на нее немедленно ответь…

Май 1932
5

Преодолев затверженность природы,
Голуботвердый глаз проник в ее закон,
В земной коре юродствуют породы,
И как руда из груди рвется стон.

И тянется глухой недоразвиток,
Как бы дорогой, согнутою в рог, –
Понять пространства внутренний избыток
И лепестка, и купола залог.

Январь 1934
6

Когда, уничтожив набросок,
Ты держишь прилежно в уме
Период без тягостных сносок,
Единый во внутренней тьме,

И он лишь на собственной тяге,
Зажмурившись, держится сам,
Он так же отнесся к бумаге,
Как купол к пустым небесам.

Ноябрь 1933
7

И Шуберт на воде, и Моцарт в птичьем гаме,
И Гете, свищущий на вьющейся тропе,
И Гамлет, мысливший пугливыми шагами,
Считали пульс толпы и верили толпе.

Быть может, прежде губ уже родился шопот
И в бездревесности кружилися листы,
И те, кому мы посвящаем опыт,
До опыта приобрели черты.

1933
8

И клена зубчатая лапа
Купается в круглых углах,
И можно из бабочек крапа
Рисунки слагать на стенах.

Бывают мечети живые –
И я догадался сейчас:
Быть может, мы – Айя-София
С бесчисленным множеством глаз.

Ноябрь 1933
9

Скажи мне, чертежник пустыни,
Арабских песков геометр,
Ужели безудержность линий
Сильнее, чем дующий ветр?

– Меня не касается трепет
Его иудейских забот –
Он опыт из лепета лепит
И лепет из опыта пьет.

Ноябрь 1933
10

В игольчатых чумных бокалах
Мы пьем наважденье причин,
Касаемся крючьями малых,
Как легкая смерть, величин.

И там, где сцепились бирюльки,
Ребенок молчанье хранит –
Большая вселенная в люльке
У маленькой вечности спит.

Ноябрь 1933
11

И я выхожу из пространства
В запущенный сад величин
И мнимое рву постоянство
И самосознанье причин.

И твой, бесконечность, учебник
Читаю один, без людей –
Безлиственный дикий лечебник,
Задачник огромных корней.

Ноябрь 1933

Осип Эмильевич Мандельштам

da “Sobranie sočinenij v 3 tomach”, a cura di Aleksandr Mec, Progress-Plejada, Moskva, 2003